Argomenti
In difesa della “società aperta”: la Central European University (CEU)
Il sociologo Ralph Dahrendorf, nella raccolta di saggi La società riaperta, ci ricorda che le “società aperte”, sono quelle che consentono il tentativo e l’errore, il cambiamento e l’evoluzione. Società pluraliste, in grado di ampliare le opzioni, dotate di una sana e robusta società civile capace di esprimere sé stessa attraverso il “caos creativo” delle associazioni, delle istituzioni religiose, delle forme artistiche, delle istituzioni educative e sportive, ambientali e di volontariato. Società che promuovono e tutelano la libertà di stampa e i diritti umani e permettono la migliore espressione della cittadinanza.
La difesa della società aperta, e con essa l’aspirazione alla formazione di “menti libere, in una società libera”, ha costituito la missione prioritaria della Central European University (CEU), sin dalla sua creazione nel 1991. La CEU deve le sue origini non soltanto al filantropo statunitense-ungherese George Soros (allievo di Karl Popper alla London School of Economics and Political Science e attivo sostenitore dei valori della “società aperta”), ma anche, e soprattutto, alla partecipazione di studiosi di fama internazionale, fra questi si ricordano Ernest Gellner e Alfred Stepan (primo Rettore). La CEU è stata fondata con l'obiettivo di incoraggiare, attraverso l'educazione, il processo di transizione democratica nell'Europa centrale e orientale. leggi tutto
Politica e (è) passione
In quindici giorni il suo ultimo libro ha venduto 100 mila copie. Primo nelle vendite su Amazon.fr. Alla libreria La Martine di Parigi (XVI arrondissement) 650 libri autografati in circa quattro ore. Pienone in libreria a Strasburgo e a Bordeaux. La piazza del mercato di Deauville, nota località turistica della Normandia, ospitava almeno settecento persone per la presentazione, seguita anche qui da lunga sessione di dediche. Il corso principale di La Baule, una sorta di Riccione di lusso nella Loira Atlantica, era stracolmo sotto il sole delle 14.30 del 22 luglio in attesa di una dedica sul volume. Di chi stiamo parlando? Di Nicolas Sarkozy, in “tour” per il Paese per presentare la sua ultima fatica Passions (Editions de L’Observatoire).
Un interessante volume che racconta, in prima persona, la carriera politica dell’ex presidente della Repubblica francese dai suoi primi passi nel movimento gollista nel 1974, sino all’ingresso all’Eliseo nel 2007. Il volume non è banale perché da un lato è una storia interna movimento gollista, in tutte le sue mutazioni appunto nell’ultimo trentennio. Sarkozy bussa alla porta della sezione dell’allora UDR il mese precedente alla morte di Georges Pompidou, marzo 1974. Comincia ad attaccare manifesti del partito e da quel momento scala tutti i gradini all’interno del movimento, poi leggi tutto
Crisi DB segnale per la Germania
Deutsche Bank (DB) è la maggiore banca tedesca e la sua lunga crisi sembra mettere a nudo alcuni degli errori della politica economica tedesca del nuovo secolo, spesso considerati con indulgenza dalle autorità economiche e monetarie europee. Ma quali sono le ragioni dei conti in rosso di DB quando è ancora calda la crisi fotocopia della Commerz Bank, seconda banca tedesca? Le debolezze di DB sono almeno due. Attività di trading-investimento in titoli esteri. Tassi d’interesse negativi sui Bund, titoli del debito pubblico teutonico, che si scaricano su tutta l’economia e in particolare su banche e assicurazioni.
Gli eccessivi e rischiosi investimenti in titoli e derivati della DB sono figli della grande disponibilità di risparmio che non trova impieghi in Germania. Due decenni di cospicuo surplus del conto corrente della bilancia dei pagamenti con l’estero ne sono fonte e specchio. Quando in un mercato (ad esempio Usa) si esporta a lungo più di quello che si importa si finisce per acquistarne attività finanziarie. Il cronico surplus con l’estero di Berlino non solo ammorba i rapporti economici globali, in particolare con gli Usa, ma richiede al sistema bancario di investire capitale all’estero anche in forme rischiose. Un caso? DB perde in un solo
Un paese diviso fra indifferenti e fan club
La vicenda della Sea Watch 3, come era prevedibile, ha messo a nudo un paese che ormai si divide fra indifferenti e fan club degli opposti fronti, i truci e le anime belle. A dispetto dell’enfasi che i media dedicano all’episodio non si può dire che nel paese ci sia realmente una grande mobilitazione né in un senso né nell’altro: ne è prova proprio il fatto che le guide delle due fazioni soffiano sul fuoco in continuazione, proprio per evitare che si spenga.
Ad una mente che voglia esercitare l’arte della ragione ripugnano sia le intemerate senza limite di Salvini e compagni (è giunto a definire “criminale di guerra” la capitana della nave) sia le sceneggiate a difesa di quelli che invocano a vanvera i diritti universali dell’uomo e l’improbabile parallelo con il personaggio di Antigone.
Quel che stupisce di più è che in questo spettacolo, ormai chiaramente teatrale, vengano attirate come in un gorgo anche persone che dovrebbero avere un maggiore uso della ragione. Francamente sentire certe sentenze dal presidente della Repubblica Federale Tedesca fa un po’ senso, visto che il suo paese ci rimanda indietro i cosiddetti “dublinanti”, cioè quei profughi che approdati ed identificati in Italia sono poi riusciti a raggiungere
Un’Europa dispersa nelle nebbie
Si può guardare al problema da un’ottica italiana, visto quanto pesa su di noi, ma è altrettanto giusto considerarla da un punto di vista più generale. Ci riferiamo alla situazione attuale dell’Unione Europea mentre si sta avviando la nuova legislatura. I problemi sono molteplici, vorremmo quasi dire che quello italiano è il minore, anche se ha una sua importanza.
Quel che colpisce di più in questo momento è l’assenza di un soggetto, individuale o istituzionale, che sembri essere in grado di gestire questo difficile passaggio: difficile anche solo perché quel che sta succedendo in Gran Bretagna, con la prospettiva di una Brexit disordinata, ma spalleggiata da un irresponsabile Trump, dovrebbe essere sufficiente a ridare fiato ad un decente progetto europeista. Invece a dominare sembra essere più che altro la confusione.
L’attuale Commissione si appresta a lasciare il campo senza passare alcun tipo di eredità. Juncker non è certo stato un presidente di “visioni” e la sua squadra non ha brillato. Certo sia lui che i suoi commissari erano stati accuratamente scelti in modo da non fare ombra ai principali capi di stato, così come del resto era stato fatto anche in precedenza. Basterà richiamare qualche dato per rendersene conto.
Chi si è occupato di questioni leggi tutto
Debito pubblico tra mercati e Commissione Ue
Non sappiamo quanti titoli del tesoro italiani (BOT, BTP etc.) detengano gli elettori dei diversi partiti. Chi vota Lega o Cinque Stelle, probabilmente non ne ha tanti. Chi sostiene partiti che non amano il rigore fiscale forse non acquista Bot e Btp in abbondanza. Ma non è sempre stato così. Nel 2007 le famiglie italiane detenevano circa un quinto dei titoli pubblici mentre ora questa quotai è a poco più del 6%. Non è così in Giappone dove i cittadini sottoscrivono circa un quarto dei titoli pubblici anche se laggiù il debito pubblico è quasi il doppio (240%) di quello italiano. Nella terra del Sushi sembra esserci un approccio bipartisan condiviso sulle questioni finanziarie. Per cui invece di essere più rischiosi di quelli di paesi con bassi debiti pubblici i titoli giapponesi sono addirittura beni rifugio. L’Italia non è forte in coesione nazionale. Nel 2007, prima della grande crisi, invece eravamo più simili al Giappone. Eppure abbiamo un partito sovranista che ha il consenso di un elettore su 3 mentre in Giappone non ce l’hanno. Ma purtroppo qui da noi un approccio bipartisan al debito pubblico è improbabile, anche se non impossibile forse in futuro. Un’altra differenza tra Giappone e Italia è che da noi Banca d’Italia ed euro sistema detengono circa leggi tutto
L'arcobaleno euroscettico
I protagonisti principali della campagna elettorale per le europee sono stati gli "euroscettici". Temuti, amati, odiati, forse un po' sopravvalutati (nei grandi paesi hanno vinto solo in Italia e Gran Bretagna, mentre in Francia la Le Pen ha ottenuto il primo posto ma con una percentuale minore rispetto al 2014). Gli euroscettici e gli eurocritici si sono comunque ritagliati uno spazio, anche se non governeranno le istituzioni dell'Ue per i prossimi cinque anni. Molti di questi partiti sono populisti, "perché tutti i populisti sono euroscettici, ma non tutti gli euroscettici sono populisti". Ce lo ricorda Carlo Muzzi, autore di un recentissimo volume per Le Monnier ("Euroscettici - Quali sono e cosa vogliono i movimenti contrari all'Unione europea"). Il libro, che si apre con la prefazione di Cas Mudde, non vuole cercare di offrire una definizione del fenomeno populista (anche se delinea in qualche modo il campo ed offre strumenti interpretativi) ma ha l'obiettivo di dare la parola ad alcuni esponenti dei partiti che - con sfumature e obiettivi diversissimi fra loro - sono critici o molto critici con l'Ue. Muzzi ha incontrato e intervistato nove leader, fra i quali il britannico Nigel Farage, la greca Afroditi Theopeftatou (Syriza), il francese lepenista Louis Aliot ed leggi tutto
Riflessioni sulla crisi dell'unione europea
L’Europa in quanto unione entra nella sua lunga crisi odierna quando al compromesso sociale e all’intervento pubblico dell’età dell’oro va a sostituirsi il credo culturale del “Nuovo consenso” e la pratica neoliberista che assegna supremazia ai mercati sulla politica. Questo è il presupposto sul quale rintracciare le ragioni di disgregazione dell’Unione, ritratte nel disincantato e brillante saggio di Ivan Krastev, Gli ultimi giorni dell’Unione. Sulla disintegrazione europea (LUISS University Press, Roma, 2019). L’autore, sensibile per esperienza diretta alla natura contingente delle disintegrazioni di strutture politiche sovranazionali, pone in rilievo gli errori di traiettoria europei e le loro conseguenze politiche. L’andamento intravisto nella storia del mondo e posto acriticamente da Bruxelles e dalle sue élite plutocratiche (sofferenti di “disturbo autistico”) alla politica europea post 1989, con il corollario della riduzione della sovranità statale nella definizione delle “politiche” economiche, ha chiamato a farsi nuovamente sotto il fattore nazionale. Nell’odierno trionfo dei sovranismi, che riguardano maggiormente le periferie europee – non essendo estranei al centro –, vi è la fine dell’universalismo liberale europeo coi derivati rischi di disgregazione definitiva. La stessa crisi dei migranti, considerata dall’autore “rivoluzione” da nuovo millennio, ha cambiato drasticamente la natura delle politiche democratiche a livello nazionale, ribadendo l’attualità della rivincita dei nazionalismi. leggi tutto
Passaggio a Nord-Est: De Michelis e la Quadrangolare
Accade talvolta che la personale biografia di un uomo incida non poco sulla sua formazione ideale, sull’orizzonte, cioè, sul quale il suo sguardo finisce per posarsi. Nel caso di Gianni De Michelis, nato a Venezia e fieramente veneziano, il suo essere un uomo del Nord-Est fece posare quello sguardo oltre frontiera, verso il Danubio, diventando una delle caratteristiche del suo agire politico.
Ancor prima di venire nominato ministro degli Esteri, già nel 1988, De Michelis aveva infatti avviato contatti con i rappresentanti dell’Ungheria, dell’Austria e della Jugoslavia, partner che solo un anno più tardi sarebbero stati al centro di un’iniziativa che avrebbe in un certo senso costituito lo sforzo più originale del ministro socialista, quello della creazione della cosiddetta “Quadrangolare”: un’associazione, fra questi quattro stati, il cui scopo era innanzitutto il rafforzamento della cooperazione economica e politica in un’ottica regionale e sussidiaria rispetto alle alleanze esistenti.
L’iniziativa non nasceva dal nulla: già nel corso degli anni ’80 l’area danubio-balcanica era tornata ad essere una delle direttrici principali lungo la quale disporre le limitate risorse della politica estera italiana. Tuttavia, con l’intensificarsi dei segnali di crisi dell’impero sovietico, il legame fra la Penisola e i suoi vicini leggi tutto
70 anni fa nasceva la Repubblica federale
L’8 maggio 1949 i membri del Consiglio parlamentare di Bonn licenziavano il testo della Legge fondamentale, la carta costituzionale istitutiva della futura Repubblica federale tedesca (BRD). La scelta della data non era stata casuale. Quattro anni prima, l’8 maggio era stata firmata la resa senza condizioni della Germania nazista. Con l’adozione della Legge fondamentale venivano gettate le basi di un nuovo ordinamento democratico nella Germania occidentale, che tuttavia godeva di una limitata legittimazione popolare. Per quanto riguarda la scelta del termine, è significativo il fatto che i costituenti preferirono adottare una «Legge fondamentale» (Grundgesetz) e non una «Costituzione» (Verfassung), per evidenziarne la provvisorietà, data l’indisponibilità dei tedeschi ad accettare la divisione del paese come definitiva. La Repubblica federale, al pari della Repubblica democratica tedesca (DDR) istituita nella parte orientale del paese, rappresentava più il prodotto di una scelta di politica estera dei governi alleati che l’espressione della volontà del popolo tedesco. Tanto più che quest’ultimo non aveva avuto la possibilità di eleggere direttamente l’assemblea costituente, né quella di ratificare il testo finale della Carta di Bonn. Il Consiglio parlamentare si componeva dei rappresentanti delle assemblee delle undici regioni occidentali ed era stato investito del potere costituente direttamente dalle forze di occupazione alleate. leggi tutto