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19 aprile 2025
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Argomenti

L’Unione europea tra idolatria e scetticismo

Carlo Marsonet * - 27.11.2019

Si parla spesso di Unione europea come se questa entità fosse un dato indiscutibile e la sua unificazione a tutto tondo un fine ineluttabile. Ci si dimentica, però, che, per esistere, essa deve avere consenso, deve in qualche modo soddisfare i bisogni dei contraenti, fin dalla base individuale che compone ogni soggetto collettivo. Insomma, l’Unione rispetta gli individui che la formano? Gode della loro necessaria fiducia? Diciamo che il bilancio è contradditorio e richiede perlomeno un’analisi critica.

Tale è l’obiettivo che si prefigge un volumetto, curato da Federico Cartelli, che già nel titolo enfatizza l’aspra critica al dogma europeista contenuta al suo interno, (Dis)Unione europea (Historica edizioni, 2019, 14 €). Tuttavia, è forse ancora più importante il sottotitolo, giacché indica non uno sproloquio privo di ragioni, urlato e pulsionale, bensì una critica argomentata e puntuale all’Unione europea come progetto di ingegneria sociale. Infatti, Per un euroscetticismo razionale vuole smontare in modo discorsivo, ma non per questo banale, quello che Nicola Porro nella prefazione al volume definisce “il totem europeo”, ovvero una sorta di divinità pagana che va adorata. Che cos’è diventata l’Unione? È un corpo appesantito dalla volontà di omogeneizzare un continente che, se è grandioso nella sua unicità, è proprio perché non è omogeneo e non è univoco. Quest’area geografica,

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Verso un'evoluzione della tensione tra Ucraina e Russia?

Francesco Cannatà * - 20.11.2019

Il prossimo 8 dicembre a Parigi, per la prima volta da tre anni, si svolgerà il nuovo tentativo di risolvere il conflitto nell’oriente ucraino. L’incontro, ripetendo la formula detta del gruppo Normandia, vedrà la presenza dei presidenti francese, russo, ucraino e la cancelliera tedesca. La guerra nel Donbass dura ormai da sei anni e ha causato circa 13mila vittime. Gli accordi di Minsk del febbraio 2015, Minsk II, hanno dato vita a una tregua relativa ma nessuno dei gravi problemi umanitari ed economici presenti lungo la cosiddetta linea di contatto è stato risolto. Poiché nessuna delle parti in lotta ha realmente applicato i punti dell’intesa l’armistizio non si è mai trasformato in vera pace. Con gli sforzi compiuti per sottoscrivere Minsk II, il quartetto Normandia sembra aver esaurito le proprie energie politiche. Dopo le sanzioni del 2015, Francia e Germania, Berlino più di Parigi, non sono più in grado di gestire la leadership del quartetto. A sua volta Washington ritiene il conflitto una questione fondamentalmente europea e intende restarne fuori.
Le lacune presenti dentro Minsk II, leggi tutto

Turchia: la trappola siriana

Gianpaolo Rossini - 19.10.2019

È un gioco rischioso quello iniziato dall’amministrazione Trump e dal presidente turco Erdogan. Gli Usa hanno abbandonato la zona di etnia curda nel nord della Siria, prima presidiata in funzione anti Isis e anti Assad. A seguito di questo il governo turco, con una mossa peraltro attesa dagli Usa, ha invaso militarmente parte della regione suscitando reazioni diplomatiche in Europa, l’intervento della Russia, della Siria di Assad. Gli Usa dopo minacce di sanzioni economiche riescono a raggiungere un accordo per una breve tregua sul campo che ferma la Turchia.

Ma quale sono gli obiettivi di Usa, Turchia e Russia?

Non è facile capire un presidente che ha confessato pubblicamente di avere continui ripensamenti (second thoughts) sulle decisioni prese. Al di là della confusione apparente lo scopo degli Usa sembra comunque duplice. Da una parte cerca di indebolire la Turchia logorandola e isolandola nella trappola siriana in cui si impantanerà spendendo ingenti energie senza ritorno economico e con enormi rischi politici.  Dall’altra si vuole rendere la vita più difficile al governo Assad ridimensionando definitivamente la Siria come entità territoriale e ponendola in traiettoria di scontro con la Turchia. Insomma una vera trappola per due che protrae l’instabilità e le sofferenze delle popolazioni dell’area. leggi tutto

Fino a che punto servono schiaffi e sculacciate ai figli?

Francesco Provinciali * - 12.10.2019

Il deputato verde John Finnie del Parlamento scozzese di Edimburgo sarebbe forse stato un politico destinato all’oblio o all’ordinaria amministrazione della cosa pubblica  se non avesse dato la stura ad una campagna di sensibilizzazione contro le punizioni corporali dei genitori sui figli, coinvolgendo larghi settori dell’opinione pubblica come lo Scottish National Party (Snp) di Sturgeon e alcune ong per la tutela dell'infanzia, oltre a godere del consenso politico dei laburisti e dei socialdemocratici. Poiché il governo scozzese può contare su una solida maggioranza parlamentare è assai probabile che la proposta di mettere al bando schiaffi, sberle e buffetti - sinora ammessi  dalla normativa attuale che negli Stati del Regno Unito autorizza un uso "ragionevole" della forza in famiglia per educare e punire i figli - possa diventare legge e cambiare quindi una lunga tradizione di moderato autoritarismo domestico tipico della mentalità anglosassone. D’altra parte risulta che già in altri Paesi il ricorso alle punizioni corporali per “raddrizzare” comportamenti poco consoni o inclini all’obbedienza da parte dei figli minori sia stato stigmatizzato e rimosso.

Tra i sostenitori della "non violenza" fisica c’è una lista di 51 paesi già da tempo contrari a qualsiasi forma di punizioni corporali considerate inutili leggi tutto

Il problema centrale dell’Europa: quando l’anima sbiadisce, il corpo declina

Carlo Marsonet * - 02.10.2019

I tempi che viviamo non consentono un dibattito sereno e maturo. Il dialogo, che presuppone riflessione, capacità di argomentazione e ascolto, non può esserci se mancano questi prerequisiti basilari fondamentali. Qualsiasi tema caldo che emerge viene trattato con toni beceri, vacui e, in definitiva, poco proficui. Il dialogo è altra cosa. Esso necessita di moderazione e capacità di autocontrollo; dopo tutto, proprio una delle peculiarità che ha reso grande il nostro continente e, per estensione, il mondo occidentale, è la capacità critica. Ciò significa che il dogmatismo del pensiero va rifiutato, che parlare con il prossimo – specialmente con chi o la pensa diversamente da noi o proviene da una cultura altra – è proprio il momento, la situazione che per eccellenza può condurci a un arricchimento, farci vedere e capire cose che in precedenza o non si conoscevano o si percepivano nel modo errato. Ciò non vuol dire, tuttavia, porsi in maniera succube e lasca nei confronti della diversità, tutt’altro. Il confronto può condurre ad esiti positivi e fruttuosi solo a patto che non ci si presenti a questo appuntamento come una pagina vuota, come un foglio da scrivere daccapo. Questo è il caso dell’Europa attuale, leggi tutto

Nuovi modelli di modernità

Fulvio Cammarano * - 31.08.2019

La Destra utilizza da sempre i detriti e le macerie degli tsunami del capitalismo fuori controllo per costruire il proprio, efficace, messaggio politico. Inutile ricordare come la crisi economica seguita al crollo di Wall Street del 1929, innestata sui catastrofici accordi di Versailles, abbia improvvisamente trasformato la folkloristica e minoritaria narrazione nazista in un affascinante e del tutto comprensibile linguaggio di rinascita nazionale. Non c’è bisogno di analisi troppo sofisticate per capire come anche oggi, mutatis mutandis, gran parte del successo della destra "sovranista" italiana (da sempre fisiologicamente presente con sigle e nomi diversi in quasi tutti i Paesi) sia dovuto alla capacità dei suoi leader di portare avanti - sulle devastazioni della crisi finanziaria del 2008 amplificate dalla totale impreparazione delle classi dirigenti a gestire i grandi flussi migratori - una discorso egemonico tutto incentrato su sicurezza e identità nazionale. È in quel messaggio che oggi i settori di opinione pubblica meno sensibili ai temi della libertà e dei diritti individuano una nuova, vera, modernità, quella del "popolo contro la casta", del recupero delle gerarchie in cambio di sicurezza. Non è dunque un caso che l’Italia, con la sua lunga storia di indifferenza per le questioni delle libertà e dei diritti (alimentata sino alla metà leggi tutto

In difesa della “società aperta”: la Central European University (CEU)

Carola Cerami * - 28.08.2019

Il sociologo Ralph Dahrendorf, nella raccolta di saggi La società riaperta, ci ricorda che le “società aperte”, sono quelle che consentono il tentativo e l’errore, il cambiamento e l’evoluzione. Società pluraliste, in grado di ampliare le opzioni, dotate di una sana e robusta società civile capace di esprimere sé stessa attraverso il “caos creativo” delle associazioni, delle istituzioni religiose, delle forme artistiche, delle istituzioni educative e sportive, ambientali e di volontariato. Società che promuovono e tutelano la libertà di stampa e i diritti umani e permettono la migliore espressione della cittadinanza.

La difesa della società aperta, e con essa l’aspirazione alla formazione di “menti libere, in una società libera”, ha costituito la missione prioritaria della Central European University (CEU), sin dalla sua creazione nel 1991. La CEU deve le sue origini non soltanto al filantropo statunitense-ungherese George Soros (allievo di Karl Popper alla London School of Economics and Political Science e attivo sostenitore dei valori della “società aperta”), ma anche, e soprattutto, alla partecipazione di studiosi di fama internazionale, fra questi si ricordano Ernest Gellner e Alfred Stepan (primo Rettore). La CEU è stata fondata con l'obiettivo di incoraggiare, attraverso l'educazione, il processo di transizione democratica nell'Europa centrale e orientale. leggi tutto

Politica e (è) passione

Michele Marchi - 24.07.2019

In quindici giorni il suo ultimo libro ha venduto 100 mila copie. Primo nelle vendite su Amazon.fr. Alla libreria La Martine di Parigi (XVI arrondissement) 650 libri autografati in circa quattro ore. Pienone in libreria a Strasburgo e a Bordeaux. La piazza del mercato di Deauville, nota località turistica della Normandia, ospitava almeno settecento persone per la presentazione, seguita anche qui da lunga sessione di dediche. Il corso principale di La Baule, una sorta di Riccione di lusso nella Loira Atlantica, era stracolmo sotto il sole delle 14.30 del 22 luglio in attesa di una dedica sul volume. Di chi stiamo parlando? Di Nicolas Sarkozy, in “tour” per il Paese per presentare la sua ultima fatica Passions (Editions de L’Observatoire).

Un interessante volume che racconta, in prima persona, la carriera politica dell’ex presidente della Repubblica francese dai suoi primi passi nel movimento gollista nel 1974, sino all’ingresso all’Eliseo nel 2007. Il volume non è banale perché da un lato è una storia interna movimento gollista, in tutte le sue mutazioni appunto nell’ultimo trentennio. Sarkozy bussa alla porta della sezione dell’allora UDR il mese precedente alla morte di Georges Pompidou, marzo 1974. Comincia ad attaccare manifesti del partito e da quel momento scala tutti i gradini all’interno del movimento, poi leggi tutto

Crisi DB segnale per la Germania

Gianpaolo Rossini - 10.07.2019

Deutsche Bank (DB) è la maggiore banca tedesca e la sua lunga crisi sembra mettere a nudo alcuni degli errori della politica economica tedesca del nuovo secolo, spesso considerati con indulgenza dalle autorità economiche e monetarie europee. Ma quali sono le ragioni dei conti in rosso di DB quando è ancora calda la crisi fotocopia della Commerz Bank, seconda banca tedesca? Le debolezze di DB sono almeno due. Attività di trading-investimento in titoli esteri. Tassi d’interesse negativi sui Bund, titoli del debito pubblico teutonico, che si scaricano su tutta l’economia e in particolare su banche e assicurazioni.

Gli eccessivi e rischiosi investimenti in titoli e derivati della DB sono figli della grande disponibilità di risparmio che non trova impieghi in Germania.  Due decenni di cospicuo surplus del conto corrente della bilancia dei pagamenti con l’estero ne sono fonte e specchio. Quando in un mercato (ad esempio Usa) si esporta a lungo più di quello che si importa si finisce per acquistarne attività finanziarie. Il cronico surplus con l’estero di Berlino non solo ammorba i rapporti economici globali, in particolare con gli Usa, ma richiede al sistema bancario di investire capitale all’estero anche in forme rischiose. Un caso? DB perde in un solo

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Un paese diviso fra indifferenti e fan club

Paolo Pombeni - 03.07.2019

La vicenda della Sea Watch 3, come era prevedibile, ha messo a nudo un paese che ormai si divide fra indifferenti e fan club degli opposti fronti, i truci e le anime belle. A dispetto dell’enfasi che i media dedicano all’episodio non si può dire che nel paese ci sia realmente una grande mobilitazione né in un senso né nell’altro: ne è prova proprio il fatto che le guide delle due fazioni soffiano sul fuoco in continuazione, proprio per evitare che si spenga.

Ad una mente che voglia esercitare l’arte della ragione ripugnano sia le intemerate senza limite di Salvini e compagni (è giunto a definire “criminale di guerra” la capitana della nave) sia le sceneggiate a difesa di quelli che invocano a vanvera i diritti universali dell’uomo e l’improbabile parallelo con il personaggio di Antigone.

Quel che stupisce di più è che in questo spettacolo, ormai chiaramente teatrale, vengano attirate come in un gorgo anche persone che dovrebbero avere un maggiore uso della ragione. Francamente sentire certe sentenze dal presidente della Repubblica Federale Tedesca fa un po’ senso, visto che il suo paese ci rimanda indietro i cosiddetti “dublinanti”, cioè quei profughi che approdati ed identificati in Italia sono poi riusciti a raggiungere

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