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Ad Amartya Sen il Premio Skytte per le scienze sociali a quasi vent’anni dal Nobel
A quasi vent’anni dal Nobel per l’economia da parte della Banca centrale svedese (1998), ancora un riconoscimento importante per l’economista indiano Amartya Sen da parte della Svezia. È stato infatti assegnato proprio al professore di Economia e filosofia politica dell’Università di Harvard il Premio Johan Skytte dell’Università di Uppsala, uno dei riconoscimenti più ambiti nell’ambito delle scienze politiche e sociali che annovera tra i suoi più importanti vincitori studiosi del calibro di Robert Dahl, Juan Linz e Arend Lijphart.
La relazione tra etica ed economia, l’elaborazione di un indice econometrico dello sviluppo umano (lo Human Development Index), l’approccio delle capacità e la relazione tra identità e violenza sono i temi più importanti cari alla riflessione seniana degli ultimi quarant’anni che ha reso Amartya Sen uno dei più vivaci maestri del pensiero della contemporaneità. L’economista bengalese è nato nel 1933 a Santiniketan, all’interno del campus universitario di Visva Bharati, fondato dal poeta e pensatore Tagore, uno tra i centri di eccellenza per la formazione al libero pensiero nel subcontinente indiano. Nel 1951 Sen si laurea in economia a Calcutta e nel 1953, da poco sfuggito ad una grave malattia, vince una borsa di studio presso il Trinity College di Cambridge che diventerà l’alma mater in cui egli approfondirà la dimensione leggi tutto
Italia: la Germania ci insegna qualcosa?
I meno giovani ricorderanno tutto il gran discorrere che si fece a metà anni Settanta sul tema se l’Italia aveva davanti a sé lo stesso destino della Repubblica di Weimar. Il “modell Deutschland” fu ampiamente dibattuto, ma poi tutto finì in una bolla di sapone: il nostro terrorismo fu sconfitto, la conflittualità sociale riportata in termini normali, i partiti incapaci di gestire il paese sembrano ritrovare durante gli anni Ottanta qualche capacità di guidare la situazione.
Poi tutto cambiò e di paralleli con la Germania, né con quella storica né con quella contemporanea, si parlò più. Semmai ci fu qualche propensione a considerare il sistema politico tedesco degno di grande considerazione visto che aveva superato la prova della riunificazione e governava una nazione in continua espansione. Il suo sistema elettorale venne considerato del massimo interesse tanto che, pasticciandolo un bel po’, lo si voleva adottare anche da noi.
Visto come si sta evolvendo la situazione dopo le elezioni tedesche di fine settembre ci si sta buttando sul versante opposto a dire che quel sistema non funziona e che la Germania non può più dare lezioni a nessuno. Eppure, per certi versi almeno, i problemi che ha oggi la politica tedesca leggi tutto
L’accordo UE - Turchia sui rifugiati: la disfatta della realpolitik europea
Nel corso del 2015, a fronte di un’imponente ondata migratoria proveniente dal Vicino/Medioriente e diretta verso le coste europee, il ruolo geopolitico e strategico della Turchia, acquisìper i paesi europei un rinnovato interesse. La Turchia apparve agli europei il luogo più adatto per accogliere oltre tre milioni di profughi siriani e ridurre drasticamente gli arrivi di profughi in Europa. Così, dopo quasi un decennio di relativa stagnazione nei rapporti UE - Turchia, l’emergere di nuove ‘priorità di collaborazione’, spinsero verso un rilancio complessivodel processo di integrazione della Turchiain Europa(nonostante i controversi sviluppi della politica interna turca).Questa linea politica dettata da principi di realpolitik, venne espressa al Vertice UE - Turchia del 29 novembre del 2015. Lo scopo centrale fu l’attuazione di un accordo di collaborazione per frenare l'arrivo di rifugiati dal Vicino/Medio Oriente, in cambio di aiuti economici. L'UE si impegnò a finanziare un piano d'azione comune con l’obiettivo di contenere i flussi migratori; impedire i viaggi dalla Turchia verso l'UE e procedere al rimpatrio rapido nei rispettivi paesi di origine. La Turchia in cambio chiese di completare il processo di liberalizzazione dei visti e di riaprire i negoziati per il processo di adesione della Turchia in Europa.Il 18 marzo del 2016 con la cosiddetta Dichiarazione leggi tutto
Una “rifondazione socialdemocratica” inizia da Bruxelles?
Una buona notizia, che dovrebbe far piacere a chiunque abbia a cuore le sorti pericolanti del sano confronto politico in Europa. Ma anche una notizia che da sola non ha avuto la forza di guadagnare le prime pagine dei giornali e gli spazi di maggior rilievo nella rete, e il fatto è già eloquente. Risale a qualche settimana fa la convocazione a Bruxelles di un incontro tra socialdemocratici europei, sotto l’egida del gruppo all’Europarlamento guidato da Gianni Pittella, che appare quanto di più simile al tentativo di una rifondazione politica. Già la scelta dell’insegna dell’incontro, “Together”, divenuta intanto anche una piattaforma online, sembrava invitare alla non più rinnovabile elaborazione di una linea comune e rinnovata tra le tante anime del socialismo europeo, di fronte a un declino che non ha precedenti nel dopoguerra tanto da spingere alcuni osservatori a postularne l’irreversibilità. Negli ultimi mesi, infatti, le urne europee hanno dato responsi drammatici, con la riduzione all’irrilevanza dei partiti socialisti in Olanda e in Grecia, il peggior risultato dal 1949 per la SPD tedesca, l’onta del rischio di un superamento da parte dell’estrema destra per gli austriaci, il disastro e le divisioni dei socialisti francesi (e l’elenco è tutt’altro che completo).
Ed è soprattutto rilevante leggi tutto
Dove va la democrazia?
Le democrazie contemporanee sono chiamate giornalmente a misurarsi con nuove sfide (la globalizzazione, la crisi economica, il terrorismo) e con nuovi soggetti politici (i partiti populisti, ma - più in generale - i populismi, siano essi di governo o di opposizione). È in questo contesto che, alla ricerca di alternanza, una parte consistente dell'opinione pubblica finisce per preferire la rottura, come testimoniano alcuni dei più importanti appuntamenti elettorali dell'ultimo biennio. Lo stesso populismo ha cambiato natura: "il divorzio fra le classi popolari in generale, quella operaia in particolare, e la sinistra socialista, al pari dell'erosione continua delle classi medie offre spazi politici al populismo". Così, "le democrazie sono divise da un cleavage territoriale che oppone, da un lato, le grandi metropoli globalizzate, inserite economicamente e culturalmente nel mondo e, dall'altro, il mondo dei piccoli e medi comuni, rurale, in ritirata di fronte ai grandi flussi della crescita e del cambiamento". Questo è il quadro che emerge da una delle più importanti ed estese ricerche internazionali, appena pubblicata ("Où va la démocratie?" - 2017, ed. Plon) e realizzata dall'Ipsos per la Fondation pour l'innovation politique (Fondapol). Il volume è una miniera di dati sullo stato della democrazia e dei singoli 26 paesi esaminati (22 dell'Unione europea, più Svizzera, Norvegia, leggi tutto
Nebbia nera in Val Padana: se il Dieselgate non insegna nulla
Ci risiamo. La situazione meteo di queste ultime settimane ha posto per l’ennesima volta con drammaticità il problema dell’inquinamento dell’atmosfera in particolare nel grigio Nord Italia. Ma poi appena arriva la pioggia non se ne parla più. E’ come il lunedì di una sagra paesana: giostre, banchetti, stand gastronomici scompaiono nel nulla. E basta festa fino alla occasione successiva. Ma il problema, anche se scarsamente considerato da giornali e altri media audiovisivi, è grave e strutturale sotto il profilo epidemiologico di affezioni alle vie polmonari, problemi cardiaci e altro per tutti giovani e anziani. Affidarsi alle speranze di pioggia è davvero un comportamento inadeguato alle sfide dei nostri tempi sul piano ambientale. Finiamo per assomigliare più a popoli antichi che ad un moderno paese. Narra Erodoto dello scomparso popolo degli Psilli della odierna Libia, i quali, dopo una lunga siccità “mossero in guerra contro il vento del Sud e quando furono nella regione delle sabbie, il vento del Sud, che aveva ripreso a soffiare, li seppellì tutti”.
Forse in tutta Europa siamo un po’ tutti Psilli. Abbiamo avuto uno scandalo globale (ancora in corso) che ha mostrato come i motori diesel prodotti con testarda insistenza dalle case automobilistiche europee siano terribilmente inquinanti, leggi tutto
Il Nobel per la Pace all’ICAN: il disarmo nucleare globale in primo piano nel dibattito internazionale
Negli ultimi mesi il timore di un conflitto nucleare è tornato al centro dell’agenda politica internazionale, così come i tentativi, intrapresi sin dall’alba dell’era atomica, di abolire definitivamente il pericolo nucleare.
Il 6 ottobre, il Comitato norvegese ha difatti deciso di assegnare il Premio Nobel per la Pace 2017 alla Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari. L’ICAN, organizzazione ombrello costituita da 468 gruppi non governativi,operanti in 101 paesi, è stata fondata a Vienna nel 2007. I suoi promotori si sono ispirati alla campagna internazionale contro le mine degli anni Novanta che contribuì a creare un clima di opinione favorevole alla Convenzione di Ottawa sulle mine antiuomo firmata nel 1997. Sin dalla sua nascita, l’organizzazione con sede a Ginevra ha lavorato per rilanciare il dibattito pubblico internazionale sulla questione del disarmo, appannatosi dopo che i timori nucleari della Guerra fredda si erano attenuati grazie alla firma del trattato Inf del 1987 e alla caduta del muro di Berlino due anni dopo.
La Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari è riuscita a dare nuovo impulso agli sforzi a favore del disarmo nucleare, sia a livello di opinione pubblica internazionale sia nell’alveo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, esattamente 71 anni dopo l’adozione della prima risoluzione ONU in cui si sottolineava la necessità del leggi tutto
È meglio giocare per non vincere?
I risultati delle ultime elezioni in Germania hanno confermato una tendenza ormai abbastanza consolidata in alcuni regimi democratici: se c'è una "Grande coalizione" uscente, i partiti di opposizione guadagnano consensi. Nel caso tedesco del 2017, CDU-CSU (-8,6%) e SPD (-5,2%) hanno fatto registrare diminuzioni in termini percentuali (a vantaggio soprattutto di Fdp e AfD), mentre - alla fine della "grande coalizione necessitata" del 2011-2013 - in Italia, fu il Pdl a pagare il prezzo più alto (il 15,8% dei voti, pari a poco più di sei milioni; anche il Pd, tuttavia, perse in voti assoluti 3,5 milioni di consensi e in percentuale il 7,8%). Per fare un esempio più lontano nel tempo si può risalire al 1979, quando il Pci cedette il 4% dei voti mentre la Dc restò sostanzialmente sulle posizioni del 1976 (si trattava, è bene ricordarlo, di una Grande coalizione in due fasi e del tutto anomala: un’intesa politica ma senza l’ingresso dei comunisti al governo e, all’inizio, addirittura con la sola “non sfiducia”). In tutti i casi, le opposizioni ne hanno tratto frutto: alla fine degli anni Settanta, da noi, i radicali ebbero un notevole incremento di voti (per l'epoca, quando la mobilità elettorale era modesta) passando dall'1,1 al 3,4%. Nel 2013, tranne Idv e Lega (che attraversavano un momento particolare) leggi tutto
La questione catalana dopo la dichiarazione d’indipendenza a metà di Puigdemont
Partiamo dagli ultimi fatti. Il presidente del governo catalano, Puigdemont, nell’attesissimo discorso del 10 ottobre ha dichiarato di assumere il mandato che il popolo catalano avrebbe espresso con il voto del 1° ottobre affiché la Catalogna diventi uno Stato indipendente in forma di repubblica, ma ha sospeso gli effetti della dichiarazione d’indipendenza per favorire l’avvio di un dialogo in vista di una soluzione concordata. Riunito il governo, Rajoy, gli ha domandato il giorno dopo di chiarire se c’era stata dichiarazione di indiendenza o no, dando tempo per la risposta fino a lunedì 16, per avviare in caso affermativo le procedure contemplate dall’art. 155 della Costituzione, che preve il passaggio al governo centrale di alcune delle competenze del governo catalano. Di fatto una esautorazione, che Rajoy non avrebbe difficoltà a far approvare, come richiesto dalla Costituzione, dal Senato, dove il Partito Popolare dispone di maggiornaza assoluta. A questo ultimatum si è aggiunto quello, di ben altro segno, che la CUP (coalizione della sinistra anticapitalista e indipendentista), ascoltato il suo discorso, ha lanciato a Puigdemnot: o dichiarazione formale di indipendenzaentro entro un mese o ritiro della fiducia al suo governo. I socialisti da parte loro si sono detti leggi tutto
Per un "nuovo umanesimo europeo": a proposito dell'utopia di Francesco.
L'importanza del discorso tenuto da Papa Francesco di fronte alla comunità accademica dell'Alma Mater Studiorum, che lo ha incontrato in Piazza San Domenico, nella sua ultima visita a Bologna (domenica, 1 ottobre), non è sfuggita ai commentatori più attenti, che ne hanno messo in luce aspetti e indirizzi teorico-progettuali diversi e profondi. Larga eco ha trovato, per esempio, la proposta di Francesco affinché il diritto alla cultura, il diritto alla speranza, il diritto alla pace, possano rappresentare la concreta prospettiva di una nuova progettualità da mettere in campo e alla quale i giovani possano essi stessi indirizzarsi. Particolare attenzione, da parte di alcuni commentatori, è stata rivolta soprattutto al forte richiamo fatto dal Papa allo ius pacis, il che segnerebbe, stando a qualche commento, una vera e propria svolta e l'assoluta archiviazione di ogni possibile giustificazione della guerra o della cosiddetta teoria della guerra giusta. E in effetti l'invocazione da parte di Francesco allo «ius pacis come diritto di tutti a comporre i conflitti senza violenza» e il ribadito appello e monito «mai più la guerra, mai più contro gli altri, mai più senza gli altri», giungono dopo aver chiamato in causa, contro le presunte «ragioni della guerra», importanti testimoni del secolo leggi tutto