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FCA PSA tante ombre poche luci
La fusione tra PSA ed FCA mette insieme due realtà zoppicanti del settore auto con grosse difficoltà di mercato e in forte ritardo sotto il profilo tecnologico. PSA e FCA sono i produttori che per ultimi hanno sollevato il piede dalla trazione a gasolio e sono in ritardo rispetto a quasi tutti i concorrenti nell’ibrido e nell’elettrico. Hanno gamme di modelli in larga parte obsoleti e pochi progetti per il futuro prossimo. Nessuna delle due case ha una sufficiente presenza sui mercati a più forte crescita dell’Asia nonostante Psa sia partecipata da un produttore cinese. La prova di tutto questo viene dalle cifre della capitalizzazione delle due società complessivamente inferiori a quelle ad esempio di BMW che vende circa un terzo di auto di FCA-PSA. Psa viene dalla recente acquisizione di Opel che l’americana General Motors ha abbandonato dopo anni di perdite insanabili e investimenti al lumicino. FCA viene da anni di grande attivismo finanziario con i quali la proprietà ha progressivamente spezzettato una grande conglomerata simile ai grandi colossi coreani (Hyundai) e giapponesi (Mitsubishi, Honda) ottenendo tante piccole realtà industriali alcune delle quali vendute interamente a concorrenti, come Marelli. I risultati di queste incessanti manovre finanziarie sono stati deludenti leggi tutto
La lezione inglese
Ci si interroga sul significato più generale che possiamo dare a quanto si è verificato nella tornata elettorale in Gran Bretagna. Iniziamo col dire che, complice il fatto che di problemi a casa nostra ne abbiamo in dose sufficiente, questa volta di interpretazioni degli eventi britannici che miravano a dare spiegazioni in sintonia con i desiderata italiani ce ne sono state poche. La nostra destra fa fatica ad assimilarsi al pur scoppiettante Boris Johnson. Va tenuto presente che appiattirsi su di lui avrebbe significato esprimersi in senso anti europeista, cosa che, almeno formalmente, nessuna delle tre forze politiche che la compongono vuole fare (la tesi ufficiale non è per l’uscita dalla UE, ma per la sua “radicale riforma”). Così non si è di fatto andati oltre un generico apprezzamento per il prevalere di un vento di destra.
L’incerto e confuso centro nostrano non aveva modo di trarre fasti auspici: i liberali britannici, che si poteva presumere avrebbero profittato della svolta a sinistra del Labour non hanno ottenuto da essa la spinta per un significativo salto di posizione.
La sinistra che aveva promosso Jeremy Corbyn ad idolo dei nuovi fasti del para-marxismo del XXI secolo ha dovuto registrare che aveva scambiato i suoi sogni leggi tutto
Capire il sistema elettorale britannico
Le recenti elezioni in Gran Bretagna sono state l’occasione per una riflessione anche sui sistemi elettorali e sulle loro conseguenze. L’uninominale britannico ha da sempre un forte fascino per tutti coloro che pensano in termini di “governabilità” perché, unitamente al tendenziale bipartitismo della tradizione anglosassone, favorisce l’immediata individuazione del premier e dell’esecutivo. Le elezioni del 12 dicembre 2019 però saranno anche ricordate come una versione di quella referendal theory enunciata alla fine dell’800 da Lord Salisbury. Nella sostanza il leader conservatore rinviava agli elettori la soluzione di conflitti istituzionali inestricabili, come quelli ad esempio che potevano scoppiare tra Camera dei Comuni e Camera dei Lord. Sarebbero state le urne, in modo improprio, a dipanare la matassa: a seconda di quale maggioranza veniva inviata alla Camera dei Comuni si sarebbe stabilito chi tra i litiganti avesse ragione o torto. È quello che è successo in queste settimane: di fronte all’irrisolvibile rebus della Brexit, con il conflitto tra Parlamento e Premier, c’è stato il ricorso “referendario” alle urne. E il verdetto elettorale è stato chiaro e forte: i risultati, rinviando alla House of Commons una solidissima maggioranza tory, hanno dato ragione al Primo ministro e torto al Parlamento. Per questo il nodo è stato sciolto: leggi tutto
Una nuova firma sulle banconote
Dopo un presidente olandese, Duisenberg, uno francese, Trichet e l’italiano Draghi, è la francese Lagarde ad insediarsi alla testa della BCE e a porre la sua firma sulle banconote che ci troveremo tra le mani dal prossimo anno. La provenienza transalpina della Lagarde evita una moneta europea troppo made in Germany, ma rivela un peso eccessivo della Francia nel governo dell’Europa. In più il francese Trichet non diede buona prova di sé. Commise errori di politica monetaria che in buona parte causarono la crisi dei debiti sovrani in Europa nel 2010 e nel 2011 della quale stiamo ancora pagando le conseguenze. La BCE sottovalutò l’onda lunga della crisi finanziaria americana e adottò misure restrittive quando se ne richiedevano di espansive. Il risultato furono alti tassi d’interesse e un cambio insostenibile che toccò 1.6 dollari per euro facendo saltare come birilli in serie Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda. Dobbiamo però vedere il lato positivo della nuova presidenza francese perché sembra preannunciarsi in continuità con quella di Mario Draghi che ha cambiato radicalmente ruolo e peso della nostra banca centrale. Che nessuno si azzarda a definire federale ma che in effetti lo è essendosi ritagliata sin dall’inizio una fetta di sovranità che i paesi aderenti all’euro hanno leggi tutto
L’Unione europea tra idolatria e scetticismo
Si parla spesso di Unione europea come se questa entità fosse un dato indiscutibile e la sua unificazione a tutto tondo un fine ineluttabile. Ci si dimentica, però, che, per esistere, essa deve avere consenso, deve in qualche modo soddisfare i bisogni dei contraenti, fin dalla base individuale che compone ogni soggetto collettivo. Insomma, l’Unione rispetta gli individui che la formano? Gode della loro necessaria fiducia? Diciamo che il bilancio è contradditorio e richiede perlomeno un’analisi critica.
Tale è l’obiettivo che si prefigge un volumetto, curato da Federico Cartelli, che già nel titolo enfatizza l’aspra critica al dogma europeista contenuta al suo interno, (Dis)Unione europea (Historica edizioni, 2019, 14 €). Tuttavia, è forse ancora più importante il sottotitolo, giacché indica non uno sproloquio privo di ragioni, urlato e pulsionale, bensì una critica argomentata e puntuale all’Unione europea come progetto di ingegneria sociale. Infatti, Per un euroscetticismo razionale vuole smontare in modo discorsivo, ma non per questo banale, quello che Nicola Porro nella prefazione al volume definisce “il totem europeo”, ovvero una sorta di divinità pagana che va adorata. Che cos’è diventata l’Unione? È un corpo appesantito dalla volontà di omogeneizzare un continente che, se è grandioso nella sua unicità, è proprio perché non è omogeneo e non è univoco. Quest’area geografica,
Verso un'evoluzione della tensione tra Ucraina e Russia?
Il prossimo 8 dicembre a Parigi, per la prima volta da tre anni, si svolgerà il nuovo tentativo di risolvere il conflitto nell’oriente ucraino. L’incontro, ripetendo la formula detta del gruppo Normandia, vedrà la presenza dei presidenti francese, russo, ucraino e la cancelliera tedesca. La guerra nel Donbass dura ormai da sei anni e ha causato circa 13mila vittime. Gli accordi di Minsk del febbraio 2015, Minsk II, hanno dato vita a una tregua relativa ma nessuno dei gravi problemi umanitari ed economici presenti lungo la cosiddetta linea di contatto è stato risolto. Poiché nessuna delle parti in lotta ha realmente applicato i punti dell’intesa l’armistizio non si è mai trasformato in vera pace. Con gli sforzi compiuti per sottoscrivere Minsk II, il quartetto Normandia sembra aver esaurito le proprie energie politiche. Dopo le sanzioni del 2015, Francia e Germania, Berlino più di Parigi, non sono più in grado di gestire la leadership del quartetto. A sua volta Washington ritiene il conflitto una questione fondamentalmente europea e intende restarne fuori.
Le lacune presenti dentro Minsk II, leggi tutto
Turchia: la trappola siriana
È un gioco rischioso quello iniziato dall’amministrazione Trump e dal presidente turco Erdogan. Gli Usa hanno abbandonato la zona di etnia curda nel nord della Siria, prima presidiata in funzione anti Isis e anti Assad. A seguito di questo il governo turco, con una mossa peraltro attesa dagli Usa, ha invaso militarmente parte della regione suscitando reazioni diplomatiche in Europa, l’intervento della Russia, della Siria di Assad. Gli Usa dopo minacce di sanzioni economiche riescono a raggiungere un accordo per una breve tregua sul campo che ferma la Turchia.
Ma quale sono gli obiettivi di Usa, Turchia e Russia?
Non è facile capire un presidente che ha confessato pubblicamente di avere continui ripensamenti (second thoughts) sulle decisioni prese. Al di là della confusione apparente lo scopo degli Usa sembra comunque duplice. Da una parte cerca di indebolire la Turchia logorandola e isolandola nella trappola siriana in cui si impantanerà spendendo ingenti energie senza ritorno economico e con enormi rischi politici. Dall’altra si vuole rendere la vita più difficile al governo Assad ridimensionando definitivamente la Siria come entità territoriale e ponendola in traiettoria di scontro con la Turchia. Insomma una vera trappola per due che protrae l’instabilità e le sofferenze delle popolazioni dell’area. leggi tutto
Fino a che punto servono schiaffi e sculacciate ai figli?
Il deputato verde John Finnie del Parlamento scozzese di Edimburgo sarebbe forse stato un politico destinato all’oblio o all’ordinaria amministrazione della cosa pubblica se non avesse dato la stura ad una campagna di sensibilizzazione contro le punizioni corporali dei genitori sui figli, coinvolgendo larghi settori dell’opinione pubblica come lo Scottish National Party (Snp) di Sturgeon e alcune ong per la tutela dell'infanzia, oltre a godere del consenso politico dei laburisti e dei socialdemocratici. Poiché il governo scozzese può contare su una solida maggioranza parlamentare è assai probabile che la proposta di mettere al bando schiaffi, sberle e buffetti - sinora ammessi dalla normativa attuale che negli Stati del Regno Unito autorizza un uso "ragionevole" della forza in famiglia per educare e punire i figli - possa diventare legge e cambiare quindi una lunga tradizione di moderato autoritarismo domestico tipico della mentalità anglosassone. D’altra parte risulta che già in altri Paesi il ricorso alle punizioni corporali per “raddrizzare” comportamenti poco consoni o inclini all’obbedienza da parte dei figli minori sia stato stigmatizzato e rimosso.
Tra i sostenitori della "non violenza" fisica c’è una lista di 51 paesi già da tempo contrari a qualsiasi forma di punizioni corporali considerate inutili leggi tutto
Il problema centrale dell’Europa: quando l’anima sbiadisce, il corpo declina
I tempi che viviamo non consentono un dibattito sereno e maturo. Il dialogo, che presuppone riflessione, capacità di argomentazione e ascolto, non può esserci se mancano questi prerequisiti basilari fondamentali. Qualsiasi tema caldo che emerge viene trattato con toni beceri, vacui e, in definitiva, poco proficui. Il dialogo è altra cosa. Esso necessita di moderazione e capacità di autocontrollo; dopo tutto, proprio una delle peculiarità che ha reso grande il nostro continente e, per estensione, il mondo occidentale, è la capacità critica. Ciò significa che il dogmatismo del pensiero va rifiutato, che parlare con il prossimo – specialmente con chi o la pensa diversamente da noi o proviene da una cultura altra – è proprio il momento, la situazione che per eccellenza può condurci a un arricchimento, farci vedere e capire cose che in precedenza o non si conoscevano o si percepivano nel modo errato. Ciò non vuol dire, tuttavia, porsi in maniera succube e lasca nei confronti della diversità, tutt’altro. Il confronto può condurre ad esiti positivi e fruttuosi solo a patto che non ci si presenti a questo appuntamento come una pagina vuota, come un foglio da scrivere daccapo. Questo è il caso dell’Europa attuale, leggi tutto
Nuovi modelli di modernità
La Destra utilizza da sempre i detriti e le macerie degli tsunami del capitalismo fuori controllo per costruire il proprio, efficace, messaggio politico. Inutile ricordare come la crisi economica seguita al crollo di Wall Street del 1929, innestata sui catastrofici accordi di Versailles, abbia improvvisamente trasformato la folkloristica e minoritaria narrazione nazista in un affascinante e del tutto comprensibile linguaggio di rinascita nazionale. Non c’è bisogno di analisi troppo sofisticate per capire come anche oggi, mutatis mutandis, gran parte del successo della destra "sovranista" italiana (da sempre fisiologicamente presente con sigle e nomi diversi in quasi tutti i Paesi) sia dovuto alla capacità dei suoi leader di portare avanti - sulle devastazioni della crisi finanziaria del 2008 amplificate dalla totale impreparazione delle classi dirigenti a gestire i grandi flussi migratori - una discorso egemonico tutto incentrato su sicurezza e identità nazionale. È in quel messaggio che oggi i settori di opinione pubblica meno sensibili ai temi della libertà e dei diritti individuano una nuova, vera, modernità, quella del "popolo contro la casta", del recupero delle gerarchie in cambio di sicurezza. Non è dunque un caso che l’Italia, con la sua lunga storia di indifferenza per le questioni delle libertà e dei diritti (alimentata sino alla metà leggi tutto