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Nebbia nera in Val Padana: se il Dieselgate non insegna nulla

Gianpaolo Rossini - 25.10.2017
Smog in Val Padana

Ci risiamo. La situazione meteo di queste ultime settimane ha posto per l’ennesima volta con drammaticità il problema dell’inquinamento dell’atmosfera in particolare nel grigio Nord Italia. Ma poi appena arriva la pioggia non se ne parla più.  E’ come il lunedì di una sagra paesana: giostre, banchetti, stand gastronomici scompaiono nel nulla. E basta festa fino alla occasione successiva. Ma il problema, anche se scarsamente considerato da giornali e altri media audiovisivi, è grave e strutturale sotto il profilo epidemiologico di affezioni alle vie polmonari, problemi cardiaci e altro per tutti giovani e anziani. Affidarsi alle speranze di pioggia è davvero un comportamento inadeguato alle sfide dei nostri tempi sul piano ambientale. Finiamo per assomigliare più a popoli antichi che ad un moderno paese. Narra Erodoto dello scomparso popolo degli Psilli della odierna Libia, i quali, dopo una lunga siccità “mossero in guerra contro il vento del Sud e quando furono nella regione delle sabbie, il vento del Sud, che aveva ripreso a soffiare, li seppellì tutti”.

Forse in tutta Europa siamo un po’ tutti Psilli. Abbiamo avuto uno scandalo globale (ancora in corso) che ha mostrato come i motori diesel prodotti con testarda insistenza dalle case automobilistiche europee siano terribilmente inquinanti, ahimè molto di più di quanto le case stesse abbiano sempre affermato. Uno scandalo che non ha risparmiato neppure le case più blasonate come Mercedes e BMW che continuano a vendere a caro prezzo auto il cui impatto ambientale è inaccettabile. Ma sembra non abbia insegnato nulla e si continua vendendo bellamente auto nuove che ci avvelenano.

E’ accertato, e in questi giorni molti media lo hanno ricordato, che la causa prima delle condizioni di iper inquinamento dell’aria in Val Padana è l’emissione prodotta dai motori diesel di auto e camion. Il che significa, tra l’altro, che le case automobilistiche dovrebbero fare molta attenzione nel perseverare nelle loro produzioni inquinanti perché potrebbero trovarsi tra poco di fronte a numerose class action di persone che hanno pagato con la salute la spregiudicatezza ambientale delle case automobilistiche.

In agosto 2017 in Germania hanno richiamato 5 milioni di auto diesel. Parigi ha annunciato che dal 2020 non consentirà più la circolazione dei diesel. Danimarca e Norvegia hanno programmi ancora più stretti e limitativi. Ma nonostante tutto questo nessun segnale viene dalle case automobilistiche europee. E nessun segnale neppure dalle autorità europee impegnate in un abbraccio puzzolente e velenoso con i grandi gruppi automobilistici.  Eppure siamo già in enorme ritardo e abbiamo perso occasioni enormi per il nostro settore industriale soprattutto in Italia. La nostra più grande impresa nel settore (FCA),  ora italo americana e con sede legale in Inghilterra, ha mancato una grande opportunità nel corso degli anni. La conformazione del territorio italiano in specie nel Nord Italia nella pianura padana, le nostre città con strade strette e facile preda di inquinamento da circolazione avrebbero potuto essere lo stimolo per spingere verso forme di trazione meno inquinante all’avanguardia. Si sarebbe così costruito un vantaggio competitivo ragguardevole di lungo periodo che ora invece è nelle mani di giapponesi e americani. Oltretutto l’ottimo livello della componentistica italiana, in parte in mano a FCA con Marelli, aveva tutte le carte in regola per questo balzo. Ma hanno prevalso errori strategici, miopia imprenditoriale, scarsità di investimenti, una soggezione della politica che favorisce il primo produttore con politiche acquiescenti che, paradossalmente, fanno crescere un po’ nel breve periodo i profitti ma che svantaggiano la stessa FCA nel lungo periodo perché incapace di vincere le sfide ambientali di oggi. E ora ci troviamo con una impresa in affanno che ha investito molto sul diesel, pochissimo su benzina, poco o nulla su ibridi ed elettrici. Se non bastasse l’amministratore delegato Marchionne rilascia affermazioni del tutto infondate contro l’elettrico che chiunque può leggere come una penosa foglia di fico sulla arretratezza della sua impresa sul fronte delle nuove modalità di alimentazione.  Non molto diversa è purtroppo la condizione delle imprese tedesche e francesi anche se la loro maggiore dimensione consentirà un più agevole abbandono del diesel. In assenza di una tempestiva intervento delle autorità europee e nazionali le aziende però continuano a sfornare auto inquinanti che non hanno mercato che nella arrogante e inquinata Europa non solo  avvelenando l’aria ma anche facendo male alle case stesse perché ne accentuano il ritardo tecnologico nei confronti di giapponesi, americani, coreani e tra un po’ anche cinesi.

 Il problema dell’inquinamento nel Nord Italia, in gran parte responsabilità dei veicoli diesel, è però accentuato da politiche in  parte  assenti e in parte bloccate. Quelle assenti sono dovute alla incapacità di comuni, regioni e altre autorità locali di investire o consentire di investire in ammodernamento o nuove infrastrutture. Il caso più eclatante è quello della Tangenziale di Bologna, arteria che ha 50 anni, nodo stradale fondamentale per tutta Italia, e che avvelena l’area bolognese in quanto affetta da costante sovra traffico con frequenti gravi  incidenti e cronico rallentamento del traffico. Da oltre 30 anni si discute invano di un passante esterno per disintossicare Bologna e rendere il traffico più fluido così come è avvenuto a Venezia, a Roma e in molti altri centri d’Italia. Certo in questo caso la svendita di una società dalle uova d’oro come Autostrade da parte di governi di sinistra non è stato solo un danno alle nostre tasche ma anche un’ipoteca sul futuro di una infrastruttura vitale per il paese come la rete autostradale. L’impresa  della famiglia Benetton, subentrata allo stato, investe con il contagocce portando a casa rendite enormi dovute alla sua posizione di monopolio (per andare da Bologna a Roma in auto non ho alternative all’autosole) che poi investe in dubbie avventure finanziarie internazionali come quella che è in corso per acquisire le autostrade spagnole di Abertis. Una operazione che arricchisce la famiglia Benetton ma impoverisce l’Italia. Non molto diverso è il discorso per le ferrovie. Anche qui pesa l’insipienza di chi blocca nuove linee di alta velocità senza saper che ad esempio quella tra Milano e Roma ha abbattuto il traffico auto sull’autostrada di quasi la metà. E pesa anche in questo settore il processo di privatizzazione e apertura nel settore alta velocità dove la concorrenza di NTV (impresa che finora non ha fatto che perdere somme enormi puntualmente coperte dal sistema bancario) ha rosicchiato i profitti di Trenitalia che ora non potrà più permettersi di investire nel settore dei trasporti locali sofferenti per fondi scarsi e procedure locali macchinose e lente.

Insomma se Europa e Italia vogliono fare veramente qualcosa per i grandi problemi ambientali occorre

  1. muoversi subito stabilendo un termine ravvicinato per lo stop alla vendita delle auto diesel
  2. spingere a livello nazionale ed europeo per sviluppare grandi infrastrutture ferroviarie e autostradali sia di lungo raggio che medio e metropolitano
  3. promuovere investimenti nella trazione elettrica per auto camion e bus.

Altrimenti non ci resta che sperare nella pioggia o marciare contro il vento caldo come fecero i trogloditi Psilli.