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27 marzo 2024
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Argomenti

La corsa all'Eliseo: un voto di rottura

Riccardo Brizzi - 22.03.2017

Il confronto televisivo di lunedì scorso tra i cinque principali candidati alle presidenziali francesi ha confermato come il tema dominante della campagna elettorale sia la rottura con il passato. Non è d’altronde una novità assoluta nella storia delle presidenziali. Sotto la V Repubblica il mito del cambiamento costituisce la norma. Non si accede all’Eliseo se non si è disposti a sollevare il vessillo della «rottura».  Il generale de Gaulle lo ha fatto in modo clamoroso, a partire dal 1958.  E da allora ogni ambizione di guidare il paese si è fondata, in qualche misura, sulla volontà di rottura con il passato: Giscard d’Estaing ha messo in soffitta il gollismo, Mitterrand ha posto fine all’associazione tra la V Repubblica e la destra, Chirac ha chiuso la lunga parentesi socialista, il volontarismo di Sarkozy garantiva di interrompere il lungo declino dell’era Chirac, mentre Hollande è arrivato all’Eliseo promettendo di restituire «normalità» a una funzione presidenziale logorata dai cinque anni al passo di carica di Sarkozy.

Nella campagna presidenziale del 2017 tuttavia la carica di «rottura» appare più potente e generalizzata che in passato. Essa non è diretta soltanto contro il presidente uscente – che per la prima volta nella storia della V Repubblica  non si è ricandidato alla propria successione, leggi tutto

La nuova geografia politica olandese e la svolta conservatrice

Dario Fazzi * - 18.03.2017

Diversi osservatori, in Europa e altrove, hanno accolto i risultati delle elezioni olandesi dello scorso 15 marzo con un sospiro di sollievo. L’impatto dell’ondata populista e xenofoba cavalcata nei Paesi Bassi da Gert Wilders e dal suo Partito per la Libertà (PVV) è stato profondo, ma non così destabilizzante come molti ipotizzavano e alcuni persino auspicavano.

 

I liberali del premier uscente Mark Rutte hanno infatti conquistato la maggioranza relativa dei seggi, 33 su 150, affermandosi come primo partito del paese, probabile guida del nuovo governo e principale argine contro la deriva ultranazionalista prefigurata da un’eventuale vittoria di Wilders. Gli elettori olandesi hanno preferito la continuità alla rottura, ma le visioni conservatrici di cui Rutte si è fatto artefice e promotore nel corso degli ultimi quattro anni e mezzo non hanno trionfato in maniera netta e assoluta. La vittoria del VVD è infatti macchiata da una perdita di consensi rispetto al 2012 di oltre cinque punti percentuali e ben otto seggi in Parlamento, il che comporterà la necessità di ricercare un’alleanza più ampia rispetto a quella uscente per formare un governo stabile e di legislatura.

 

Al secondo posto si è piazzato Wilders, che fino a qualche settimana prima delle elezionii più autorevoli sondaggi accreditavano come principale partito del paese leggi tutto

Eliseo 2017: verso un radicale cambiamento sistemico?

Michele Marchi - 15.03.2017

Jacques Attali ha di recente definito quella in corso la peggiore campagna elettorale della Quinta Repubblica. I segnali di fastidio, al limite dell’intolleranza, nei confronti della classe dirigente politica non mancano e numerosi sondaggi di opinione parlano di un probabile aumento dell’astensionismo. Peraltro i due candidati che, secondo i dati al momento disponibili, dovrebbero accedere al ballottaggio sono definibili, seppur con caratteristiche differenti, “anti-sistema”. Marine Le Pen lo è per definizione, Emmanuel Macron si è costruito questa immagine lanciando il suo movimento En Marche!, uscendo dal governo Valls e infine decidendo di non partecipare alle primarie del PS, partito al quale peraltro non è mai stato iscritto.

In un quadro ancora molto incerto, a cinque settimane circa dal primo turno del 23 aprile, ci si può soffermare a riflettere con un minimo di attenzione su quattro elementi di una certa importanza e che potrebbero determinare le sorti della presidenziale 2017.

Il primo è senza dubbio l’ascesa costante e quasi prepotente della candidatura Macron. Il giovane enarca è, almeno secondo i principali sondaggi, già con un piede all’Eliseo. Non solo certo di passare al ballottaggio, ma negli ultimi rilevamenti è dato di alcuni punti sopra Marine Le Pen già al primo turno. In tutte le simulazioni di ballottaggio, leggi tutto

La diversa velocità della Germania

Gabriele D'Ottavio - 15.03.2017

Nelle ultime settimane gli istituti demoscopici hanno rilevato repentini e consistenti mutamenti nelle intenzioni di voto degli elettori tedeschi. Il mese scorso si è assistito al cosiddetto «effetto Schulz», cioè alla straordinaria rimonta nei sondaggi della socialdemocrazia tedesca (SPD) sull’Unione dei cristiano-democratici (CDU/CSU) guidata da Angela Merkel.Più di recente invece, alcuni sondaggi darebbero il partito euro-critico e anti-immigrati Alternative für Deutschland non più,come solo la settimana scorsa, stabilmente sopra il 10% dei consensi, bensì al di sotto della soglia a due cifre. Non è escluso che tra il presunto recupero della SPD e l’apparente appannamento di AfD vi sia una qualche relazione. Tuttavia, l’attendibilità degli ultimi sondaggi e la plausibilità di eventuali nessi causali tra le diverse variazioni registrate sono ancora tutte da verificare.

Anche la sola parvenza di una maggiore fluidità del voto tedesco è però un dato di cui occorre tenere conto. Si tratta di un dato che si può tranquillamente aggiungere a quelli già sanciti dalle ultime tornate elettorali. Le ultime elezioni politiche nazionali nel 2013 e il più recente voto regionale nel 2016 hanno infatti evidenziato una crescente volatilità elettorale dei cittadini tedeschi, la repentina affermazione di forze politiche portatrici di sfide inedite e capaci di sottrarre consensi ai partiti tradizionali e una leggi tutto

Il voto di Belfast sfida la Brexit

Massimo Piermattei * - 08.03.2017

Per Theresa May, che sta affrontando il non facile compito di condurre la Gran Bretagna fuori dall’Unione europea ed è impegnata ormai da mesi nel duro confronto con la First minister scozzese Nicola Sturgeon, si apre un nuovo fronte. Stavolta a Belfast, dove le elezioni dello scorso 2 marzo hanno sancito il clamoroso successo del Sinn Féin. Soprattutto in termini di rapporti di forza con l’altro principale partito nord irlandese, il Democratic Unionist Party (il gap tra le due forze politiche è sceso a un solo seggio) e di prevalenza del blocco “nazionalista” su quello unionista – seppur di strettissima misura.

Le elezioni si sono rese necessarie in seguito alle dimissioni dell’esponente di Martin McGuinness, Deputy First Minister per il Sinn Féin, dall’esecutivo che guidava l’Irlanda del Nord, in polemica con la First Minister unionista Arlene Foster sui “Renewable Heat Incentive”, provvedimenti in materia di energia. La particolare autonomia nel Regno Unito del governo nord irlandese si basa,infatti, sul power sharing, cioè la condivisione del potere esecutivo tra i due partiti usciti più forti dalle urne – un escamotage inventato nel 1998, con il Good Friday Agreement, per risolvere l’eterno dualismo tra le forze repubblicane e quelle unioniste e rafforzare così il processo di pace. leggi tutto

L’Olanda alle urne: Il popolo oltre il populismo.

Dario Fazzi * - 22.02.2017

Stando agli ultimi sondaggi, le elezioni che si terranno il prossimo 15 marzo segneranno un momento di svolta per il sistema politico olandese. Le ultime proiezioni, infatti,presentano un quadro piuttosto allarmanteper i due partiti cha al momento guidano la coalizione di governo, i liberali-conservatori del premier Mark Rutte (VVD) e i laburisti del vice-premier Lodewijk Asscher (PvdA). Al declino relativo di VVD e PvdA, che insieme perderebbero oltre il 50% dell’elettorato conquistato cinque anni fa e che passerebbero dagli attuali 79 a circa 37 seggi sui 150 a disposizione in Parlamento, fa da contraltare l’affermazione del leader populista e xenofobo Geert Wilders e del suo Partito per la Libertà (PVV).

 

Il successo di Wilders è legato in massima parte alle medesime ragioni che hanno consentito la crescita e la proliferazione di forze ultranazionaliste e protezioniste tanto negli Stati Uniti quanto in Europa: una crescente insoddisfazione nei confronti delle élites al potere; il dilagare di un senso di profonda alienazione, politica, sociale e culturale; perduranti difficoltà economiche connesse, soprattutto in alcune aree, a una problematica riconversione postindustriale; la percezione che l’identità nazionale sia messa a repentaglio da un’apparentemente inarrestabile e scarsamente gestibile ondata migratoria; la moltiplicazione dei canali di (dis)informazione che, pur contribuendo a incrementare il livello

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Cosa cambia per l'Europa all'ONU dopo la Brexit

Lorenzo Ferrari * - 11.02.2017

L'idea di assegnare all'Unione europea un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell'ONU circola da qualche decennio. È una fantasia che è stata spesso animata dall'Italia – soprattutto per bloccare altri più concreti progetti di riforma dell'ONU – ma che ha naturalmente raccolto anche le speranze dei federalisti. L'Europa sarebbe così diventata a pieno titolo un soggetto politico sulla scena internazionale, in grado di farsi valere e di esprimersi con una sola voce sulle grandi questioni del momento.

La Comunità europea in quanto tale iniziò a essere un soggetto riconoscibile all'ONU durante gli anni Settanta, quando fu ammessa come osservatore permanente all'Assemblea Generale e quando i suoi stati membri cominciarono a coordinare le loro posizioni in quasi tutti gli organi delle Nazioni Unite. La sola eccezione era costituita dal Consiglio di Sicurezza, di cui facevano parte Regno Unito e Francia in maniera permanente e quasi sempre un terzo stato CE in maniera temporanea. Nonostante le richieste dei partner, i due membri permanenti si rifiutarono sempre di portare al Consiglio di Sicurezza posizioni “europee” concordate con gli altri stati membri.

La coordinazione europea sulle questioni leggi tutto

Caos e incertezza a tre mesi dal voto francese

Michele Marchi - 04.02.2017

Jean-Marie Colombani ha parlato della presidenziale “più folle della Quinta Repubblica”. Il sondaggista Jérôme Jaffré ha definito la campagna non ancora ufficialmente iniziata un vero e proprio “gioco al massacro”. Il noto commentatore politico di «Le Monde» Gérard Courtois ha descritto di recente la presidenziale 2017 come una sorta di “thriller politico”. Tutto vero, senza dubbio. Anche se la storia della V Repubblica è ricca di candidature non decollate, vittorie certe e poi sfumate in poche settimane. Che dire del flop di Chaban-Delmas al primo turno del 1974? Come non ricordare l’effimera candidatura di Rocard, avanzata e poi ritirata, una volta sceso in campo Mitterrand? E della meteora Raymond Barre nel 1988? E dello sgambetto di Chirac al quasi certo presidente Balladur nel 1995? Fino, naturalmente, alla clamorosa eliminazione dal primo turno di Jospin nel 2002.

Allo stesso modo c’è poco da scandalizzarsi di fronte all’affaire Penelope Fillon sollevato da «Le Canard enchainé». L’ultracentenario settimanale satirico ha mietuto non poche e autorevoli “vittime” (molte più a destra e al centro che a sinistra, occorre ricordarlo) nella storia della V. La famosa rivelazione di fine 1979 sugli imbarazzanti diamanti centrafricani donati dal dittatore Bokassa all’allora ministro Giscard (il cadeau era del 1973), leggi tutto

La memoria della Shoah nell’era dei selfie. Per un’etica dello sguardo

Maurizio Cau - 04.02.2017

Ora che un’altra “giornata della memoria” è alle spalle, ora che le luci sono tornate a spegnersi in attesa della prossima ricorrenza prevista dal calendario civile, ora che si ripongono nel cassetto le citazioni di Levi e le immagini dello sterminio (o della sua pluridecennale ricontestualizzazione cinematografica), ora che i palinsesti televisivi si sono svuotati del cerimonioso omaggio alle vittime della Shoah (un omaggio prevedibile e sempre uguale a se stesso), ora che tutto questo è passato, è forse possibile sviluppare un ragionamento sul senso e i limiti di quella ritualità retoricamente sovraccarica che, un giorno all’anno, inonda carta stampata, social network, TV.

Come ricordava un paio di anni fa in un denso libretto Elena Loewenthal, che non può essere certo tacciata di scarsa sensibilità sul tema o, peggio, di aspirazioni negazioniste, «il 27 gennaio di ogni anno si evoca il ricordo della Shoah. Si organizzano eventi, incontri, celebrazioni ufficiali. Ma che cosa sta diventando questo Giorno della Memoria? Una cerimonia stanca, un contenitore vuoto, un momento di finta riflessione che parte da premesse sbagliate per approdare a uno sterile rituale dove le vittime vengono esibite con un intento che sembra di commiserazione, di incongruo risarcimento» (Contro il giorno della memoria, ADD editore, 2014). leggi tutto

La svolta politica di Theresa May

Francesco Lefebvre D’Ovidio * - 01.02.2017

A seguito delle dimissioni di David Cameron,la nomina,il 13 luglio 2016, di Theresa May,figlia di un cappellano anglicano del Sussex, a Primo Ministro, ha segnato l’avvio di un nuovo corso della politica del governo conservatore. Secondo le enunciazioni vaghe e retoriche - “to build a stronger economy and a fairer society by embracing genuine economic and social reform” - sinora pronunciate dalla May, la nuova politica viene presentata esplicitamente come divergente dalla piattaforma elettorale del partito con cui il suo leader, Cameron, si era presentato nell’elezione generale del maggio 2015, vincendola con il 36,8% dei voti e assicurandosi il 50,8% dei seggi ai Comuni.

Nel discorso pronunciato il 5 ottobre 2016 alla conferenza del partito e in quello alla Lancaster House del 17 gennaio 2017 la May,procedendo oltre l’affermazione tanto tautologica quanto elusiva“Brexit is Brexit”, il ragionamento svolto dalla premier è, sostanzialmente, incentrato su di una interpretazione del voto referendario che trova scarso supporto, come del resto ogni tentativo di attribuire un unico motivo politico a similivotazioni, per loro natura inadatte a esprimere una direzione politica unitaria su questioni complesse e, piuttosto, tendenti a convogliare in un’espressione di volontà dicotomica aspirazioni o proteste fortemente differenziate. Il referendum, ha dichiarato nel discorso del 5 ottobre, “non è stato solo un voto per ritirarsi dalla EU” ma per “qualcosa di più ampio”, leggi tutto