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Il quadro politico catalano

Mauro Milano * - 11.10.2017
Junts pel Sí

L’indipendenza della Catalogna dal resto della Spagna è piena di incognite. È un progetto politico che ha unito, negli ultimi anni, visioni molto diverse. Il blocco sovranista non potrebbe essere più eterogeneo: va dal centrodestra liberale alla sinistra radicale. Abbraccia la politica tradizionale ma anche la società civile. Un’idea fissa tiene insieme tutte queste posizioni: la creazione della nuova repubblica catalana. 

Quello del 1° ottobre non è stato il primo referendum per la secessione. Dopo due tentativi, anch’essi illegali, nel 2009 e 2014, si è voluta dare una connotazione referendaria alle elezioni “autonomiche” del 27 settembre 2015. Tanto che la forza di governo lo sottolinea persino nella sua denominazione: Junts pel Sí, “insieme per il Sí (all’indipendenza)”. Questa Grande Coalizione alla catalana comprende quattro partiti e nove associazioni impegnate per la salvaguardia dell’identità locale o nella causa indipendentista. Si tratta di un elemento che differenzia la Catalogna dal resto della Spagna, poco incline al cartello elettorale. Di un insolito colore verde acqua, si regge sull’accordo tra i due più grandi partiti locali. 

L’azionista di maggioranza della “candidatura civica” JxSí oggi si chiama Partit Demòcrata Europeu Català – PDeCat, ma dal 1974 al 2016 è stato Convergència Democràtica de Catalunya. Già aggregato di forze tra il centro e il centrodestra di area liberale (il suo gruppo europeo è l’ALDE) nell’ultimo mese della dittatura, si unisce ai democristiani della UDC (Uniò Democràtica de Catalunya) con la sigla CiU (Convergència i Uniò). È primo al Parlament di Barcellona da quando c’è la democrazia [http://www.historiaelectoral.com/ciu.html], nonostante gli scandali nei quali è coinvolto dal 1990. Lo storico leader Jordi Pujol e la sua famiglia sono sotto processo dal 2012 per frode fiscale, riciclaggio di denaro e falso [http://www.eldiario.es/tribunaabierta/Panorama-corrupcion-Catalunya_6_646445382.html]. La CiU a guida Pujol ha edificato l’autonomia catalana, che è alla base dei desideri sovranisti. Dopo il 1984 supera sempre il milione di voti regionali - ha meno successo nazionale - tranne che nel 2006, quando si conferma all’opposizione. Dopo il 28% nel 1980, il “pujolismo” si stabilizza al 46-47% (sufficiente per la maggioranza assoluta dei seggi locali) nei successivi 12 anni [http://www.argos.gva.es/ahe/pls/argos_elec/DMEDB_ElecComunidades.informeElecDetallado?aNComuId=9&aNNumElec=1&aVTipoElec=G&aVFechaElec=1979&aVLengua=c]. Dal 1992 diminuisce nei consensi e scende a patti con i popolari nazionali: il PP appoggia il governo Pujol in Catalogna, CiU lo fa con José Maria Aznar a Madrid. Ma nel 2003 perde. Artur Mas, il nuovo leader, dovrà aspettare sette anni per riportare Convergència al governo. La maggioranza del 2010 è però troppo precaria. Nel 2012 si torna alle urne e Mas è presidente della Generalitat grazie a un accordo che è alla base di JxSí. [https://www.lavozdegalicia.es/noticia/espana/2012/12/19/ciu-erc-escenifican-acto-firma-acuerdo-gobernabilidad/00031355919586021591143.htm] Intanto Uniò divorzia da CDC e quest’anno ha dichiarato conclusa la sua esperienza politica.

L’altro socio forte del blocco indipendentista è Esquerra Republicana de Catalunya – ERC (“sinistra repubblicana di Catalogna”). È una forza storica, fondata nel 1931 e da sempre indipendentista. Il suo serbatoio principale di voti sono le province dell’entroterra catalano, le più secessioniste. Si presenta regolarmente anche nella Comunità di Valencia e nelle Isole Baleari, considerati “Països Catalans” nell’ambito del “pancatalanismo”. È il partito di Lluís Companys, presidente della Generalitat rapito e consegnato al dittatore Franco dai nazisti nel 1940. Ha espresso anche il presidente degli anni della Transición: l’anziano Josep Tarradellas, per decenni in esilio. Nell’era Pujol si ridimensiona. Oscilla tra il 2,5 e il 13%, ma ha una tendenza comunque positiva fino a guadagnarsi l’etichetta di “partido bisagra”, partito “cerniera” [http://www.historiaelectoral.com/perc.html]. Dal 2003 è per sette anni ago della bilancia nel “Tripartit” con i socialisti e la sinistra radicale e verde ICV-EiUa; dal 2012 appoggia Artur Mas. Ha aderito a JxSí, insieme all’importante esponente dei Verdi (alleati dal 2015 di Podemos) Raül Romeva, attuale responsabile degli affari esteri in quota ERC, come la presidente dell’assemblea catalana, Carme Forcadell. La Sinistra Repubblicana ha avuto un successo sempre maggiore con la crescita del sentimento indipendentista. Oggi la voce secessionista più esposta al Congresso è il suo portavoce Gabriel Rufián. Il suo leader Oriol Junqueras, Vicepresidente della Catalogna, è dato come nuovo President de la Generalitat

Il 27-S (“numerónimo” per il giorno delle elezioni catalane del 2015) le urne hanno però consegnato una maggioranza secessionista solo nei seggi. Il 53% ha votato per liste che non hanno l’indipendenza nel programma. E la stessa JxSí non ha ottenuto i fatidici 67 deputati necessari per governare. Questo impasse ha portato alla ribalta un’altra coalizione indipendentista, la Candidatura d’Unidad Popular, di estrema sinistra. La CUP in piazza agita la bandiera indipendentista con la stella rossa in campo giallo e ha unificato tante esperienze elettorali, effimere fino al 2012. Anche grazie alla crisi economica, politica e di sistema, ha portato (con più di 300mila voti) dieci suoi esponenti al Parlament. Dalla “lotta per la liberazione nazionale e sociale dei Paesi Catalani” è passata ad essere determinante per le sorti della Generalità catalana. Offre l’appoggio esterno, ma ha subito impedito la rielezione di Artur Mas, aprendo la strada alla presidenza di un politico non di primissimo piano: il sindaco di Girona (dov’è stato il terzo degli eletti per JxSí) Carles Puigdemont [http://www.lavanguardia.com/politica/20160109/301290104228/carles-puigdemont-president-generalitat.html].

In Spagna, per poter governare, chi ha la maggioranza relativa deve guadagnarsi – negoziando - l’appoggio di altri gruppi, anche con un’astensione. L’attuale governo di Mariano Rajoy sta andando avanti così. Lo stesso meccanismo si ripete in piccolo nelle assemblee locali e in Catalogna. Come il nemico Presidente del Governo spagnolo con cui non c’è spazio per il dialogo, Puigdemont guida un governo precario e diviso, che affronta una prova tra le più difficili degli ultimi anni, per la Catalogna, la Spagna e tutta l’Europa.

 

 

 

 

* Laureando in storia contemporanea della Spagna