La questione catalana dopo la dichiarazione d’indipendenza a metà di Puigdemont
Partiamo dagli ultimi fatti. Il presidente del governo catalano, Puigdemont, nell’attesissimo discorso del 10 ottobre ha dichiarato di assumere il mandato che il popolo catalano avrebbe espresso con il voto del 1° ottobre affiché la Catalogna diventi uno Stato indipendente in forma di repubblica, ma ha sospeso gli effetti della dichiarazione d’indipendenza per favorire l’avvio di un dialogo in vista di una soluzione concordata. Riunito il governo, Rajoy, gli ha domandato il giorno dopo di chiarire se c’era stata dichiarazione di indiendenza o no, dando tempo per la risposta fino a lunedì 16, per avviare in caso affermativo le procedure contemplate dall’art. 155 della Costituzione, che preve il passaggio al governo centrale di alcune delle competenze del governo catalano. Di fatto una esautorazione, che Rajoy non avrebbe difficoltà a far approvare, come richiesto dalla Costituzione, dal Senato, dove il Partito Popolare dispone di maggiornaza assoluta. A questo ultimatum si è aggiunto quello, di ben altro segno, che la CUP (coalizione della sinistra anticapitalista e indipendentista), ascoltato il suo discorso, ha lanciato a Puigdemnot: o dichiarazione formale di indipendenzaentro entro un mese o ritiro della fiducia al suo governo. I socialisti da parte loro si sono detti d’accordo sul ricorso all’art. 155 a condizione che si apra un tavolo sulla riforma costituzionale, tema sul quale Rajoy avrebbe aperto uno spiraglio. Infine Podemos, che ha rinfacciato ai socialisti la subalterinità al governo e l’indiponibilità a votare, assieme ai rappresenanti dei partiti nazionalisti catalano, basco e galiziano presenti nelle Cortes di Madrid, una mozione di censura, che automaticamente porterebbe alla formazione di un governo di sinistra capace di interloquire con l’indipendentismo catalano.
Come interpretare gli avvenimenti degli ultimi giorni? La pressione internazionale, la fuga delle sedi centrali di alcune banche e imprese dalla Catalogna, la volontà di scongiurare l’attivazione immediata dell’art. 155, hanno indotto Puigdemont a fare un discorso volutamente ambiguo, un mezzo passo indietro, e a passare il cerino a Madrid. È stato un gesto prudente, che proprio per questo ha indisposto e fortemente incrinato i rapporti con la CUP. Una mossa che ha certamente contribuito a non far precipitare immediatamente la situazione, ma che non ha avvicinato la soluzione del porblema. La pressione internazionale ha agito anche su Rajoy: i governi e le istituzioni europee si sono schierato tutti dalla parte del suo governo e del rispetto della Costituzione (diverso l’atteggiamento dell’opinione pubblica, disgustata dall’intervento della polizia e divisa come se si trattase di fare il tifo per l’uno o per l’altro), ma hanno anche criticato l’esagerato intervento della polizia contro i votanti al referrendum del 1° ottobre ed esortato al dialogo. Dialogo a cui, pur a denti stretti, Rajoy ha poi detto di essere diponibile, sempre che avvenga nell’ambito della Costituzione. Forse non ininfluente su entrambi i campi è stato quel sussulto di sensatezza vestito di bianco che ha attraversato il paese iberico con manifestazioni di tanti cittadini che a Madrid, Barcellona e altre città, senza bandiere e simboli di partito, hanno chiesto un dialogo tra le parti, all’insegna del parlem (parliamo). Un movimento tuttavia controcorrente e minoritario rispetto alla polarizzazione e radicalizzazione delle posizioni che nei due campi sembra continuare ad avere il sopravvento.
I rapporti tra Madrid e Barcellona vivono una fase di delicatezza estrema, la più grave dal punto di vista politico e istuzionale dal ritorno della democrazia nel paese iberico, che non ha soluzioni dietro l’angolo ed è aggravata da tre crisi concomitanti. In primo luogo quella del sistema politico spagnolo, fortemente incrinato, dopo decenni di bipartitismo e alternaza semiperfetti (per via del potere esercitato in alcune occasioni dei partiti nazionalisti catalano e basco di garantire la governabilità), dalla comparsa di Podemos e Ciudadanos. Non va infatti dimenticato che nonostante due elezioni ravvicinate Rajoy è privo di maggioranza alla Camera dei deputati, mentre il suo partito è debilitato dagli scandali che l’hanno investito. In secondo luogo quella del quadro politico catalano, per la improvvisa conversione nel 2010 all’indipendentismo dell’ex Convergencia Democràtica de Catalunya, che ha provocato la rottura con Unió Democràtica de Catalunya con la quale aveva governato vent’anni in coalizione (CiU), per il fatto che a una maggioranza parlamentare indipendentista non ha mai corrisposto la stessa maggiornaza in termini di voti, poi perché dietro il progetto indipendentista si cela una profonda divisione tra le forze che lo sostengono, le quali non potrebbero mai governare assieme una Catalogna indipendente. In terzo luogo la crisi del soggetto Europeo, dilaniato dal ritorno dei particolarismi nazionalistici, sottoposto al ricatto dei movimenti xenofobi, incapace di fornire risposte di respiro al problema epocale dei flussi migratori, privo di una leadership autorevole e soprattuto non più capace di alimentare quel sogno di piena integrazione e cittadinanza che l’aveva visto nascere e prosperare per almeno quattro decenni.
Tirando le fila, l’impressione che si ricava dagli avvenimenti spagnoli è che, all’insegna del “patriotttismo della Costituzione”, Rajoy punti a chiudere la questione catalana ricorrendo all’art. 155. Ma chiudere non è risolvere. Anche perché il nazionalismo basco, che ha osservato finora con scontata simpatia gli sviluppi della situazione catalana, tornerà prima o poi a riproporre la questione della sovranità dei Paesi baschi, magari in forma condivisa. Non a caso il presidente del governo basco, Urkullu, solo qualche gorno fa ha richiamato una sentenza del Tribunale costituzionale del 2014 che invitava al dialogo in caso di conflitto istituzionale.
* Professore ordinario di storia contemporanea presso il Dipartimento di Studi linguistici e culturali dell'Università di Modena e Reggio Emilia
di Luca Tentoni
di Raffaella Gherardi *