Una “rifondazione socialdemocratica” inizia da Bruxelles?

Una buona notizia, che dovrebbe far piacere a chiunque abbia a cuore le sorti pericolanti del sano confronto politico in Europa. Ma anche una notizia che da sola non ha avuto la forza di guadagnare le prime pagine dei giornali e gli spazi di maggior rilievo nella rete, e il fatto è già eloquente. Risale a qualche settimana fa la convocazione a Bruxelles di un incontro tra socialdemocratici europei, sotto l’egida del gruppo all’Europarlamento guidato da Gianni Pittella, che appare quanto di più simile al tentativo di una rifondazione politica. Già la scelta dell’insegna dell’incontro, “Together”, divenuta intanto anche una piattaforma online, sembrava invitare alla non più rinnovabile elaborazione di una linea comune e rinnovata tra le tante anime del socialismo europeo, di fronte a un declino che non ha precedenti nel dopoguerra tanto da spingere alcuni osservatori a postularne l’irreversibilità. Negli ultimi mesi, infatti, le urne europee hanno dato responsi drammatici, con la riduzione all’irrilevanza dei partiti socialisti in Olanda e in Grecia, il peggior risultato dal 1949 per la SPD tedesca, l’onta del rischio di un superamento da parte dell’estrema destra per gli austriaci, il disastro e le divisioni dei socialisti francesi (e l’elenco è tutt’altro che completo).
Ed è soprattutto rilevante che, alla base dell’iniziativa e della costruzione di una “piattaforma progressista per il continente”, vi fossero due propositi che suonano come una profonda autocritica. Innanzitutto, con qualche anno di ritardo sull’evidenza, è stata dichiarata conclusa la stagione delle “Grandi Coalizioni”, ovvero delle collaborazioni strutturali di governo con forze decisamente distinte e in altri tempi antitetiche, come quelle di matrice cristiano-democratica. Sebbene tali coalizioni in passato siano state percepite come la risposta obbligata a fasi di crisi momentanea e abbiano svolto un ruolo innegabile nel loro superamento, la loro trasformazione in un’opzione permanente al pari delle altre ha finito per provocare confusione nell’elettorato e per ridurre la riconoscibilità dell’offerta politica, di cui evidentemente ha fatto le spese soprattutto la componente socialdemocratica. Nella maggior parte dei casi, in onore alla necessità di superare l’attuale sovrapporsi di crisi (economica, istituzionale, migratoria), quest’ultima ha accettato di promuovere politiche e iniziative che hanno contraddetto fortemente la sua storia e la sua identità, allontanando parte dell’elettorato tradizionale senza garantire nuovi guadagni. Inoltre, l’annullamento di un sano confronto tra idee e programmi contrapposti, che dovrebbe rappresentare una delle chiavi di volta della democrazia rappresentativa, ha finito per avvantaggiare le vecchie e nuove opposizioni di destra di stampo più marcatamente antisistemico. Contro la loro preoccupante ascesa, a nulla è valsa la narrazione secondo cui partiti responsabili di governo, indipendentemente dal colore, si univano come ultimo baluardo contro ogni sorta di populismo “di destra e di sinistra”. Quest’ultima definizione, al contrario, ha finito per determinare il rigetto a priori di ogni critica o proposta alternativa, precludendo alle stesse forze socialdemocratiche confronti potenzialmente utili al suo rinnovamento.
Ed è proprio su questo piano che è emersa la seconda novità dalla riunione di Bruxelles: l’apertura al dialogo e alla collaborazione con forze sbrigativamente demonizzate in passato (come Syriza) o attori nuovi del campo progressista, nati dalle urgenze dell’attualità, come i movimenti civici che si oppongono ai governi delle destre in Ungheria e Polonia. Se è prematuro immaginare la nascita a breve di una sorta di nuova “sinistra plurale” su scala continentale, un simile confronto condotto in piena franchezza e senza pregiudizi potrebbe quantomeno avere l’effetto di spronare l’immaginazione politica dell’attuale socialdemocrazia, dormiente da tempo e di cui invece ci sarebbe un gran bisogno per elaborare strategie originali di uscita dalla crisi politica, economica e istituzionale che attanaglia l’Europa.
Infine, un ulteriore elemento positivo è identificabile con la sede in cui tale iniziativa si è svolta: quelle istituzioni europee spesso accusate di tecnocrazia e apoliticità e che negli ultimi anni hanno visto l’apogeo dello spirito di “Grande Coalizione” di cui già si diceva. Raramente in passato, al di là degli slogan, un’iniziativa di rinnovamento politico ha preso le mosse dallo spazio comunitario, che al contrario si è spesso trasformato in una camera di compensazione tra interessi nazionali di cui i partiti si sono fatti latori. È dunque in questa fase di prepotente rinazionalizzazione delle istanze politiche, della quale nuovamente la socialdemocrazia ha fatto le spese in termini di consensi, che una nuova politicizzazione dello spazio comunitario sarebbe più che mai salutare per contrastare vecchi e nuovi particolarismi.
Sostenere che l’iniziativa di Bruxelles sia destinata ad avere effetti concreti sarebbe un azzardo, a fronte dei tanti fallimenti patiti in passato. Nondimeno, essa avrà già un effetto positivo se contribuirà a risvegliare il desiderio di elaborare progetti e strategie di discontinuità per affrontare i problemi odierni, piuttosto che ripiegare sulla strategia sterile e in definitiva perdente di sopravvivenza alla quale la socialdemocrazia si è condannata negli ultimi anni.
di Paolo Pombeni
di Giovanni Bernardini