Argomenti
La guerra delle materie prime e lo scudo ucraino
Quello che l’economista Giuseppe Sabella ha consegnato all’editore Rubbettino (che lo sta diffondendo con grande successo a 1,99 euro e proventi per l’Ucraina) è qualcosa di più di un saggio breve, un paper come si dice in gergo: è un’originale ed approfondita analisi delle motivazioni prodromiche che hanno scatenato l’aggressione militare della Russia all’Ucraina e delle varie concause che l’hanno determinata e sostenuta. Abituati agli estenuanti e spesso stucchevoli dibattiti televisivi dove i tuttologi esprimono congetture, interpretazioni, punti di vista, opinioni sovente non suffragate da analisi competenti, forse più preoccupati di prendere posizione o di esporre suggestioni quasi mai aderenti alla realtà, si resta sorpresi nel leggere questa trentina di pagine dove Sabella espone in modo chiaro alcune riflessioni più che plausibili.
Egli scrosta le apparenze e le suggestioni che coprono la realtà (come una sorta di “cappa” direbbe Veneziani) e riporta ogni approfondimento sul piano dell’approccio geopolitico ma soprattutto geoeconomico: è da tempo convinto assertore della matrice e della genesi economica, tecnica e scientifica di ciò che sta accadendo a livello planetario. Allievo di un grande filosofo della Scienza, il compianto Prof. Giulio Giorello (ho avuto l’onore di conoscere e intervistare entrambi e di coltivare una consonanza di interessi culturali con l’amico Giuseppe, leggi tutto
Credevamo di essere i padroni del mondo. Non lo eravamo e non lo siamo
Nel 2008 il politologo Fareed Zakaria pubblicò un libro dal titolo a effetto, The Postamerican World, che fu un immediato successo e si impose nel dibattito crescente sulla fine del mondo unipolare teorizzato alla fine della Guerra fredda. Un mondo fondato sugli Stati Uniti in quanto “nazione indispensabile”, come li definì Madeleine Allbright nel 1997, decisore di ultima istanza a livello internazionale nonché modello dell'unico sistema politico universalmente valido, la liberaldemocrazia. Erano i tempi fra i due millenni di Condoleeza Rice e della famosa contrapposizione del neoconservatore Robert Kagan fra gli europei figli di Venere, molli, legati al compromesso e al soft power, sostanzialmente imbelli, e gli americani figli di Marte, sempre pronti alla guerra in difesa della democrazia. Una decina soltanto di anni dopo le cose erano cambiate. Cina, India e mondo islamico del petrolio, ma non solo, avevano acquisito un'assertività e un'autonomia economica e politica che costringevano a parlare di un nuovo ordine multipolare. Le cose dal 2008 sono andate molto oltre tanto che due classici argomenti a sostegno della superiorità della democrazia occidentale, la sovranità popolare e il diritto di autodeterminazione dei popoli, sono stati formulati in modo del tutto nuovo nel Libro bianco sulla democrazia approvato dal Consiglio di leggi tutto
Quella in corso per il voto presidenziale previsto il 10 e 24 aprile è un’anomala campagna elettorale
Prima dell’invasione russa dell’Ucraina pur non mancando alcune incognite e zone d’ombra, la rielezione di Macron era data per probabile e questo anche a causa di una serie di competitors difficilmente ascrivibili al novero dei “presidenziabili”. Dopo il 24 febbraio tutti i sondaggi hanno registrato un’importante crescita di intenzioni di voto nei confronti del presidente uscente. Ad oggi pensare ad una non rielezione di Macron il 24 aprile significa muoversi sul terreno della fantapolitica, piuttosto che su quello dell’analisi razionale. Dunque il primo elemento di anomalia è senza dubbio la convinzione diffusa tra i sostenitori di Macron ma in larga parte anche presso chi vi si oppone, che per vedere una competizione presidenziale aperta ed incerta occorrerà attendere il 2027.
In realtà anche prima dell’accelerazione drammatica in Ucraina, la campagna elettorale transalpina stentava a decollare. Da un lato Macron ha fatto di tutto per ritardare la sua ricandidatura in parte sfruttando l’emergenza pandemica, in parte riproponendo un approccio di Charles de Gaulle nel 1965 (all’epoca con risultati non memorabili). Dall’altro lato per ragioni oggettive, è complicato fare bilanci sui cinque anni di guida del Paese. Se si esclude sostanzialmente il primo anno, il quinquennato macroniano è stato dominato da tre clamorose emergenze. La prima tutta interna al leggi tutto
Un momento di riflessione sull'Occidente e gli altri
Si parla molto di una rinnovata unità europea e occidentale nata dall’aggressione di Putin all’Ucraina. È vero, ma si tratta di un'unità dettata dall'emergenza che non risolve le tante divisioni esistenti in Occidente e quelle che nasceranno dalle conseguenze del conflitto. Mi pare che per affrontarle si debba dare il via fin da ora a una pulizia mentale, una vera e propria pulizia etica, di cui desidero schizzare quelli che ritengo siano alcuni tratti.
A mio avviso occorre partire dalla storia e ricordare che l’Occidente è stato prima europeo, poi euroamericano e anche eurorussoamericano se riandiamo a un grande nemico di Putin, Pietro il Grande, e a un altro suo grandissimo nemico, Lenin, perché entrambi rientrano in pieno nella storia occidentale – dimentichiamo la Guerra fredda e ci accorgeremo che marxismo e bolscevismo ne fanno parte. Il contributo storico di questo variegato, uso un eufemismo, Occidente è stata la costruzione della modernità le cui origini troviamo nella rivoluzione scientifica e nell’Illuminismo. Ottimi entrambi, anche perché si proponevano come valori universali destinati a beneficiare tutti i popoli. Il loro universalismo diede vita a una teleologia storica che si riassunse, fin dal Settecento di Francis Hutcheson e Condorcet, nelle idee di progresso e di liberazione degli leggi tutto
L’ombra lunga di Angela Merkel
Per molti osservatori, l’era Merkel è già storia. Con buone ragioni, anche in Italia molte case editrici hanno considerato la vigilia del voto tedesco un’occasione propizia per sfornare dei nuovi volumi sulla Kanzlerin. Tuttavia, per capire l’effettiva portata storica dell’esperienza politica di Angela Merkel bisognerà attendere ancora a lungo. Il solo appuntamento elettorale di domenica scorsa dovrebbe poter ambire a diventare l’oggetto di un capitolo aggiuntivo delle tante biografie politiche che sono uscite nelle settimane scorse. Il fattore Merkel ha infatti pesato non poco: sulla campagna elettorale, sulle strategie comunicative dei partiti e soprattutto sulle scelte di voto. Alla fine il socialdemocratico Olaf Scholz ha vinto la partita dei consensi contro gli sfidanti Laschet (CDU), Baerbock (Verdi) e Lindner (FDP), anche perché il vice-cancelliere e ministro delle finanze uscente è riuscito a sfruttare abilmente la carta della continuità con la Kanzlerin. In maniera un po’ paradossale, l’elevata popolarità di Angela Merkel ha finito per penalizzare il suo partito, al di là dei gravi scivoloni comunicativi in cui è incappato il nuovo leader della CDU. Una parziale ma significativa conferma della rilevanza del fattore Merkel sul voto la possiamo già ricavare dalle prime stime dei flussi elettorali. Rispetto alle elezioni precedenti, oltre un milione leggi tutto
Lezioni tedesche?
Non c’è niente di più facile che attribuire alle elezioni negli altri paesi il significato che più fa piacere a chi lo formula da casa nostra. Pochi conoscono le peculiarità presenti in un’altra nazione e si può facilmente attribuire a quel che è successo il “colore” che più aggrada al nostro politico di turno.
Ciò non significa che qualche spunto di riflessione non si possa proporre, lasciando perdere le strumentalizzazioni banali. Vogliamo citare le due più clamorose. Una è quella di Letta che si precipita a dire che la lezione che viene da Berlino è che dalla crisi della pandemia si esce a sinistra, quando tutti sanno che Scholz ha vinto come candidato “moderato” e riformista, dopo essere stato in un recente passato duramente contestato dall’ala sinistra della SPD che non lo ha voluto presidente (ci risparmiamo i paralleli con il PD). L’altra è quella secondo cui i partiti in Germania manterrebbero un forte radicamento tradizionale, come se non si fosse vista una consistente mobilità che in un trentennio ha cambiato il quadro politico e le fedeltà elettorali. Lì come altrove sulle bandiere di parte hanno prevalso le figure dei candidati, le persone sono venute prima del richiamo della foresta alle identità ideologiche. leggi tutto
Elezioni tedesche: verso una nuova fase politica?
Dopo 16 anni di governo Merkel, le prossime elezioni tedesche sembrano nuovi scenari futuri. A partire dall'inizio di agosto tutte le rilevazioni hanno registrato una ripresa in termini percentuali della socialdemocrazia tedesca (SPD) e un calo dell'unione (CDU-CSU). Ad oggi (8/09) la media dei sondaggi recenti vede la SPD al 25,2 % (+ 5% rispetto alle elezioni del 2017 e + 10% rispetto alle europee), con la CDU-CSU al 20,9%, distaccata di quasi 5 punti percentuali (-12% punti sul 2017). Anche i verdi hanno un pronostico positivo con il 16,3% (+7,4 sul 2017), anche se più basso rispetto ai mesi scorsi quando sembravano essere destinati a diventare il secondo partito. La svolta è avvenuta nel mese di agosto quando progressivamente tutti gli istituti hanno registrato la ripresa della SPD e quasi tutti il suo primato con percentuali oscillanti ora (8/09) tra il 2% (GMS) e il 6% (Forsa). Solo l’istituto di Allensbach il 28/08 continuava a vedere in lieve vantaggio l’Unione (+2%) sulla SPD, dopo un vantaggio a fine luglio di 14 punti, ma l’8/09 si è registrato anche qui il sorpasso. Naturalmente queste indicazioni vanno prese con cautela. Anche in Germania l’indebolimento del legame tra elettori e partiti ha aumentato la volatilità degli orientamenti degli intervistati, rendendo i sondaggi più soggetti ad errori e non va dimenticata leggi tutto
I Significati di una coppa “europea”
La vittoria dell’Italia sull’Inghilterra nel campionato europeo contiene molti aspetti che vanno ben al di là dell’incontro calcistico in sé, come è inevitabile per ogni manifestazione sportiva di grande impatto mediatico. Non manca chi si lamenta dell’eccessivo significato attribuito ad una partita di calcio, ma è evidente che una simile estensione dipende dalla natura umana, cioè dalla inevitabile tendenza ad attribuire alle grandi vicende della vita materiale significati che vanno oltre il fatto. Una partita di quel livello, ad esempio, non sarà mai solo un confronto pedatorio, ma verrà sempre letta attraverso una lente generatrice di simboli a partire, ad esempio, da quello della forza o debolezza dell’intero Paese. In un mondo organizzato in nazioni, queste competizioni non fanno altro che ribadire l’esistenza di appartenenze e confini che dalle grandi rivoluzioni settecentesche sino alla fine della Seconda guerra mondiale (e anche oltre) sono sempre state confermate attraverso le guerre. Come è noto, infatti, le competizioni sportive non sono altro che la forma depotenziata e civilizzata dello spirito bellico, causa ed effetto di quel bisogno di identificazione e appartenenza che incanala e organizza la vita di miliardi di persone nel mondo. Non è d’altronde un caso che il premier britannico Boris Johnson, leggi tutto
In tema di Europa: dieci anni fa la nuova Costituzione ungherese… e poi?
Dieci anni fa, nel mese di aprile, veniva votata dall’Assemblea Nazionale e poi firmata dall’ allora Presidente della Repubblica, Pál Schmitt, la nuova Costituzione ungherese che entrerà in vigore il 1 gennaio 2012. Il testo, approvato in meno di otto mesi, era stato fortemente voluto dal partito di governo del Fidesz, guidato da Viktor Orbán dopo la plebiscitaria vittoria ottenuta nelle elezioni del 2010. Molte perplessità furono immediatamente espresse da istituzioni europee e internazionali: innanzitutto dal Consiglio d’Europa, attraverso la Commissione di Venezia e dal Parlamento europeo. Anche diverse ONG impegnate nella difesa dei diritti umani e numerosi osservatori internazionali sollevarono forti critiche, interpretando alcune disposizioni del nuovo testo costituzionale come segnale di una involuzione autoritaria da parte dell’Ungheria. Il Consiglio d’Europa e il Parlamento europeo si mostrarono critici anche rispetto alla impostazione generale della nuova fase costituente ungherese, sia sulle carenze di democraticità e trasparenza che avevano caratterizzato le procedure di redazione del nuovo testo costituzionale, (frutto di una assemblea costituente leggi tutto
L’Europa della “resilienza”: il fascino discreto di una parola-simbolo tra presente e futuro
Non c’è bisogno di grande spirito di osservazione per mettere in luce come il termine “resilienza” sia divenuto particolarmente nel corso del nuovo millennio (e secondo una parabola ascensionale fortemente e rapidamente accentuata verso l’alto in corrispondenza con l’esplosione della pandemia covid 19) la parola chiave per eccellenza di larga parte della pubblicistica scientifica e della cultura diffusa a vari livelli. Basta fare un rapido giro su internet per avere una prima testimonianza della grande quantità di libri e pubblicazioni che, a partire da saperi scientifici diversi, in casa nostra e in Europa, fanno della resilienza una sorta di grido di battaglia intorno al quale coagulare ogni sforzo ed energia per attraversare la/le crisi e farvi fronte in modo vincente da parte dei singoli individui o della società nel suo complesso. Resilienza, resiliencia, resilience, résilience, resilienz: ecco il fortunato concetto che, declinato in diverse lingue, si fa strada fino a divenire una rassicurante parola simbolo da rilanciare tanto più forte nella drammatica temperie di una pandemia che travolge ora la vita degli uomini e delle donne nel mondo intero, a livello individuale e collettivo. La sfida vincente dell’“uomo resiliente” alle crisi, capace di affrontarle e di uscirne semmai rafforzato leggi tutto