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Un’Europa dispersa nelle nebbie

Paolo Pombeni - 26.06.2019
Tusk e Van Rompuy

Si può guardare al problema da un’ottica italiana, visto quanto pesa su di noi, ma è altrettanto giusto considerarla da un punto di vista più generale. Ci riferiamo alla situazione attuale dell’Unione Europea mentre si sta avviando la nuova legislatura. I problemi sono molteplici, vorremmo quasi dire che quello italiano è il minore, anche se ha una sua importanza.

Quel che colpisce di più in questo momento è l’assenza di un soggetto, individuale o istituzionale, che sembri essere in grado di gestire questo difficile passaggio: difficile anche solo perché quel che sta succedendo in Gran Bretagna, con la prospettiva di una Brexit disordinata, ma spalleggiata da un irresponsabile Trump, dovrebbe essere sufficiente a ridare fiato ad un decente progetto europeista. Invece a dominare sembra essere più che altro la confusione.

L’attuale Commissione si appresta a lasciare il campo senza passare alcun tipo di eredità. Juncker non è certo stato un presidente di “visioni” e la sua squadra non ha brillato. Certo sia lui che i suoi commissari erano stati accuratamente scelti in modo da non fare ombra ai principali capi di stato, così come del resto era stato fatto anche in precedenza. Basterà richiamare qualche dato per rendersene conto.

Chi si è occupato di questioni europee ricorderà ad esempio il grande scalpore con cui erano state varate due riforme che sembravano dover dare ali alla presenza comunitaria: il presidente della UE e il responsabile della politica estera e di sicurezza, lo strombazzato “Mister PESC”. Nel primo ruolo si sono esibiti due politici che non hanno lasciato tracce: il belga van Rompuy e il polacco Tusk. Del primo si è persa memoria dopo la fine della sua presidenza, il che non è indice di una grande personalità. Del secondo vedremo, ma anche in questo caso non ci sono indizi di una particolare capacità di protagonismo (si sta rifacendo un po’ in chiusura di mandato, perché sembra essere il raccordo attuale per le comunicazioni fra i capi di stato). Quanto a “Miss PESC” (nel ruolo si sono succedute due donne) nulla che corrisponda all’enorme investimento in stipendi, sedi e personale che ha comportato l’allestimento di un servizio diplomatico UE: la prima a ricoprire la carica, la britannica lady Ashton, è stata una presenza insignificante, la seconda, l’italiana Mogherini, ha cercato di far qualcosa di più ma con scarsissimi risultati.

A fronte di tutto questo cosa stanno facendo i capi di stato riuniti nel Consiglio? Negoziano, ma l’ultima cosa che interessa loro è dar vita ad una Commissione di peso. Bisogna dire che è una missione quasi impossibile nel momento in cui tutto viene interpretato in chiave di interessi nazionali, perché è evidente che da quel punto di vista una personalità di peso che appartiene allo stato X viene da tutti considerata come un indebito vantaggio a quello stato, dandosi per scontato che non farà mai una politica in cui lavora per l’Unione spogliandosi della sua provenienza nazionale. Naturalmente non è detto che sia così: basterebbe l’esempio di Mario Draghi alla BCE dove ha lavorato nell’interesse dell’intera zona euro, ma naturalmente per i maligni la sua politica è stata letta come un grande favore all’Italia (che ne ha beneficiato, ma non più degli altri).

Aggiungiamoci che anche a personaggi di rilievo sembra interessare molto poco un ruolo chiave in Europa. L’esempio evidente è la Merkel che si è sottratta quasi sdegnosamente di fronte alla sua candidatura al vertice della Commissione, candidatura promossa, forse strumentalmente, dal presidente Macron. Che fra i 27 ci fosse poco entusiasmo per trovarsi a fare i conti con un presidente del suo calibro è probabile e che di conseguenza la Merkel non avesse intenzione di finire distrutta nel tritacarne delle nomine lo è altrettanto, ma resta il fatto che non ha nemmeno accennato ad una volontà di saggiare il terreno su cui combattere quella battaglia.

Ora è piuttosto sconcertante che i capi di stato europei non si rendano conto che nell’attuale inasprirsi delle contese internazionali è senza senso pensare di continuare a giocare una partita basata sulle politiche estere delle singole nazioni, eventualmente da coalizzare nel solito vecchio gioco delle intese bi- o multilaterali. Pensiamo che almeno i lo sistemi diplomatici li abbiano avvertiti che USA, Russia e Cina stanno lavorando per infilarsi nelle loro contese e per trarre vantaggi dalle fibrillazioni pesanti che affliggono le rispettive opinioni pubbliche.

Non poter disporre di un centro realmente sovra-nazionale che lavori per fare della UE nel suo complesso un attore attivo nell’attuale crisi mondiale diventerà un handicap pesante. Non si può certo pensare che questo ruolo possa essere svolto da una Commissione che al più può svolgere il compito di coordinatore degli euroburocrati, una categoria a sua volta in ansia perché timorosa di un futuro che potrebbe vedere ridimensionati i loro poteri.

Infine ci sarà pur sempre da governare un parlamento che, per quanto abbia a disposizione meno poteri di quelli che crede di avere, può sempre essere in grado di creare problemi, tanto più che, come è già avvenuto, la frustrazione per non disporre di veri strumenti di intervento può spingerlo a prese di posizione ideologiche astratte, che però poi generano conseguenze non sempre gradevoli.

Insomma questa Europa avvolta nelle nebbie di una continua perdita di rotta rispetto alle ambizioni a cui avrebbe dovuto rispondere rischia di trasformarsi da un fattore di aiuto alla stabilizzazione come è pur stata fino quasi alla fine del Novecento in un centro di autopropulsione della disintegrazione di quei risultati.