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27 marzo 2024
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Europee, il nodo dell'affluenza

Luca Tentoni - 04.05.2019
Frase di Churchill

In Spagna, uno dei fattori decisivi per il successo del partito socialista è stato l'alta affluenza: del resto, la presenza di un nuovo soggetto politico di estrema destra (Vox) può aver provocato un effetto di "contromobilitazione" (e di concentrazione dei consensi sul partito di maggior attrazione, quello del primo ministro uscente, convogliando sul Psoe - a sinistra - il voto di chi aveva in passato fatto altre scelte, fra le quali quella di astenersi). Non c'è solo il caso spagnolo, però, a mostrarci che l'entità della partecipazione dipende anche dalla posta in gioco: lo si è visto in occasione del referendum costituzionale del 2016, ma anche in alcune elezioni regionali (in positivo - aumentando l'affluenza - come in negativo). Il problema che ci si pone in vista del voto del 26 maggio è dunque relativo alla partecipazione, perché non tutti gli elettori e non tutti gli elettorati si mobilitano con la stessa intensità in un determinato periodo storico. Una forte contrapposizione come quella del 1976 fra Dc e Pci potrebbe far tornare alle urne elettori disillusi o semplicemente distratti, ma il quadro che ci si presenta oggi è complesso e confuso. La volontà da parte del governo di accorpare le amministrative (si voterà anche per la regione Piemonte, peraltro) il 26 maggio, è un modo per aumentare la partecipazione. Poiché le europee sono elezioni di "secondo ordine", che regolarmente fanno registrare un'affluenza molto più bassa rispetto alle politiche, si è cercato di dare quello che il personaggio di un famoso film comico (Ugo Tognazzi, in "Amici miei – Atto secondo") definiva il "rinforzino". Le comunali, con le loro tante liste (che coinvolgono, nei piccoli centri, amici o conoscenti o parenti dell'elettore) possono provare ad imprimere una spinta all'affluenza, ma solo limitatamente. Va detto, infatti, che anche a livello locale il disincanto e la disillusione possono più facilmente incoraggiare l'exit (il non voto) che altre scelte (di cambio: voice; di continuità: loyalty), quindi non siamo sicuri che il "rinforzino" (che anche nel film era ben poca cosa) del voto amministrativo possa essere efficace per dare vigore alla partecipazione. L'unico motivo che, paradossalmente, può convincere gli italiani ad andare alle urne è di non pensare all'Europa, ma credere che il voto del 26 maggio sia un referendum sul governo, sui provvedimenti fin qui varati, sulla corrispondenza fra attese e realtà, sulla voglia di confermare (per i partiti gialloverdi) o abbattere (per le opposizioni) questo Esecutivo. Più le elezioni verranno percepite come nazionali e politiche, maggiore sarà l'affluenza. Non a caso, di Europa si parla poco e quasi solo in funzione italiana: l'argomento non suscita entusiasmi e non sembra mobilitante. Non è improbabile che quel 57% di affluenza del 2014 venga superato stavolta, ma non abbiamo ancora elementi certi sul punto. Gli elettori leghisti sono sicuramente mobilitati, perché possono far raggiungere a Salvini uno storico primo posto, imponendo di fatto al governo una sterzata a destra; i pentastellati lo sono un po' meno, visti anche i recenti risultati delle amministrative (in molti comuni, peraltro, il M5s non presenterà liste per le elezioni locali); lo stato dell'elettorato del Pd e - in generale - del centrosinistra, infine, è un enigma avvolto in un mistero ("It is a riddle wrapped in a mystery inside an enigma") come disse Winston Churchill della Russia alla fine del 1939. Alcune tendenze sono note, però: fra tutte, quella degli elettori pentastellati, che vanno in massa alle urne alle politiche e in elezioni di "primo ordine", se c'è in gioco qualcosa (alle regionali dove i loro candidati non hanno mai vinto, hanno partecipato solo in Sicilia nel 2017, laddove c'era una speranza concreta di affermazione), altrimenti scelgono - in parte non irrilevante - di non andare ai seggi. Fra i partiti di opposizione sarà interessante capire quanto abbia influito sul Pd l'arrivo di un nuovo segretario (Zingaretti) e quanto, in Forza Italia, l'elettore e il simpatizzante medio percepiscano il clima da ultima spiaggia vissuto dal partito di Berlusconi (se gli azzurri vanno sotto il 10%, le prospettive sono fosche). Qualche votante in più - poca cosa, certo - potrebbe essere recuperato grazie all'interpretazione estensiva nell'ammissione di simboli e liste elettorali. Di solito anche i gruppi pulviscolari raccolgono qualcosa e canalizzano un po' dello scontento facendolo restare nell'urna, anziché abbandonarlo nel grande mare del non voto. L'esistenza dello sbarramento al 4% per le europee non è tale da influire sul rendimento dei partiti piccoli: anzi, la proporzionale e un'affluenza media più bassa che alle politiche può dare a questi soggetti politici la possibilità di "pesarsi" per poi, magari, far valere le percentuali ottenute in futuri progetti comuni con altre forze (o solo per dimostrare agli italiani che esistono alternative non "di sistema", posto che ormai neppure la Lega e soprattutto il M5s - governando il Paese - si possono più definire estranei rispetto al Palazzo e al potere). Il paradosso delle europee, insomma, è che saranno più partecipate - dispiace dirlo - se sembreranno un grande sondaggio nazionale su temi interni. Anche perché, come pare di capire, il voto degli italiani stavolta non riuscirà ad influenzare la scelta del presidente della Commissione europea (i due candidati principali sono un popolare e un socialista, cioè personalità alle quali in Italia fanno riferimento due partiti - Fi e Pd - che di certo non arriveranno al primo posto nella competizione nazionale per l'Europarlamento, quindi apporteranno ai rispettivi gruppi molti meno seggi che nel 2014). In ogni caso, sarà la maggiore o minore affluenza a decidere l'esito della consultazione, il 26 maggio, con tutti gli effetti che (a Roma, non a Strasburgo o a Bruxelles) ne discenderanno.