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L’affondamento della “Arandora Star” - Un episodio atroce?
L’80° anniversario dell’affondamento della nave “Arandora Star” celebrato il 2 luglio 2020 è stato sottolineato da un intervento assai significativo del presidente Mattarella che ha definito la tragedia “un episodio atroce” ed ha espresso la sua solidarietà ai discendenti delle 446 vittime italobritanniche che affogarono nel 1940.
Questo evento bellico ha avuto un impatto pesante sulla comunità degli italiani residenti da lungo tempo in Gran Bretagna ed ancora oggi continua a provocare forti emozioni. Più o meno durante l’ultima decade per impulso delle comunità italobritanniche sono stati realizzati in Gran Bretagna alcuni memoriali civili permanenti. Questo risveglio tardivo che viene dopo 60 o 70 anni dal naufragio, rende palese la sfida di una minoranza che vuol trovare una voce all’interno della storia dominante della vittoria britannica, la quale concede poco spazio alla narrazione delle vittime. La ripresa di una memoria sul versante italiano iniziò nel 1968 a Bardi (Parma), l’epicentro di provenienza della comunità delle vittime, ma anche in Italia i morti dell’Arandora non vengono generalmente registrati fra i caduti di guerra e non sono stati sempre adeguatamente ricordati. Il messaggio di Mattarella mette in luce non soltanto il crescere di una consapevolezza in Italia, ma altresì una prospettiva che si differenzia da quella dell’establishment britannico compreso l’ambiente degli storici. leggi tutto
Politica e cabina di regia
Ai tempi della famigerata Prima Repubblica quando le alleanze non reggevano più si faceva ricorso ai “governi ponte”, ai “governi balneari”, “di transizione” e a quelli per “il disbrigo degli affari correnti”.
Correvano i tempi degli equilibri più avanzati, dei compromessi storici, delle convergenze parallele e della politica dei due forni: espressione coniata da Andreotti per spiegare la necessità di garantirsi il pane stando al centro, servendosi della farina ora a destra ora a sinistra. Metafora completata da Fanfani con un’altra mappa concettuale significativa: a chi gli chiedeva quale vino si dovesse mescere al tavolo di Palazzo Chigi rispondeva sornione “dipende dalla qualità del vino e degli invitati”.
In genere i politici erano riciclabili nei vari rimpasti, uno passava dall’Agricoltura alla Difesa, dalla Pubblica Istruzione agli Esteri: provenendo in genere dagli ambienti universitari, sapevano adattarsi con disinvoltura al cambiamento. A volte si occupavano come Ministri di tematiche che insegnavano a livello accademico. Nessuno si ispirava apertamente a Max Weber, infatti non si parlava di beruf o competenza, ma la scaltrezza delle argomentazioni era affinata nei congressi di partito, qualche calibro da 90 emergeva lo stesso per attitudine e vocazione, si formavano parvenze di idee e di pensiero. leggi tutto
Europa-Italia: un buon primo tempo
La chiusura del lungo vertice di Bruxelles segna la svolta nella politica europea? Può essere, se si pensa che il buon giorno dipende dal mattino. C’è da essere più cauti se si considera che quella appena conclusa non è la battaglia finale, ma solo il primo tempo di un confronto destinato a proseguire. Naturalmente si può dire che la sproporzione delle forze in campo era palese: 5 cosiddetti frugali contro 22 altri stati, 5 piccoli e poco significativi nella storia dell’Unione, fra i 22 tutti grandi paesi che ne hanno connotato in vario modo la storia. C’è però da dire che i sentimenti (perché di questo si tratta e non di “ragioni”) che i frugali hanno imposto fanno breccia in una quota non marginale dell’opinione pubblica europea nel suo complesso, e dunque la loro sconfitta non è detto sia definitiva.
Tenere conto di questa realtà è molto importante soprattutto per un paese come l’Italia, ma vale anche per il motore franco-tedesco. Al momento è giustamente prevalsa la consapevolezza che dopo aver costruito un sistema economico integrato, se si lascia saltare una componente si incepperà tutto il meccanismo. Il tabù dei sovranismi economici, che faceva comodo a tutti, ma che aveva la potente sponda britannica ora fortunatamente venuta meno leggi tutto
Il secondo turno delle elezioni municipali francesi è stato l’attesa debacle per il presidente Macron.
Qualsiasi considerazione politica sulla tornata elettorale deve tenere conto delle condizioni straordinarie nelle quali si è svolta, ad oltre tre mesi dal primo turno, con l’emergenza sanitaria ancora in atto e nel mezzo di una potenziale ed imminente crisi economico-sociale.
Tale premessa è fondamentale per ragionare sul primo dato inequivocabile: il più elevato tasso di astensionismo per elezioni municipali nella storia della V Repubblica. Il 59% dei francesi ha disertato le urne, con punte che hanno raggiunto il 77% e con sindaci eletti con il sostegno di un decimo dell’elettorato. Come detto la crisi sanitaria è stata certamente un fattore. Più in generale, un livello così scarso di partecipazione aumenta gli interrogativi sul mal funzionamento degli strumenti tradizionali di esercizio della democrazia. Il dato è ancora più preoccupante dal momento che riguarda l’elezione del sindaco, l’unico rappresentante politico ad oggi giudicato positivamente da tutte le indagini di opinione.
Il secondo elemento da sottolineare è la dimensione politica del voto, che dovrà essere prima di tutto meditata ed interpretata dal presidente della Repubblica, impegnato nel tentativo di rilancio dell’ultima parte di quinquennato, leggi tutto
Semestre tedesco. Ritorno all'idea di Europa?
Ogni sei mesi la Presidenza del consiglio dell’UE passa da un paese dell’Unione all’altro. Oggi, dopo 27 semestri, il compito torna alla Germania. Era dal 2007 che Berlino non usufruiva di questo incarico. A tredici anni da quel momento due sono i punti tra le due presidenze tedesche. Come allora l’Europa si trova di fronte a una grossa sfida politica. Come allora la guida della Germania è nelle mani di Angela Merkel. Nel 2007 la crisi europea aveva la forma del recente fallimento del Trattato per la Costituzione europea, bocciato dal no francese al referendum. Un rifiuto che oltre a segnare l'atto di nascita ufficiale del movimento populista e anti-europeo azzerava anni di tentativi riformisti continentali. Nel 2007 la presidenza tedesca elaborava e approvava un piano che, salvando l’essenziale del progetto di Costituzione, rappresentava il primo passo verso il Trattato di Lisbona. Oggi è il Coronavirus che pone l’Europa di fronte all’ennesimo “compito decisivo”. E anche oggi è Angela Merkel che affronta la situazione. La prova che la dirigente tedesca e il suo paese sono coscienti dell’importanza del momento, si è avuta lunedì 18 maggio. Quel giorno in una teleconferenza comune Angela Merkel e Emmanuel Macron si sono detti pronti a porre le cornici del rilancio economico dell’Unione Europea. leggi tutto
Angela e Ursula al volante safety car
L’Europa è spesso descritta come un’eterna incompiuta, una casa senza tetto, una governance zoppa. Gli egoismi nazionali prevalgono sugli ideali dei padri fondatori. Ma l’emergenza sanitaria ha rovesciato il tavolo, ha cambiato prospettive, ha imposto una riflessione urgente e collettiva, ha avuto l’effetto di un drammatico spartiacque.
Dopo una prima fase in cui ciascun governo è andato per conto suo, come se il virus avesse infettato anche le istituzioni oltre che i cittadini, si sono fatti passi importanti, forse irreversibili, verso una maggiore integrazione e solidarietà. Nell’emergenza, l’Europa è diventata un’arca di Noè in cui tutti dovevano trovare un rifugio. I Paesi che hanno sofferto di più riceveranno più aiuto, a prescindere dallo stato di salute delle loro finanze. E nell’epoca in cui la governance globale e il dialogo fra grandi potenze sembrano una chimera, l’Europa è ancora progetto sostenuto da valori condivisi, in primis, la solidarietà. I sovranisti sono nell’angolo.
Come succede in un Gran Premio automobilistico, quando c’è tempesta, è entrata in pista la safety car. E due donne – Angela Merkel e Ursula von der Leyen –, due donne tedesche, si sono messe alla guida dell’auto, che, come si sa, anche nei Gran Premi, leggi tutto
Macron e Parigi alla prova del Covid
Quella legata al Covid-19, come tutte le crisi strutturali, ha evidenziato una serie di criticità già in atto finendo per estremizzarle. Anche la Francia, da questo punto di vista, ha mostrato tutte quelle difficoltà di adattamento al XXI secolo più volte emerse nell’ultimo ventennio.
Nel suo terzo discorso televisivo alla nazione dall’esplosione della pandemia il presidente Macron, senza dichiarare chiusa la fase dell’emergenza sanitaria, ha avanzato alcune linee guida per la possibile ripartenza del Paese. Dopo l’atteggiamento quasi marziale e il tono simile a quello del Gaulle del 18 giugno 1940 di marzo (“siamo in guerra”), dopo il lirismo e l’intimismo di aprile (“è necessario reinventarsi, io per primo”), è giunto il tempo dello sguardo di medio-lungo periodo. Obiettivo ricostruzione e allo stesso tempo campagna elettorale per una complicata, ma non impossibile, rielezione tra meno di due anni.
Occorre innanzitutto sottolineare la dimensione più contingente dell’intervento di Macron. L’inquilino dell’Eliseo ha enfatizzato la definitiva riapertura del Paese, simboleggiata dalla ripresa delle attività di ristorazione e dei bar (le brasserie e i cafés nell’immaginario collettivo dei francesi non sono meri luoghi fisici, ma veri e propri luoghi dello spirito) e da quella di tutte le scuole, a partire dal 22 giugno e con l’obbligo di leggi tutto
L’ora dell’Europa
La proposta della cancelliera Merkel e del presidente Macron potrebbero segnare un momento importante nella storia dell’Unione Europea. Perché si possa passare dal modo condizionale a quello indicativo, servirà che la proposta venga varata dal Consiglio Europeo e non sarà un passaggio facile. Non è tanto questione della pronta impennata del Pierino austriaco, forse timoroso di una ripresa a casa sua della destra di Strache che è tornato a farsi vivo dopo la figuraccia con i falsi oligarchi russi. Non che vada sottovalutata la possibilità di un fronte dei piccoli paesi in relativa buona salute, ma va inserita in una più grande problematica.
La ripresa del motore franco-tedesco non può che essere benvenuta. Solo un politico miope come Salvini può pensare nei termini di un sovranismo da strapaese, credendo che il buon piazzamento dei nostri titoli di stato nell’ultima asta possa far concludere che l’Italia può farcela da sola accedendo ai mercati. Quelli ti danno una mano in questo momento in cui contano sul fatto che saremo tenuti in piedi da finanziamenti europei, ma sarebbero pronti a strangolarci se vedessero che davvero ci siamo illusi di farcela da soli mettendo a rischio i loro investimenti.
Qui il tema è chi possa costruire quell'Europa leggi tutto
Gli anni bui del Novecento: due date da non dimenticare
Nei prossimi venti giorni si ricordano due date emblematiche degli anni bui del Novecento: l’omicidio Matteotti del 10 giugno1924 che impresse una svolta violenta al regime fascista e il primo ingresso di un prigioniero nel campo di concentramento di Auschwitz, avvenuto il 20 maggio 1944, di fatto l’inizio dell’Olocausto. Vogliamo ricordarle affinché – anche in questo periodo così travagliato per il mondo a causa della pandemia - la memoria prevalga sull’oblio e sul negazionismo.
10 giugno 1924: l’omicidio Matteotti e la svolta del fascismo
Giacomo Matteotti, deputato socialista, eletto alla Camera nel 1919 e poi rieletto nel 1921 e 1924 era soprannominato “tempesta” dai suoi colleghi di partito (PSU, dopo l’espulsione sua, di Filippi Turati e della corrente riformista nel 1922 dal Partito socialista italiano) , per il suo carattere combattivo e rigoroso.
Il 30 maggio 1924 prese la parola in Aula per contestare i risultati delle elezioni tenutesi il precedente 6 aprile. Mentre dai banchi fascisti si levavano plateali e fragorose contestazioni che leggi tutto
L’ora difficile dell’Europa fra pandemia e globalizzazione
Frontiere, globalizzazione, debito. Il Coronavirus ha rimesso con forza in primo piano le questioni che in Europa da oltre un decennio dividono l’opinione pubblica. Da questa crisi gli europei ne usciranno mortalmente disuniti? Sarà ancora possibile pensare il continente in termini comuni in modo da contare negli affari mondiali? Tutti gli Stati membri condividono questo obiettivo ? Per restare all’attualità, gli Stati dell’eurozona hanno disperatamente bisogno, se pur in modi differenti, di fondi per finanziare le misure anti pandemia. Finora le molteplici crisi vissute dal continente hanno avuto denominatori comuni. Di qualsiasi cosa si tratti: banche, debito sovrano, immigrazione, rifugiati, sicurezza oppure, come ora, l’epidemia, l’UE agisce con grandi difficoltà. In ogni dibattito i singoli Stati prendono posizioni differenti. Alla base di questa disunione vi è quello che appare sempre più come il peccato originale dell’Unione. L’UE non riesce a darsi legami di solidarietà e legittimità paragonabili a quelli dello Stato nazionale. Nel suo modello ideal-tipico, lo Stato nazionale ha dato vita a comunità in cui decisioni anche gravose della maggioranza sono state normalmente accettate dalla minoranza in quanto da questa ritenute legittime. Altrettanto è successo con la solidarietà economica. Distribuzione e trasferimenti di reddito sono stati condivisi dall’insieme della cittadinanza poiché valutati leggi tutto