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Nicolas Sarkozy e “Les Républicains”: tra provocazione e strategia

Michele Marchi - 14.05.2015
Les Républicains

Nel corso della campagna elettorale per le presidenziali del 2007 Sarkozy aveva, in numerosi dei suoi interventi, “saccheggiato” il Pantheon della sinistra. Si ricordano i suoi riferimenti a Jean Jaurès e a Georges Clemenceau, così come quelli all’eredità della Resistenza e a figure altamente evocative come Georges Mandel e Jean Moulin. Sta accadendo qualcosa di simile con la sua decisione di ribattezzare l’Union pour un mouvement populaire, nel più diretto e semplice, ma anche piuttosto “provocatorio”, “Les Républicains”?

Quando ci si accosta alla figura di Sarkozy si rischia troppo spesso di semplificare un personaggio politico al contrario sfaccettato e complesso più di quanto il suo stile diretto e provocatorio possa far sembrare. Per analizzare la scelta dell’ex presidente della Repubblica bisogna prima di tutto ricordare che il suo ritorno sulla scena politica non è avvenuto né nei tempi, né secondo le modalità che egli aveva immaginato. I suoi guai giudiziari da un lato e quelli interni all’UMP dall’altro, con lo scontro Copé-Fillon e le inchieste legate all’affaire Bygmalion, hanno imposto un calendario più accelerato. Soprattutto hanno obbligato Sarkozy a ripartire dal partito, imponendogli così una lunga “traversata del deserto” come leader dell’opposizione e di conseguenza eliminando l’ipotesi del rientro nell’agone a pochi mesi dal voto del 2017, come risorsa di ultima istanza per un Paese bloccato e sfinito da cinque anni di inconsistente presidenza Hollande. Da non trascurare infine i timori per la crescita esponenziale del “nuovo FN” di Marine Le Pen e quelli altrettanto reali, per lo spazio politico progressivamente occupato a destra da Alain Juppé.

Sarkozy ha dunque dovuto accelerare e dismettere i panni dell’ex presidente per indossare quelli del rifondatore della destra repubblicana. Dopo una fase di comprensibile incertezza, ha deciso di procedere assumendo l’iniziativa ed evitando il gioco di rimessa. La questione del cambio di nome deve essere inserita in tale processo e deve essere considerata il vertice di un ampio progetto che comprende la riforma dello statuo del partito, il rinnovo del suo ufficio politico e infine una serie di passaggi chiave, programmatici in particolare, che lo impegneranno sino alle primarie “aperte” per la scelta del candidato all’Eliseo, previste in autunno 2016.

In quest’ottica la sarcastica indignazione del segretario PS Cambadélis – il quale ha sottolineato che in realtà Sarkozy con il nome “Républicains” sia tornato al suo “grande amore”, cioè il conservatorismo d’oltre Atlantico – quanto quella più colta di Jean-Noel Jeanneney – che si è scagliato contro l’ “appropriazione esclusiva del concetto di Repubblica” – aiutano poco a delineare il quadro nel quale inserire l’ “azzardo” di Sarkozy.

Bisogna infatti ricordare che di un azzardo si tratta. Sia perché circa sei simpatizzanti su dieci hanno di recente dichiarato di apprezzare molto l’acronimo UMP. Sia soprattutto perché, su sollecitazione di Alain Juppé, Sarkozy ha deciso di chiedere la ratifica di questo cambio di nome agli iscritti, i quali tra il 28 e il 29 maggio sono chiamati ad esprimersi con voto elettronico su nuovo nome, riforma dello statuto e composizione dell’ufficio politico. È evidente che una bocciatura, o anche un sostegno solo tiepido, potranno essere letti come un indebolimento nemmeno troppo indiretto della nuova leadership di Sarkozy.

Per passare al progetto che si cela dietro la decisione di Sarkozy, si può affermare che auto-percepirsi come “Les Républicains”, permette a Sarkozy di mettere in scena l’idea di una République minacciata nel suo modello (di inclusione e di welfare generoso) e nei suoi principi (primo fra tutti la laicità) che trova nel nuovo soggetto politico lo strumento decisivo per difenderli e, se necessario, per combattere nel tentativo di recuperarli. In questa ottica “Les Républicains” si tramutano nei sostenitori di quei valori come “autorità, lavoro, merito, libertà di impresa, responsabilità, identità” che non appartengono né alla destra, né alla sinistra e che, proprio per questo, solo il nuovo soggetto politico può assumersi l’onere di difendere.

Accanto a questa dimensione non si deve poi trascurare un discorso prettamente strategico condotto da Sarkozy. Con la formula “Les Républicains”, egli mette in difficoltà allo stesso tempo i suoi tre principali competitors. Riguardo al FN di Marine Le Pen il richiamo è intuitivo. Nonostante i tentativi di Marine e anche la recente rottura con il padre-fondatore, in caso di un ballottaggio presidenziale contro il FN sarà molto efficace poter giocare il confronto tra l’erede di chi ha salvato (nel 1940) e poi rifondato (nel 1958) la Repubblica e chi, al contrario, ne ha a lungo messo in discussione le fondamenta. Il richiamo alla Repubblica mette poi in serio imbarazzo la gauche, in particolare socialista. Non si tratta solo della critica, già utilizzata dal primo Sarkozy, rivolta ad un PS prima socialista e solo in seconda battuta repubblicano. L’attacco è più sottile e subdolo ed è rivolto ad una sinistra che, in particolare per il suo “comunitarismo”, avrebbe smarrito i veri principi repubblicani, finendo per svuotare dall’interno “una Repubblica che non smette di arretrare” sui temi della scuola, della laicità e della difesa della famiglia. Di conseguenza sarebbero i “Républicains” ad intervenire per opporsi ad una gauche oramai “anti-repubblicana”. Il terzo angolo d’attacco di Sarkozy è quello interno al suo campo politico. In fondo l’attuale UMP è figlio di quell’Union pour la majorité presidentielle fondato dalla coppia Chirac-Juppé nell’aprile del 2002 per sostenere la rielezione di Chirac. È certamente vero che poi Sarkozy ne ha fatto lo strumento per la conquista dell’Eliseo nel 2007, ma oggi la fine di quell’acronimo comporta prima di tutto la chiusura definitiva di una pagina della storia della destra che accomuna appunto Sarkozy a Juppé. A questo si deve poi aggiungere che al momento Alain Juppé è considerato da tutti l’unico vero ostacolo tra Sarkozy e la candidatura all’Eliseo. La scelta del nome “Républicains” da un lato permette a Sarkozy di difendersi dall’accusa di droitisation del partito. In fondo la République non è né di destra, né di sinistra, è al di là della destra e della sinistra, definizione perfetta per quei centristi così affascinati oggi dal moderato Juppé. Allo stesso tempo però la République “modello Sarkozy” è “forte”, perché riscopre i valori e la dimensione identitaria. E in questo senso può scavalcare “a destra” un Juppé criticato proprio perché troppo moderato e centrista, interessato prima di tutto a raccogliere quel bacino di voti presidiato, nel 2007, da Bayrou e, nel 2012, da Hollande.

In attesa di vedere quale sarà l’accoglienza degli iscritti, Sarkozy ha utilizzato il richiamo alla République per impostare la sua lunga campagna verso le primarie dell’autunno 2016. Archiviare questo passaggio come un semplice escamotage propagandistico sarebbe un errore, in particolare da parte di una gauche socialista in evidente difficoltà quando deve riadattare una serie di concetti tradizionali del suo portato storico-ideologico. L’eccesso di semplificazione nutre i populismi. Non sono però da meno la miopia e il relativismo.