L’accordo libico
L’accordo raggiunto a La Celle Saint Claud tra Fayez alSarraj, premier del Governo di Unità Nazionale con sede a Tripoli, e Khalifa al Haftar, comandante dell’Esercito Nazionale Libico con base a Tobruk, rappresenta sicuramente un passo avanti verso la stabilizzazione libica. Senonchè, il percorso di pace deve ancora attraversare un lungo percorso minato da numerose incognite e questioni irrisolte, che rischiano di comprometterne l’esito.Insomma, Parigi canta vittoria ma la crisi libica è tutt’altro che risolta.
Di certo, la Francia ha sfruttato la sua spregiudicatezza politica, che la ha vista sostenere ufficialmente al Sarraj, ma nella pratica appoggiare al Haftar. Ha sfruttato inoltre la nomina a rappresentante ONU per la crisi libica di Ghassan Salamè, un politico libanese legato a filo doppio e stretto a Parigi; infine, Macron ha approfittato dei recenti mutamenti della situazione politica internazionale e di quella militare libica.
Infatti, l’accordo è maturato proprio quando cominciavano a circolare voci di una possibile apertura americana ad Haftar; in altri termini, è verosimile che Parigi abbia avuto luce verde da Washington, spazientita dal protratto insuccesso di al Sarraj e desiderosa di chiudere il dossier libico. Secondariamente, l’accordo è maturato immediatamente dopo una serie di vittorie militari di Haftar, che ha strappato Bengasi agli islamisti, mentre nel Fezzan ha sconfitto le milizie di Misurata; in tal modo ha limitato il controllo dei suoi avversari a Tripoli e al circostante nord ovest del paese; nel contempo,al Sarraj era sempre più indebolito, doveno anche affrontare le milizie dell’ex primo ministro al Ghweil,che gli contendevano il controllo della stessa capitale.
Dunque, nonostante l’investitura dell’ONU e l’appoggio di paesi come l’Italia, al Sarraj non aveva molte alternative, se non quella di scendere a patti. In altri termini, più che da una volontà di riconciliazione politica l’accordo nasce dalle condizioni sul terreno, che han visto una vittoria militare di al Haftar.
I punti principali dell’accordo sono tre: un immediato cessate il fuoco, ad eccezione di operazioni antiterrorismo; elezioni parlamentari e presidenziali nella primavera del 2018; infine, la smobilitazione delle milizie e la creazione di un esercito nazionale, da porre sotto il controllo dell’autorità politica.
Senonchè, in estrema sintesi, sull’accordo gravano due ordini di problemi. Innanzitutto c’è la discussa figura del generale Haftar, le cui effettive intenzioni ed aspirazioni rimangono un’incognita; in seconda battuta, l’accordo deve affrontare una serie di problematiche oggettive, come l’anarchia in cui si muovono tribù, città, bande criminali e milizie, la diffusa violenza armata e la polarizzazione politica.
Quanto al primo punto, la figura di al Haftar è molto divisiva. Per i suoi sostenitori è l’uomo “forte” che salverà il paese, mentre per i suoi avversari vuole solo imporsi come nuovo dittatore. Di sicuro, sinora ha mostrato una forte intransigenza verso i movimenti islamisti e si è legato a molti ex sostenitori di Gheddafi. Sta di fatto che con l’accordo siglato in Francia, al Haftar è riuscito a trasformare i suoi successi militari in una vittoria politica; infatti, grazie alla legittimazione ottenuta da Macron che lo ha riconosciuto come rappresentante politico delle forze della Cirenaica, è probabile che al Haftar si presenti alle prossime elezioni; al momento si tratta di speculazioni, ma e se a quelle provinciali il generale molto difficilmente riuscirebbe a ottenere consenso fuori dalla Cirenaica, a quelle presidenziali potrebbe far la parte del leone.
A questo punto però, entra in gioco il secondo ordine di problemi, legato all’anarchia che ha sinora caratterizzato la guerra civili libica. Infatti, l’accordo prevede il disarmo delle milizie e la loro integrazione nelle forze armate. Senonchè, sarà ben difficile che il debole al Sarraj riesca a convincere le diverse milizie islamiste e di Misurata a deporre le armi.Peraltro, l’accordo non fa cenno ad un altro grande problema, ovvero il futuro assetto dello stato libico. L’ipotesi più probabile è quella federalista, ma si tratta di un punto dibattuto e che presuppone una forte convergenza delle diverse componenti politiche, cosa al momento del tutto assente.Un’altra incognita non affrontata dall’accordo riguarda le relazioni tra istituzioni civili e forze armate, tema molto caro ad al Haftar che spinge per la primazia di queste ultime.
Infine, l’accordo prevede che unica eccezione al cessate il fuoco sia la condotta di operazioni antiterrorismo. Senonchè, il rischio è che al Haftar sfrutti questa clausola per colpire tutti i movimenti islamisti, e non solo quelli jihadisti legati al Daesh o ad al Qaida; in tal modo però, rischia di spingere i movimenti moderati tra le braccia di quelli più estremisti.
In conclusione, al di là della vetrina diplomatica e mediatica, l’accordo siglato in Francia non ha certo fugato i demoni che infiammano la guerra civile libica; di sicuro, però, ha messo in evidenza la debolezza della posizione italiana, colta di sorpresa dall’iniziativa francese e legata al fragile e barcollante al Sarraj.
* Giovanni Parigi insegna Cultura Araba presso il corso di laurea di Mediazione Linguistica e Culturale dell’Università Statale di Milano. Ha lavorato e studiato in Medio Oriente e scrive per Limes, ISPI, Fondazione OASIS e Qui Finanza.
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