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Il disarmo nucleare globale è a portata di mano, ma dipende tutto dall’Olanda

Dario Fazzi * - 05.08.2017
Sanzatomica

Lo scorso sette luglio i paesi membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite hanno firmato un trattato che li impegna ad astenersi dallo sviluppo, dalla sperimentazione, dalla produzione, dall’acquisto, dal possesso e dall’accumulo di armi nucleari. Si tratta del primo vero e proprio accordo legalmente vincolante volto a mettere al bando in maniera permanente le armi nucleari, inclusi gli arsenali atomici già presenti sulla scena internazionale. L’ambizioso trattato è il risultato più rilevante di oltre un decennio di campagne promosse da vari gruppi transazionali e non governativi quali il Movimento Internazionale della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa,l’ICAN, la campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari, PAX, un’organizzazione a carattere ecumenico erede di quel Comitato Interconfessionale per la Pace che fu tra i gruppi più attivi nelle proteste contro gli Euromissili dei primi anni Ottanta, ma anche da leader religiosi, politici, scienziati e accademici provenienti da ogni parte del mondo.

 

L’ambizione e la portata del trattato lo rendono un esempio pressoché unico nella lunga storia dei negoziati nucleari. Uno dei principali obiettivi dell’accordo, infatti, è quello di superare le logiche restrittive della non-proliferazione e della limitazione degli arsenali atomici in favore di una discussione più ampia sulle possibilità dello smantellamento di tali armamenti ad oggi in possesso di Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, India, Pakistan, Corea del Nord e Israele. Il trattato lega a doppio filo la complessa macchina del disarmo nucleare con i moderni meccanismi di protezione umanitaria e stabilisce una correlazione diretta tra la minaccia atomica e la violazione dei diritti umani. Sotto quest’ultimo punto di vista, il preambolo del trattato rende giustizia a coloro i quali hanno subito le conseguenze dirette e indirette della corsa agli armamenti nucleari: vengono menzionate le “inaccettabili sofferenze” patite delle vittime dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki (hibakusha) così come i danni alla salute e all’ambiente provocati dai test nucleari; vengono sottolineati i rischi che la perdurante presenza delle armi nucleari comporta e viene evidenziato il carattere aleatorio della deterrenza atomica; si fa riferimento agli effetti di carattere globale che un eventuale attacco atomico potrebbe produrre e vengono stabilite l’irrinunciabilità e l’urgenza del disarmo nucleare quali elementi fondanti la pace e la stabilità internazionali.

 

L’approccio radicale, onnicomprensivo e a tratti rivoluzionario di questo trattato ha ovviamente lasciato insoddisfatti molti paesi. Se, infatti, l’accordo è stato firmato da 122 paesi, con una sola astensione, ben 69 stati non hanno nemmeno partecipato alla votazione. Uno solo invece, l’Olanda, ha votato contro. Ora, i motivi che hanno condotto i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, gli altri stati in possesso di arsenali atomici e i loro principali alleati a rifiutare di partecipare alla votazione e quindi ad impegnarsi nella firma e ratifica dell’accordo sono chiari e principalmente legati a questioni di strategie di sicurezza interne e internazionali, prestigio, status e occasionalmente anche equilibri regionali. Ma è il voto contrario dei Paesi Bassi, unico paese NATO a partecipare alla votazione, che vale la pena investigare, perché rappresenta una potenziale cerniera tra quei pesi che hanno aderito all’accordo e quelli che vedono ancora lontana la propria possibile partecipazione.

 

I Paesi Bassi, infatti, sono caratterizzati da una società civile che da diversi decenni è ormai impegnata in prima linea nella lotta contro le armi nucleari e numerosi gruppi e organizzazioni sono attivi nella promozione del disarmo atomico. L’Aja, inoltre, ospita alcune delle principali organizzazioni transazionali governative e non preposte al rispetto dei diritti umani e alla garanzia della pace e della sicurezza internazionale e l’etichetta di città dei diritti umani è qualcosa che le autorità locali, le istituzioni pubbliche e private e finanche i singoli cittadini hanno particolarmente a cuore. L’opzione di un rifiuto netto, privo di spiegazioni e privo di qualsiasi ulteriore speranza che l’abbandono delle votazioni sul trattato avrebbe comportato era dunque difficilmente adottabile per il governo olandese. Per contro, il no ha costretto i Paesi Bassi a giustificare la propria posizione, mettendo a nudo le contraddizioni che caratterizzano le posizioni di buona parte dei propri alleati europei e allo stesso tempo segnando la strada per possibili sviluppi futuri.

 

L’aspetto più controverso del trattato, infatti, oltre alla previsione di smantellamento degli arsenali esistenti, è il vincolo che pone agli stati contraenti a non trasferire armamenti atomici e anon consentirne l’installazione e il dispiegamento sul proprio territorio nazionale. Inoltre, il trattato richiede l’immediata rimozione di quelle armi nucleari già presenti sul territorio nazionale ma a disposizione di potenze straniere, un aspetto che ha rappresentato l’elemento più controverso e problematico per i paesi appartenenti alla NATO. L’Olanda, nel presentare le motivazioni del proprio voto contrario, ha opposto a tale disposizione una intrinseca incompatibilità con il ruolo, le operazioni e la strategia dell’Alleanza Atlantica, riaffermando incidentalmente la presenza di armi nucleari (statunitensi) sul proprio territorio. Inoltre, la delegazione olandese ha sollevato alcuni problemi classici relativi ai trattati nucleari. Ispezione, controlli,verificabilità’, limiti, applicazione e sanzioni sono tutti elementi che un trattato di carattere generale – di fatto nulla più che un semplice bando – non ha in effetti la capacità di affrontare in profondità.

 

Ma è l’ultima obiezione che lascia intravedere alcuni spiragli e allo stesso tempo mette a nudo tutte le specificità del caso olandese. I Paesi Bassi hanno rimarcato come la mancanza di un consenso generale su queste materie, che sia in grado cioè di coinvolgere anche e soprattutto i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, le altre potenze nucleari e i loro principali alleati mina la tenuta e la credibilità stessa del disarmo atomico, che resta invece per il governo dell’Aja un obiettivo cruciale e prioritario. I Paesi Bassi, nel fornire alla conferenza dell’Assemblea Generale le loro motivazioni, hanno dunque criticato la genericità del trattato e proposto al contempo una discussione che includa non soltanto considerazioni di carattere morale e umanitario ma anche e soprattutto una road map credibile ed attuabile che porti al raggiungimento di un disarmo nucleare concertato, progressivo ma anche stabile e duraturo.

 

Il no olandese, dunque, suona molto come un vorrei ma non posso, mentre il silenzio degli alleati occidentali sembra invece replicare logiche da guerra fredda che, nel vuoto lasciato da una leadership statunitense al momento tutta da reinventare, rischiano di non funzionare e costituire semplicemente un’occasione persa. Sotto questo punto di vista, lo spiraglio lasciato aperto dall’Olanda andrebbe colto come un’opportunità dalle cancellerie del vecchio continente; per quanto riguarda gli USA invece, in un periodo in cui le sfide provenienti dall’estremo oriente richiederebbero risposte adeguate tanto sul piano militare e strategico quanto su quello diplomatico e morale, bisognerà probabilmente aspettare il prossimo tweet presidenziale per comprendere quali azioni intenda perseguire l’attuale amministrazione anche in materia di disarmo atomico.

 

 

 

 

* Dario Fazzi, ricercatore di storia degli Stati Uniti presso il Roosevelt Study Center di Middelburg, Olanda. Si occupa di politica e società statunitensi e in particolare di guerra fredda e relazioni transatlantiche.