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27 marzo 2024
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Settant’anni fa, all’altro capo del mondo (2° parte)

Guido Samarani * - 19.12.2015
Mao Zedong

Settant’anni dopo, il 1945 è ricordato come un anno straordinario quanto drammatico sotto molti punti di vista: la fine della Seconda guerra mondiale, le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki, la Conferenza di Yalta, la nascita dell’ONU, la scomparsa di Franklin D.Roosevelt e di Benito Mussolini, per citare solo alcuni eventi significativi. Fu altresì l’anno, in Cina, della fine della lunga e sanguinosa guerra di resistenza contro l’aggressione giapponese, ma più in generale in Asia della proclamazione dell’indipendenza del Vietnam da parte di Ho Chi Minh, della divisione della penisola coreana  e dell’avvio dell’occupazione statunitense del Giappone sotto il comando del Generale MacArthur.

Tuttavia altri fatti meno noti, dimenticati o anche semplicemente sconosciuti segnarono quell’anno 1945 per la Cina, restituendo oggi al meglio la drammaticità del periodo.

 

*Il Settimo Congresso del Partito comunista cinese e la nascita del Pensiero di Mao Zedong

 

Tra il 23 aprile e l’11 giugno del 1945, mentre la guerra andava volgendo al termine in Cina e nel mondo, il Partito comunista cinese (Pcc) tenne a Yan’an (nella provincia nord-occidentale dello Shenxi, la “capitale rossa” come era allora definita) il suo Settimo congresso nazionale. Erano passati ben 17 anni dall’ultimo congresso (il Sesto, 1928) e il partito e le forze armate comuniste erano passate dal rischio dell’estinzione alla fine degli anni Venti ad un crescente ruolo politico-militare, testimoniato dal forte incremento delle adesioni al partito (1 milione 200 mila iscritti nel 1945, rispetto alle poche migliaia negli anni Venti) e dalla crescente forza ed efficacia dell’apparato militare.

Nel corso del Settimo Congresso Mao Zedong svolse il Rapporto politico dal titolo Sul governo di coalizione, Liu Shaoqi (che nelle elezioni dei nuovi organismi dirigenti avrebbe conseguito il terzo miglior risultato, dopo Mao e Zhu De) il Rapporto sulla revisione dello Statuto, Zhu De (il mitico fondatore dell’Armata Rossa) il Rapporto sulla situazione militare e Zhou Enlai (che sarebbe stato dopo il1949 per anni il Premier cinese) il Rapporto sul Fronte unito.

Uno dei temi storico-politici cruciali del congresso fu, come si è detto, l’adozione di un nuovo Statuto del partito: esso indicava che il Pcc assumeva il Pensiero di Mao Zedong quale guida per la propria azione, in quanto integrazione tra Marxismo-Leninismo e pratica della rivoluzione cinese. Il Rapporto di Liu Shaoqi mise in piena luce come l’inserimento nello Statuto del riferimento al Pensiero di Mao Zedong rifletteva il ruolo dominante che Mao era andato assumendo nel corso degli anni in quanto “fonte di saggezza” per la rivoluzione cinese. Egli sottolineò inoltre come esso rappresentasse “l’applicazione in Cina del communismo e del marxismo” e allo stesso tempo anche lo sviluppo del Marxismo relativo alla rivoluzione nazionale delle colonie e semi-colonie.

L’affermazione del ruolo centrale politico ed ideologico di Mao e del suo Pensiero fu rafforzata dall’approvazione, nelle settimane del Congresso, della “Risoluzione del Comitato centrale del Pcc su certe questioni storiche”. Tale documento, il cui testo finale fu approvato il 20 aprile 1945, analizzava la storia del partito dalla fondazione (1921) sino alla Conferenza di Cunyi (gennaio 1935, durante la Lunga Marcia), ponendo in evidenza l’esistenza nella storia del partito di “linee deviazioniste di destra e di ‘sinistra’” rispetto alla “linea giusta” di Mao Zedong. La punta della critica era tuttavia rivolta agli errori politici, militari e ideologici portati avanti in quegli anni dalla “linea devazionista” costituita dal cosiddetto gruppo dei “ventotto bolscevichi”, guidato da Wang Ming e che poggiava sul sostegno del Comintern. In tal senso, la Risoluzione svolse il compito di rafforzare la tendenza alla formazione in seno al Pcc di una solida leadership le cui basi ideologiche erano ora incentrate su di una teoria – quella maoista – che non era astratta ma teneva pienamente conto della realtà e della specificità cinesi. Allo stesso tempo, con l’approvazione ufficiale della Risoluzione e la conclusione del Congresso, Mao si trovò a godere di un prestigio ed un potere molto ampi, legittimati da atti ufficiali degli organismi dirigenti del partito.

Nelle sue conclusioni al Congresso, Mao si servì – come aveva fatto diverse volte in passato e come avrebbe fatto a più riprese in futuro – della tradizione e del folklore cinese per trasmettere i suoi messaggi politici. Il discorso (11 giugno 1945) era infatti intitolato “Come Yu Kong rimosse le montagne”: attraverso di esso Mao si rivolse in particolare a tutti coloro che, nel partito e tra le masse, dubitavano che la rivoluzione avrebbe potuto effettivamente trionfare in Cina, chiedendo loro di essere audaci e coraggiosi e di non arrendersi di fronte alle difficoltà e agli ostacoli di ogni tipo.

 

Ecco nelle righe che seguono il passaggio centrale riferito alla storia di Yu Kong:

 

Un’antica favola cinese intitolata “Come Yu Kong rimosse le montagne”, racconta di un vecchio che viveva tanto, tanto tempo fa nella Cina settentrionale ed era conosciuto come il ‘vecchio sciocco delle montagne del Nord’. La sua casa guardava a sud e davanti alla porta due grandi montagne, Taihang e Wangwu, gli sbarravano la strada. Yu Kong, con l’aiuto dei figli, decise di spianare queste due montagne a colpi di zappa. Un altro vecchio, conosciuto come ‘il vecchio savio’, quando li vide all’opera scoppiò in una risata e disse: “Che sciocchezza state facendo? Non potrete mai, da soli, spianare due montagne così grandi”. Yu Kong rispose: “Io morrò, ma resteranno i miei figli; morranno i miei figli, ma resteranno i nipoti, e così le generazioni si susseguiranno all’infinito. Le montagne sono alte, ma non possono diventare ancora più alte: ad ogni colpo di zappa, esse diverranno più basse. Perché non potremmo spianarle?” Dopo aver così ribattuto l’opinione sbagliata del vecchio savio, Yu Kung continuò il suo lavoro un giorno dopo l’altro, irremovibile nella sua convinzione. Una divinità delle montagne allora si impietosì e li aiutò a rimuovere le montagne.

 

Concludendo il suo intervento Mao mise in luce il legame tra il passato, il presente e il futuro:

Oggi due grandi montagne opprimono con tutto il loro peso il popolo cinese: una è l’imperialismo, l’altra il feudalesimo. Il Partito comunista cinese ha deciso già da lungo tempo di rimuovere queste due montagne. Dobbiamo essere perseveranti e lavorare senza tregua, e noi pure commuoveremo la divinità, che non è altro che il popolo di tutta la Cina. Se esso si solleverà per spianare con noi le montagne, perché non potremmo riuscire ad abbatterle?

 

 

 

 

* Professore Ordinario di storia della Cina all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia