La politica estera italiana e la questione islamica
Il premier Renzi ha seccamente affermato che l’Italia non può andare in giro a spargere bombe sull’Isis solo per far piacere a qualche commentatore. Ha perfettamente ragione, anche perché in questo momento ciò che manca non sono gli aerei da bombardamento: mancano gli obiettivi e soprattutto la strategia per capire dove si voglia andare a parare.
Sempre Renzi ha aggiunto che per ogni euro speso in contrasto all’Isis bisogna spenderne un altro in cultura per impedire la radicalizzazione dei mussulmani europei. Anche qui a ragione, ma la faccenda è meno semplice da trattare.
In termini di politica estera l’Italia ragiona tenendo conto, come è naturale, della sua posizione particolare. Con un problema come quello libico a poca distanza dalle nostre coste non è davvero sensato fornire scuse alle forze del radicalismo islamico presenti in quel paese per coprire le loro gesta con pretestuosi rinvii alla lotta contro l’ex potenza coloniale occupante, cioè noi. In più abbiamo davanti la delicata prova del Giubileo e anche qui bisogna evitare di fornire pretesti agli esaltati che non mancano. Quel che è successo di recente nel Metrò di Londra così come gli eventi di San Bernardino negli USA mostrano anche troppo bene cosa possa succedere in queste fasi di sovraeccitazione. Non che in nome della prudenza sia opportuno rinunciare al contrasto ad un fenomeno preoccupante: è solo questione di usare i metodi più opportuni, anche tenendo conto che non serve a molto mettersi in coda per sfoggiare un po’ di status symbol.
Certo rimarrà da vedere se la politica estera italiana sarà in grado di dare un contributo fattivo alla nuova fase della lotta al terrorismo internazionale. Lasciare semplicemente che gli altri cavino anche per noi le castagne dal fuoco non ci consentirebbe poi di mantenere una posizione significativa nel contesto internazionale. Fortunatamente non è questa al momento la situazione dell’Italia, che ha un impegno rilevante su più di uno scacchiere internazionale, ma non guasterebbe qualche apertura in più da parte del premier per coinvolgere forze e personaggi importanti anche al di là della sua cerchia.
Passare da questo al problema della acculturazione dei mussulmani italiani non è un passo così semplice. Come sempre una quota non piccola di questi soggetti è fatta di persone che si interessano poco di politica e che al massimo possono sentire un vago impulso a giustificare un poco i propri simili rispetto agli attacchi a cui sono sottoposti dagli “altri”. Tuttavia sarebbe miope non accorgersi che stanno maturando, specie nelle loro giovani generazioni, sentimenti di messa in questione della loro posizione che tendono a vedere come umiliata o almeno molto poco valorizzata.
Anche qui la situazione andrebbe analizzata con attenzione. In un paese come il nostro col 40% di disoccupazione giovanile e con prospettive di futuro piuttosto oscure per queste generazioni è ingenuo non capire che possano essere preda di una certa voglia di ribellione. Se questa è meno presente nei loro coetanei italiani dipende dal fatto che per larga parte di essi il cosiddetto “welfare familiare” è in grado di rendere meno drammatica quando non addirittura sopportabile questa situazione. Ciò è ovviamente assai più difficile per figli di immigrati che hanno molto meno le spalle coperte e che sono venuti qui in cerca di un progresso nel loro status sociale.
Dunque bisogna certamente tenere conto di questo, ma soprattutto sviluppare un contrasto a leggende metropolitane che stanno dilagando e non solo fra i mussulmani: per esempio quella che interpreta come “terrorismo di stato” gli atti di contrasto militare ai movimenti ultra-radicali che oggi hanno assunto il volto dell’Isis, ma prima di Al Quaeda, dei talebani, ecc. Ragionare sulle difficoltà di una convivenza che inevitabilmente deve unire una dose di rispetto per le diversità con altrettanta dose di rispetto per le peculiarità dello sviluppo di una cultura moderna non è operazione che può essere contenuta in qualche frase di (buona) circostanza.
Per esempio è importante cercare di capire che la storia è anche una storia di scontri e di espansioni dopo i quali si è cercato di redigere sistemi di convivenza entro regole accettate dalla comunità internazionale. Se è vero che l’occidente ha fatto le crociate e poi in secoli recenti ha cercato di estendere il suo dominio sul mondo arabo, non è meno vero che gli arabi si erano insediati fino in Spagna, gli ottomani si sono presi l’antica Bisanzio e poi risalendo per i Balcani sono arrivati sino ad assediare per due volte Vienna.
Oggi naturalmente è ridicolo mettersi a discettare su chi erano i buoni e chi i cattivi in queste dinamiche di espansione delle “potenze”. Molto meglio capire che non è più tempo per illudersi che si debba riprendere quel duello che sarebbe fuori tempo, mentre c’è un estremo bisogno di ristabilire sistemi di convivenza che ci consentano di affrontare le sfide complesse che ci presenterà il futuro: temi come il governo del sistema naturale, la ricerca di fonti sufficienti per garantire lo sviluppo di una umanità in crescita costante, tanto per citare due sfide epocali, non sono certo affrontabili scatenando guerre che si fanno passare truffaldinamente per “sante”.
* Studioso di sistemi politici e culturali
di Paolo Pombeni
di Michele Marchi
di Michele Iscra *