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Cosa è accaduto dopo il referendum sull’indipendenza del Kurdistan

Francesca Del Vecchio * - 25.10.2017
Kurdistan flag

Nelle scorse settimane si è parlato molto di Kurdistan iracheno e del referendum per l’indipendenza da Baghdad, tenutosi il 25 settembre. Poco si sa della storia dei curdi, questo popolo senza terra disperso tra Turchia, Iraq, Iran e Siria dal primo dopoguerra, quando gli venne rifiutato uno Stato, dopo averlo inizialmente promesso. I curdi iracheni vivono in autonomia dal 1991, quando l’Iraq invase il Kuwait, ma non hanno mai smesso di sentirsi animati dal sogno di autodeterminazione. Dopo anni di battaglie e campagne propagandistiche, il mese scorso si sono pronunciati in massa a favore dell’indipendenza, attraverso il voto. L'iniziativa referendaria, voluta dal presidente della regione autonoma curda Masoud Barzani, ha suscitato preoccupazioni dentro e fuori i confini dell’Iraq: primo tra tutti il governo centrale di Baghdad, poi i Paesi confinanti, dimora di importanti minoranze curde: Turchia, Iran e Siria. L'Iran, addirittura, aveva annunciato la chiusura delle frontiere terrestri e aeree, salvo poi lasciare il via libera. 

Purtroppo,  i rapporti già tesi tra la capitale irachena ed Erbil, roccaforte del Kurdistan, sono giunti al collasso definitivo tra il 16 e il 17 ottobre, distruggendo il sogno curdo d’indipendenza. Le forze militari di Baghdad, infatti, hanno condotto una veloce avanzata verso la ricca regione petrolifera, fino alla città di Kirkuk - 250 km dalla capitale e città da tempo contesa tra le due milizie - riprendendo il controllo di gran parte delle aree. Nessuna particolare resistenza da parte dei peshmerga, che escono a testa bassa da questo scontro. Vittoriosa e rafforzata Baghdad, che con un commando di militari antiterrorismo - addestrato dagli Usa - ha fatto irruzione nel  palazzo del Governatorato di Kirkuk, assediato dal giorno del referendum, liberandolo dai combattenti curdi. Il simbolo della riconquista è la bandiera irachena che sventola di nuovo sul palazzo. La ritirata dei peshmerga da questa zona è stata considerata da Barzani, un vero e proprio affronto, considerato il fatto che ha dovuto fare i conti con il coinvolgimento internazionale. Anche gli Stati Uniti, preoccupati dagli sviluppi e dalla deriva violenta delle ultime ore, hanno preferito restare fuori dai giochi, nonostante siano tra i principali finanziatori dei combattenti curdi. Washington, infatti, teme che lo scontro possa destabilizzare la coalizione che sta combattendo contro lo Stato islamico, specie in questa fase in cui si sta sferrando l'attacco decisivo a Raqqa. È infatti importante ricordare che i miliziani curdi, insieme con i ribelli siriani, sono stati decisivi sul campo di battaglia contro i jihadisti dell’Isis. In questi combattimenti, si può dire che i curdi abbiano, in qualche modo, conquistato il diritto all’indipendenza, ma nessuno degli stati in cui sono dispersi vuole sentirne parlare, perché in caso di separazione perderebbe importanti territori e grandi ricchezze. Si parla di petrolio, ovviamente: i 250 mila barili al giorno, su cui i curdi hanno messo le mani tra il 2008 e il 2014, fanno gola anche a Baghdad. Questa risorsa è indispensabile sia per il Kurdistan, di cui rappresenta il 40 per cento delle esportazioni petrolifere, sia per il bilancio iracheno, duramente colpito dal calo del prezzo del greggio. I grandi pozzi petroliferi nella periferia occidentale sarebbero ancora in mano curda, ma la produzione sarebbe stata bloccata per motivi di sicurezza. I prezzi internazionali del petrolio hanno subito reagito a questa offensiva, che potrebbe destabilizzare l’area circostante ricca di altri grandi giacimenti. Si tratta della prima risposta militare al referendum consultivo sull’indipendenza curda.

Quanto al coinvolgimento di altri stati, l’Arabia Saudita ha chiamato Haydar Al Abadi, primo ministro iracheno dal 2014, per garantire il sostegno nella lotta al partito curdo dei lavoratori (Pkk). Anche Ankara è pronta a collaborare con Baghdad per la liberazione definitiva della provincia di Kirkuk. L’intervento turco, avrebbe l’obiettivo di controbilanciare l’influenza iraniana in questa regione. Tehran, infatti, è in prima linea in queste operazioni.

 

Gli scontri, comunque, non sembrano essere finiti: cooperazione nella lotta all’Isis tra peshmerga curdi, milizie sciite, esercito iracheno  e tribù sunnite, era già precaria dal principio. Kirkuk, è stato solo il primo di una lunga serie di scontri che vedranno coinvolte tutte le forze in campo, mediorientale e internazionale.

 

 

 

 

* Francesca Del Vecchio, praticante giornalista. Collabora con Il Manifesto, Prima Comunicazione e East Journal. Ha collaborato con Tgcom 24.