Ultimo Aggiornamento:
27 aprile 2024
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Nessuna guerra è giusta, tranne…Star Wars, o le difficili parole delle nuove guerre (2)

Novello Monelli * - 05.03.2016
National Association of Evangelicals - President Reagan

Guerre Stellari, o l’ultima incarnazione dello spirito di crociata

 

Per quasi quarant’anni, la saga di Star Wars è stata una riserva pressoché intoccabile per la messa in scena della lotta tra bene e male, e per tutti i riutilizzi possibili in chiave di sfruttamento a fini politici. E questo non perché la materia a cui fece ricorso Lucas ai tempi della trilogia originale fosse meno che complessa. A differenza di ciò che viene comunemente creduto, regista e produzione non avevano alcun interesse a generare una metafora fantascientifica della guerra fredda. Le fonti di ispirazione dell’universo fantastico degli Jedi erano molteplici, dai Templari alla guerra di indipendenza americana fino alla storia della repubblica romana del I secolo a.C. Per non parlare del fatto che le prospettive degli autori erano molto complesse dal punto di vista ideologico, come è stato ricostruito da una prolifica bibliografia, l’ultimo capitolo della quale è stato scritto probabilmente nel 2013, quando Nancy Reagin e Janice Liedl hanno messo insieme una pattuglia di storici appassionati del tema nel volume Star Wars and History. L’Impero intergalattico ha molto più che a fare con la Germania nazionalsocialista che con l’Unione Sovietica, sia come inquietante modello per il suicidio consapevole di una democrazia in crisi pronta a scivolare verso l’autoritarismo, sia per l’estetica della narrazione. Le truppe d’assalto imperiali ricordano da vicino sia le SA che le SS, le loro impeccabili formazioni quadrate rimandano ai grandi spettacoli marziali di Norimberga che Leni Riefensthal avrebbe immortalato ne Il trionfo della volontà del 1934. Richard Nixon e il Watergate hanno un loro ruolo nell’elaborazione delle caratteristiche del cattivo per definizione, un imperatore che conquista il potere sfruttando i meccanismi legali di uno stato liberale paralizzato dalle lotte di fazione. La figura del dittatore nella galassia di Lucas ha a che fare con le angosce dell’uomo occidentale per la debolezza dei sistemi parlamentari, pronti a cedere al fascino dell’uomo forte e dell’abile retore, più che con la rassicurante certezza di una lotta manichea tra giusti (il modello democratico americano) e ingiusti (l’indiscutibilmente dittatoriale Unione Sovietica), come ha sottolineato Tony Keen in I, Sidious. Historical Dictators and Senator Palapatine’s Rise to Power. E alcuni elementi della narrazione sono ancora più complessi: la resistenza contro le forze dell’Impero che gli Ewok conducono, a forza di tronchi e frecce, sulla luna boscosa di Endor (L’impero colpisce ancora, 1983) trova un’ispirazione diretta nella guerriglia in Vietnam. Testo polimorfo e intrigante, dunque, quello delle avventure di Skywalker e amici. Il che non impedì a suo tempo che Jedi e Resistenza venissero arruolati nella crociata della guerra fredda, mentre l’Impero e Darth Vader divenivano gli alfieri dell’URSS.

 

L’impero del male colpirà ancora?

 

A partire dal 1983, quando la formula «impero del male» («an evil empire») fu utilizzata per la prima volta nel corso di un celebre discorso alla National Association of Evangelicals, Reagan sfruttò molto sapientemente l’ossessione dell’olocausto nucleare e l’angosciante (e del tutto immaginaria) convinzione diffusa che l’Unione Sovietica fosse in vantaggio sul piano militare. La Morte Nera, l’inquietante stazione armata imperiale in grado di disintegrare un intero pianeta con un colpo solo, divenne un formidabile strumento retorico nella chiamata alle armi, di cui il mirabolante scudo antimissile ribattezzato, non a caso, Star Wars fu l’acme simbolico (una generazione di analisti avrebbe poi riso di quel progetto solo qualche anno dopo, ma ciò fa parte delle incertezze della propaganda). Lucas e compagni ribadirono a più riprese di non aver mai pensato ad un legame con la crociata reaganiana. Ma il riutilizzo politico del film dimostrò una volta di più la saggezza della provocazione di Foucault: «che importa chi parla?». Molto al di là delle intenzioni degli ideatori, la trilogia originale divenne un cardine della demonizzazione del nemico: la lotta per la libertà della Resistenza divenne la metafora perfetta della campagna del «mondo libero» contro la minaccia dello strapotere sovietico.

In qualche modo, questa efficace filosofia manichea è sopravvissuta alla fine della guerra fredda e alla dissoluzione (reale) dell’ «impero del male». Benché nella trilogia del prequel, da La minaccia fantasma (1999) in avanti, il nemico sia più insidioso (le gilde dei mercanti, i cavalieri oscuri, il tarlo del potere che corrode la Repubblica), in omaggio alle molteplici angosce di un mondo in bilico tra l’utopia del nuovo ordine mondiale e le ansie da 11 settembre, rimane fermo il fatto che, una volta identificato, il male è il male e il buono lo combatte e (tendenzialmente) lo sconfigge. Un presupposto su cui l’ultimo episodio (finora) della serie proietta più di qualche dubbio. Quali sono, in effetti, gli elementi più originali del VII capitolo (Il risveglio della forza, 2015), che tanto disturbano il pubblico dei tradizionali appassionati? Per dirne una, il confine labile, quasi poroso, tra buoni e cattivi. Non la filosofica riflessione sulla fragilità del bene e l’irresistibile tentazione del «lato oscuro» che traina la narrazione fin dalle origini: il fascino tragico della caduta di Anakin – Darth Vader non ha spazio nella nuova visione (etica?) dell’universo di guerre stellari. Kylo Ren, l’enigmatico adepto del lato oscuro e primo servitore del cattivissimo per eccellenza (l’altrettanto misterioso Leader Supremo Snoke) non ha ereditato nulla della grandezza del nonno, se non la propensione per qualche scenata isterica, con la differenza che quando perdeva la pazienza Darth Vader stritolava legioni di ufficiali inetti, Kylo Ren al massimo rompe i soprammobili. Se Darth Vader rimanda al Mac Beth di Shakespeare,  Kylo Ren al massimo si rifà all’uomo senza qualità di Musil (e talvolta direttamente a  Woody Allen): è un personaggio indeciso e talvolta grottesco, crudele per dovere di copione ma incapace ai confini del ridicolo. Maneggia lo spadone laser come un dilettante e viene messo alle strette da un comune soldato disertore (Finn, che incidentalmente è uno specialista di sanità) e da una ragazzina che ha scoperto di avere sangue Jedi dieci minuti prima di brandire una spada. Nella trilogia originale, sarebbero stati spazzati via alla prima sequenza. Nella stagione postmoderna di guerra stellari, la fragilità del male è coessenziale all’articolazione di una galassia in cui l’inettitudine domina molto di più delle grandi filosofie del bene e del male. I personaggi principali sono quasi tutti bizzarramente tormentati. L’eroe per definizione, l’ur-Jedi Skywalker, si è ritirato in esilio spirituale e nessuno sa dov’è, Han Solo vagabonda per lo spazio alla ricerca del figliolo passato al lato oscuro (infischiandosene ampiamente del risorgere del male) e gli unici che combinano qualcosa sono degli anti eroi improbabili finiti nella Resistenza un po’ per caso; persino il cattivissimo Leader Supremo è un’entità evanescente, e viene da chiedersi se sia reale dietro il suo mascherone olografico. L’ironia è la cifra caratteristica della nuova saga di Star Wars? Può darsi. Quel che è certo è che da questa nuova stagione è scomparso l’orizzonte ideale della crociata, quello spirito di netta demarcazione tra giusti e malvagi che stabilisce che il nemico è irriducibilmente altro da me, senza spazi di compromesso. Che il nemico possa invece anche essere un eguale, e forse un fratello, è divenuta la regola aurea del nuovo cinema storico di guerra: seguendo una tradizione radicata fin dai primi adattamenti di Niente di nuovo sul fronte occidentale, è più facile che i protagonisti dei war movies di oggi nelle trincee scoprano il senso della fratellanza umana piuttosto che il modo di infilzare meglio il soldato con la divisa di un altro colore. Ma che questo avvenga anche in Star Wars è un segno dei tempi: cattivi che disertano e diventano buoni, minute fanciulle che gareggiano con i migliori cavalieri della galassia, campioni inverosimili e certezze che sfumano. Il teatro dell’immaginario ha perso per sempre la sua capacità di offrire nemici da abbattere e bandiere da seguire?

 

 

 

 

* Professore a contratto Università di Padova