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Nuove conversioni. Il battesimo dei rifugiati in Germania

Claudio Ferlan - 15.06.2016
Rifugiati in Germania

Che lo spostamento dei migranti sia un segno tra i più noti e caratterizzanti del nostro tempo è un’affermazione scontata, ma non sempre è facile tenere conto della sua complessità. Dentro tale complessità c’è da evidenziare un crescente numero di conversioni dall’islam al cristianesimo (specie alla confessione luterana) da parte dei rifugiati. Per cogliere i tratti caratteristici della questione – poco nota nel nostro Paese – è necessario volgere lo sguardo di là dai confini: alla Francia, dove Le Monde ha pubblicato un interessante reportage, ma soprattutto alla Germania e all’Austria, dove da anni se ne sta ragionando.

 

Chi arriva

 

Berlino, Hannover, Stoccarda sono solo alcune delle città in cui le parrocchie evangeliche stanno registrando un sempre crescente numero di conversioni, soprattutto da parte di donne e uomini provenienti da Afghanistan e Iran. Il fenomeno si sta inoltre allargando dalle città ai piccoli paesi ed è testimoniato anche in altri stati, come la Danimarca. Modi e ragioni della conversione sono diversi. A persone che sono già entrate in contatto con il cristianesimo in patria (e che talvolta sostengono di non averlo potuto abbracciare per paura) si aggiunge chi inizia a conoscerlo dopo l’approdo europeo, agevolato magari dalla mediazione dei connazionali già stabilitisi in Europa. Secondo le testimonianze raccolte, l’islam può essere abbandonato o perché troppo esigente, o perché non consente un rapporto diretto tra l’umano e il divino, almeno, non quanto il luteranesimo. Sulla fondatezza di convinzioni simili non ci pronunciamo, limitandoci a riportare quanto riferito da alcuni intervistati, così come facciamo nel caso di coloro i quali mettono in relazione la propria scelta di cambiamento con la volontà di prendere le distanze dalle violenze commesse in nome della religione islamica. Di fronte ad affermazioni simili, è facile comprendere come quelli che in occidente vengono chiamati esponenti dell’islam moderato siano tra le vittime morali del terrorismo. Nei fondamenti delle scelte di conversione stanno poi il desiderio di essere bene accolti e l’impressione che i cristiani siano ospitali e amichevoli: più di uno tra gli intervistati mette in evidenza la gratitudine dovuta a istituzioni come la Caritas, o ai gruppi interni alle chiese e alle parrocchie. La religione viene vista, insomma, come strumento di integrazione. Se guardiamo alla millenaria storia del cristianesimo, ci accorgiamo che non vi è nulla di nuovo in questo atteggiamento, condiviso da individui e da interi popoli costretti – molto spesso loro malgrado – a far fronte ai desideri di proselitismo delle confessioni cattolica e luterana.

 

Chi accoglie

 

Di fronte a simili scelte, l’atteggiamento dei ministri del culto e dei responsabili della pastorale è estremamente prudente, ma senza dubbio anche di piena accettazione. Dopo i primi contatti di conoscenza, il procedimento è ormai rodato. Sono organizzati corsi di introduzione alla Sacra Scrittura (le cui edizioni nelle lingue iraniche sono sempre più frequenti) e ai sacramenti, così da preparare la strada al battesimo. A leggere i dati disponibili, pare che dopo il battesimo nella piena maggioranza dei casi segue un’esperienza di fedeltà alla nuova appartenenza: niente cambiamenti di facciata, dunque. I ministri del culto luterani coinvolti nelle indagini che abbiamo consultato sono concordi nel sottolineare come la conversione debba essere il risultato di un percorso serio e completo e mai si possa caratterizzare come una sorta di aiuto al conseguimento del permesso di soggiorno. Per insegnare sono stati costituiti dei team di missionari in patria, che allo storico suggeriscono una similitudine con gli evangelizzatori delle campagne, così attivi tra 1600 e 1700 nel tentativo di portare la cultura cristiana (di norma cattolica) nei piccoli villaggi dove mancavano i parroci o dove il parroco non sapeva nulla non solo di teologia, ma nemmeno del Vangelo. Quello che invece non trova alcun riscontro nelle vicende del passato è il tono molto sommesso con il quale le conversioni vengono salutate o commentate: nessuna pubblicità, nessuna esaltazione. Se qualche secolo fa il proselitismo si propagandava a suon di cifre, spesso addomesticate e illustrate con toni trionfali, oggi non accade nulla di simile. Bisogna tenere conto del dialogo interreligioso e ancor prima della pacifica convivenza tra i fedeli di credo e confessioni diverse. Meglio dunque scegliere il basso profilo, rimanere sottotraccia e lasciare che siano le esperienze individuali o quelle di piccoli gruppi a indicare il cammino. Come scritto, la Chiesa cattolica è ancora più silenziosa di quella evangelica sul tema. Ma non possono passare inosservate le parole pronunciate pochi giorni fa da papa Francesco – certo in altro contesto, quello del convegno sulla catechesi delle persone disabili – per cui un prete deve aprire la porta a tutti, senza distinzioni, altrimenti meglio lasciarla chiusa. Questo non vuol dire però che la notizia dell’apertura debba essere gridata ai quattro venti. Non sempre.