Ashraf Fayadh, l’Arabia Saudita e la libertà di stampa

Secondo Albert Camus “La stampa libera può essere buona o cattiva, ma è certo che senza libertà non può essere altro che cattiva”. È evidente che il regime saudita non la pensi allo stesso modo: condanne a morte per apostasia, esecuzioni pubbliche e frustate per i prigionieri. Un numero sempre crescente di vittime sacrificali dell’assolutismo ideologico di Riad. L’uccisione dello sceicco Nimr al-Nimr, insieme a quella di altre 47 persone, – dello scorso 2 gennaio - è solo l’ultima sulla linea cronologica.
E poi c’è Ashraf Fayadh, poeta, 35 anni e origini palestinesi. Fayadh è stato arrestato per la prima volta il 6 agosto 2013, in seguito alle rimostranze di un cittadino saudita secondo cui l’autore avrebbe promosso l’ateismo e diffuso idee blasfeme tra i giovani con la sua antologia poetica, Instructions within (2008). Il giorno successivo, il rilascio su cauzione. Ma la sua libertà è stata altrettanto breve: il 1 gennaio 2014 viene nuovamente incarcerato con l’accusa di apostasia. A questo primo capo d’imputazione se ne aggiunge un secondo: la violazione dell’articolo 6 della legge saudita contro il cybercrimine, per aver scattato fotografie a donne con il proprio cellulare e averle conservate. Risultato: una condanna a quattro anni di detenzione e 800 frustate. Successivamente il suo caso viene giudicato da una seconda corte che, il 17 novembre scorso, lo condanna a morte.
Già all’inizio del 2014 cento tra artisti, intellettuali e scrittori firmano un appello per chiedere la scarcerazione di Fayadh. Del tutto inefficaci anche i tentativi dell’attivista Mona Kareem che, in un’intervista al Guardian, rivelava l’impossibilità di Fayadh di essere difeso da un avvocato perché privato dei suoi documenti d’identità. Sono in molti a credere che l’arresto di Fayadh sia da ascrivere alla pubblicazione - sul suo profilo social - del video della fustigazione pubblica di un uomo ad Abha.
Le pressioni internazionali, sollecitate da Human Rights Watch potrebbero evitare a Fayadh di seguire la sorte delle altre 150 persone uccise per decapitazione nel 2015 per volere dei giudici sauditi. Anche Amnesty International si è mobilitata per la causa, promuovendo una petizione per la scarcerazione del letterato. Il Festival Internazionale della Letteratura di Berlino ha poi lanciato un appello a persone, organizzazioni, scuole e media affinché si mobilitino per la liberazione di Fayadh. La voce, partita da Berlino, incita ad flash mob mondiale indetto per il prossimo 14 gennaio: un reading delle opere di Fayadh. Intellettuali, scrittori, arabisti e non si sono dati appuntamento nelle maggiori città d’Italia alle 18.30. Nelle librerie e nelle aule universitarie i versi di Fayadh verranno recitati in arabo con la traduzione in italiano. La potenza di questa mobilitazione cerca di ostacolare il volere dei regimi sauditi. Ma Riad non è nuova a fatti analoghi: la letteratura è sempre stata vista con scetticismo e diffidenza per il suo potenziale illuminista: le coscienze dei cittadini, sollecitate, potrebbero ribellarsi a un sistema sociale totalmente controllato dalle gerarchie religiose wahabite. Nel 2014, in occasione della fiera del libro di Riad, furono ritirati migliaia di volumi di centinaia di autori considerati minacciosi e poco rispettosi della fede.
Lo scorso mese di ottobre, la commissione del Premio Sakharov, ha insignito del prestigioso riconoscimento per la libertà di pensiero, il blogger saudita Raif Badawi. Scrittore e attivista saudita è il creatore del sito web Free Saudi Liberals, una piattaforma online per il dibattito a sfondo politico e religioso. Nel 2012 Badawi è stato arrestato con l'accusa di oltraggio all'Islam e incriminato sulla base di varie accuse, fra cui quella di apostasia. Nel 2013 è stato incarcerato e condannato a sette anni di reclusione e 600 frustate, quindi condannato nuovamente a 1000 frustate, 10 anni di prigione e una multa nel 2014. Le prime 50 frustate gli sono state inflitte davanti a centinaia di astanti il 9 gennaio 2015. Le sessioni successive di fustigazione sono state rinviate a seguito della condanna internazionale e del peggioramento delle condizioni di salute di Badawi. La sua condanna è stata confermata dalla Corte suprema nel giugno 2015 ed egli si trova tuttora in carcere. Dalla sua esperienza di blogger è nato un libro che raccoglie alcuni dei suoi scritti, 1000 frustate per la libertà, e pubblicato lo scorso settembre. Ovviamente la eco di questi accadimenti è sempre più forte ed il loro riverbero passa inevitabilmente dal web. Contrariamente ai metodi di diffusione, la repressione da parte dell’estremismo religioso islamico è sempre esistita: già nell’89 Khomeini emanò una fatwa che condannava a morte per apostasia Salman Rushdie e i suoi Versetti satanici.
L’inibizione del libero pensiero e della sua espressione minaccia costantemente lo sviluppo di società che vivono sotto lo scacco di regimi assolutisti come quello saudita. John Stuart Mill nel suo saggio On Liberty (1859) sosteneva che possiamo mantenere le nostre opinioni solo esponendole al confronto con le idee altrui. In campi come “la morale, la religione, la politica, i rapporti sociali e gli affari della vita, tre quarti degli argomenti a favore di una qualsiasi opinione controversa consistono nel demolire le apparenze che ne favoriscono un’altra”. Dunque tutte le vittime di censura, qualunque sia la natura delle sue idee, sono egualmente da difendere. Preservandole rivendichiamo un diritto molteplice: quello della libertà di opinione ed espressione individuale, e quello dei lettori di conoscere argomenti che confutino o confermino le proprie convinzioni. Vittime coloro che vengono zittiti, vittime coloro che non possono ascoltarli.
* Francesca Del Vecchio, praticante giornalista. Collabora con Prima Comunicazione e ha collaborato con il canale all news Tg Com 24.
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