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Silenzio, Juncker lavora …

Michele Marchi - 05.08.2014
Pierre Moscovici

A che punto è il lavoro del grande “tessitore” Jean-Claude Juncker? Il neo presidente vorrebbe comporre il puzzle della sua Commissione entro il 30 agosto, in modo che il Consiglio straordinario di fine estate sia soltanto un momento di cordiale ratifica da parte dei capi di Stato e di governo. Peraltro un risultato di questo genere fornirebbe a Juncker tempo prezioso per preparare i commissari al complicato passaggio di fronte alle varie commissioni parlamentari, che dovranno ufficialmente dare il via libera alle sue scelte.

Nonostante questi buoni propositi e un lavorio diplomatico tra le capitali, che non permetterà all’ex premier lussemburghese un agosto di riposo, i dubbi e le incognite sono ancora molti e il quadro pare ben lungi dall’essere completato.

 

Il nodo economia


Procedendo con ordine si può cominciare dal portafoglio, almeno in apparenza, di maggiore peso “politico”, quello cioè degli Affari economici, ribattezzato dopo il discorso di insediamento di Juncker “al rilancio della crescita e dell’investimento”. Dovrebbe trattarsi, almeno ipoteticamente, dell’incarico in grado di invertire la rotta dell’Ue, dall’austerità a guida tedesca, alla crescita-sviluppo dell’asse Hollande-Renzi. Ora che il presidente francese ha ufficializzato Pierre Moscovici come candidato per la Commissione, verrebbe da dire che l’ex Ministro dell’economia e delle finanze transalpino sia certo di ottenere l’incarico. È proprio nel “sicuro” che si annidano le prime incertezze. Moscovici deve affrontare le reticenze tedesche. A Berlino si chiedono, in maniera sarcastica, come possa un francese, considerate le difficoltà nel controllare i propri conti pubblici, diventare il “vigile urbano europeo” dei conti in disordine altrui. Sempre oltre Reno non mancano i dubbi sulla preparazione di Moscovici: alcuni lo reputano una sorta di “dilettante” sui temi economico-finanziari. Infine c’è ancora chi teme un’interpretazione eccessivamente politica dell’incarico, cioè che si insista troppo sul discorso della fine dell’austerità. Ci sono poi altri due elementi da non trascurare. Il primo arriva dalla Francia. Siamo proprio sicuri che Parigi punti a questo portafoglio? Seguendo la corretta procedura Hollande ha indicato il candidato, spetta infatti a Juncker scegliere dove collocarlo. E se la Francia in realtà puntasse alla casella di Commissario alla concorrenza? In fondo l’idea di promuovere i “grandi campioni industriali” europei, da contrapporre magari a quelli cinesi o americani è da sempre un pallino dei cugini d’oltralpe. C’è poi un secondo dato, da non trascurare: il commissario agli Affari economici è ancora un posto davvero prestigioso? Molto più importante, mormorano ad esempio a Berlino, è quello di Presidente dell’Eurogruppo. Perché allora condurre una battaglia all’ultimo sangue su un portafoglio ricco di incognite e che potrebbe rivelarsi in realtà una scatola vuota, fatto di molta immagine e poca sostanza?

 

Fattore M.


Il secondo nodo ruota attorno al cosiddetto “fattore Merkel”. Juncker sa di non poter scontentare il cancelliere tedesco, al quale deve in toto la sua nomina. E da Berlino sembrano non transigere su due diktat. Merkel vuole il portafoglio del Commercio, per il suo candidato, il cristiano democratico Gunther Oettinger: sia per l’importanza che il capitolo commerciale ha nell’economia tedesca, sia per i negoziati in corso sul Transatlantic Trade and Investment Partnership. In secondo luogo sempre Merkel avrebbe imposto che al candidato inglese Lord Hill venga assegnato un incarico di peso. Berlino vuole, almeno in parte, sanare la frattura con Londra. Juncker dal canto suo sa che Hill, da anni lobbysta a Bruxelles, non avrà vita facile una volta giunto di fronte alla commissione parlamentare che dovrà decidere della sua nomina.

 

A question of gender


La terza grande questione riguarda il “genere”. Junker nel suo discorso di investitura ha promesso una Commissione “rosa”, con un numero maggiore di commissari donna rispetto all’esecutivo uscente (sono nove nella Commissione Barroso). Il punto è che nelle lettere inviate dai 28 Capi di Stato e di governo con i desiderata le donne scarseggiano. I nomi femminili certi sono quelli della ceca Vera Jourova, della svedese Cecilia Malmstrom (peraltro Commissario agli Affari interni uscente) e dell’italiana Mogherini (nome che pone ben altri problemi). Nel terzetto avanzato dalla Slovenia è presente anche quello della socialista Alenka Bratusek e infine nomi caldi, ma non ufficializzati dai propri governi, sono quelli della bulgara Krystalina Georgieva (principale competitor di Mogherini per l’incarico di Alto rappresentante), della belga Marianne Thyssen e della ministra delle finanze portoghese Maria Luis Albuquerque. Ammesso che tutte quelle elencate entrino nella nuova Commissione, il numero non è sufficiente per raggiungere l’ambizioso traguardo avanzato da Juncker.

 

Mr o Mrs Pesc?


Un ultimo, ma complicatissimo, nodo riguarda il ruolo di Alto Rappresentante per la Politica estera e di sicurezza comune. Su questo punto si intrecciano fattori contingenti ed altri di natura più sistemica. Da un lato troviamo l’azzardo di Renzi, che ha deciso di “cambiare verso” anche in Europa e si è permesso di proporre un nome e insieme a questo anche il relativo portafoglio, introducendo una metodologia eterodossa e un po’ supponente, che solo il tempo giudicherà se efficace o fanfarona. Dall’altro le perplessità su Mogherini permangono, così come la candidatura forte della bulgara Georgieva a contrastarla. Quest’ultima ha un handicap non di poco conto: è una popolare come Juncker. Schulz e Hollande sono stati più volte espliciti: dopo la nomina di Juncker, popolare, il numero due deve andare ad un socialista. Se questa è contingenza e si vedrà se Renzi riuscirà a dominarla, c’è poi un fattore più sistemico. Con la triplice crisi ucraina, israelo-palestinese e libica risulta sempre più evidente quanto la dimensione geopolitica sarà determinante nei prossimi mesi. Anche a Bruxelles paiono essersene accorti e di conseguenza due elementi sembrano imporsi. Il nuovo titolare della PESC non potrà essere nemmeno lontanamente simile alla grigia Catherine Ashton. In secondo luogo le richieste nazionali per andare ad occupare la casella potrebbero rapidamente crescere.

 

In molti hanno descritto la nomina di Juncker come un primo passo nella direzione della democratizzazione definitiva delle istituzioni europee. Il PPE primo partito nell’Europarlamento, impone il suo candidato alla guida della Commissione. Non sono mancate le obiezioni, sia rispetto alla lettura dei trattati (la Commissione non è un esecutivo di un sistema parlamentare…), sia rispetto alla scelta nello specifico di Juncker (paradossale che l’emblema della “continuità” si trovi a gestire l’“innovazione”). Di sicuro vi è il tentativo operato dal complesso edificio comunitario di adattarsi, anche se forse troppo lentamente, ad un’evoluzione globale che marcia a ritmi infernali. Questa corsa a perdifiato ha effetti importanti anche sulla rilevanza dei vari portafogli della Commissione. Poltrone ambite sino a pochi anni fa come quelle dell’agricoltura, della ricerca e degli aiuti regionali paiono oggi svuotate di rilevanza (e di risorse). In primo piano sembrano esservi clima, energia, commercio, agenda digitale e politica estera. Renzi e Merkel sembrano averlo compreso, probabilmente anche Hollande. Per Juncker tutto ciò significa qualche grattacapo in più. D’altra parte “chi ha voluto la bicicletta.. ora deve pedalare”. Anche se è agosto!