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La ripresa che non c’è e la BCE bella addormentata

Gianpaolo Rossini - 12.08.2014
Banco Santo Spirito

Un dato congiunturale insoddisfacente che vede il Pil italiano scendere dello 0.2% nel secondo trimestre del 2014  è bastato per rimettere un punto interrogativo sulle capacità dell’Italia di rimettersi dalla lunga crisi che ormai dura da 4 anni. Lo spread dei tassi a 10 anni rispetto ai corrispondenti tedeschi si è alzato improvvisamente volando verso 180, vanificando in poche ore gli sforzi di tagli della spesa pubblica e di imposte che non si possono ridurre. Il dato congiunturale non è certo incoraggiante ma occorre essere prudenti perché la ripresa lenta sta forse facendosi strada soprattutto in alcuni settori. Tra questi vi sono produzioni tradizionali come alimentari, abbigliamento, legno e metallurgia e alcuni avanzati tra cui elettronica, farmaceutici, mezzi di trasporto, gomma e materie plastiche. Tra i tradizionali, il settore alimentare e quello dell’abbigliamento sono in realtà posizionati per lo più nelle fasce alte della qualità e quindi sono meno colpiti dalla concorrenza internazionale di prezzo.  Tra gli avanzati, elettronica e farmaceutica segnalano una forte capacità nell’innovazione e nella ricerca a dispetto di tante litanie recitate giornalmente nei media sulla scarsa capacità di aprire nuovi orizzonti produttivi. Tra le industrie che invece sembrano arrancare di più e che mostrano  segni negativi troviamo le apparecchiature elettriche e il settore petrolifero. Il secondo è dovuto ad un minore consumo e ad una ridotta raffinazione a vantaggio di paesi emergenti produttori di petrolio e non, due trend difficili da contrastare.  Il primo caso invece preoccupa non poco perché evidenzia un lento e inarrestabile declino del nostro paese in questo ambito. Si tratta di una tendenza che viene da lontano in cui si incrociano errori pubblici e scarsa capacità privata. Sul fronte pubblico abbiamo perso colpi a cominciare da 40 anni fa quando i padri dei No Tav,  no ponte sullo stretto etc. di oggi ritardarono l’adozione della televisione a colori in Italia. I giovani che leggono queste pagine rimarranno sorpresi da questo che per loro potrà sembrare privo di senso. Ma le cose andarono proprio così. La sinistra, non solo estrema, ritenne che l’adozione del colore in Tv sarebbe stata uno spreco di denaro pubblico e privato che meglio sarebbe stato speso per pensioni o quant’altro. Il risultato di tutto questo fu un ritardo tecnologico che consegnò il maggior gruppo elettromeccanico italiano di allora, la Zanussi , agli svedesi di Electrolux per trenta denari e l’inizio del declino dell’intero comparto in cui l’Italia era stata leader mondiale per circa due decenni. Altri errori pubblici riguardano privatizzazioni improvvisate e poco trasparenti come quelle di Enel e di Telecom Italia che hanno avuto effetti deleteri anche sul settore della elettronica civile, mentre stranamente quelli dell’elettronica militare tuttora in mano pubblica non sembrano avere sofferto molto. Gli errori privati consistono in una scarsa attività di ricerca e sviluppo sia sui prodotti che nell’organizzazione della produzione. Insomma un insieme di vizi privati e pubblici hanno indebolito e ridimensionato un settore che era tra i più importanti del paese. Si tratta di casi che possiamo prendere a simbolo per altri settori e per capire meglio le ragioni non congiunturali della fatica di parte della nostra economia a crescere. E che ci dicono che “non di solo riforme” deve alimentarsi la ripresa. Si, perché dalla BCE arriva la solita solfa che,  a dire il vero, comincia ad essere un po’ stucchevole. Certo che dobbiamo fare alcune riforme. Ma dalla torre di vetro scintillante come un castello di mago Merlino della BCE a Francoforte forse non si sono accorti che il quadro internazionale è peggiorato fortemente, che la locomotiva tedesca è potente quanto un trenino per bambini di un parco giochi e che ci sono forti tensioni a Sud e ad Est dell’Europa alle quali è più esposto proprio lo stivale italico. Insomma ci predicano riforme e non si accorgono di ciò che sta avvenendo, come dire ad una donna colta nel sonno da un incendio di abbigliarsi decentemente prima di scappare. Servono riforme istituzionali all’Italia come quelle che si stanno facendo ma queste avranno un impatto molto modesto e soprattutto nel lungo periodo. All’Italia e all’Europa necessitano urgentemente qui ed ora  politiche espansive coraggiose dei paesi finanziariamente saldi. Qualcosa sta facendosi strada in Germania dove una politica salariale generosa è forse alle porte anche se in grave ritardo e insufficiente. Non basterà a farci uscire da una spirale deflazionistica grave. In  mancanza di un impegno forte della BCE per una politica monetaria veramente unica, non sfilacciata e timida come è ora il quadro internazionale può fare deflagrare improvvisamente una crisi europea che potrebbe diventare difficile da controllare. La recente crisi del Banco di Santo Spirito in Portogallo ci insegna che il sistema bancario europeo è ancora convalescente  e le ricadute sono sempre dietro l’angolo anche in paesi apparentemente risanati.  In diverse aree, e non solo della fascia Sud di eurolandia, da oltre tre anni vi sono banche e settori pubblici che camminano come funamboli su una fune tesa tra due montagne altissime. La capacità di andare avanti in queste condizioni può venire meno improvvisamente soprattutto se il quadro internazionale peggiora. Allora la BCE potrà fornire alle banche tutta la liquidità che vorrà ma servirà poco. La bella addormentata si sarà svegliata troppo tardi.