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La diversa velocità della Germania

Gabriele D'Ottavio - 15.03.2017
Foto BTW

Nelle ultime settimane gli istituti demoscopici hanno rilevato repentini e consistenti mutamenti nelle intenzioni di voto degli elettori tedeschi. Il mese scorso si è assistito al cosiddetto «effetto Schulz», cioè alla straordinaria rimonta nei sondaggi della socialdemocrazia tedesca (SPD) sull’Unione dei cristiano-democratici (CDU/CSU) guidata da Angela Merkel.Più di recente invece, alcuni sondaggi darebbero il partito euro-critico e anti-immigrati Alternative für Deutschland non più,come solo la settimana scorsa, stabilmente sopra il 10% dei consensi, bensì al di sotto della soglia a due cifre. Non è escluso che tra il presunto recupero della SPD e l’apparente appannamento di AfD vi sia una qualche relazione. Tuttavia, l’attendibilità degli ultimi sondaggi e la plausibilità di eventuali nessi causali tra le diverse variazioni registrate sono ancora tutte da verificare.

Anche la sola parvenza di una maggiore fluidità del voto tedesco è però un dato di cui occorre tenere conto. Si tratta di un dato che si può tranquillamente aggiungere a quelli già sanciti dalle ultime tornate elettorali. Le ultime elezioni politiche nazionali nel 2013 e il più recente voto regionale nel 2016 hanno infatti evidenziato una crescente volatilità elettorale dei cittadini tedeschi, la repentina affermazione di forze politiche portatrici di sfide inedite e capaci di sottrarre consensi ai partiti tradizionali e una sempre maggiore personalizzazione della politica. In questa luce, anche la stabile Germania sembrerebbe esposta al vortice trasformativo della politica che sta attraversando tutto il continente europeo. Nel medio - lungo termine, la conseguenza più importante di un’eventuale dissoluzione di un sistema imperniato su due grandi partiti tendenzialmente maggioritari potrebbe essere la fine del modello dominante nella politica tedesca post-riunificazione di alternanza tra coalizioni di centrodestra (Cdu/Csu-Fdp) e centrosinistra (Spd-Verdi).

Tuttavia, in Germania, diversamente da quanto è avvenuto in altri paesi europei, la velocità del cambiamento,di quello reale o anche di quello solo presunto, non ha, almeno finora, prodotto conseguenze negative rilevanti sull’efficienza e sulla stabilità della democrazia. Sull’efficienza della democrazia tedesca è sufficiente ricordare alcuni dati macroeconomici: la disoccupazione è ai minimi storici dai tempi della riunificazione delle due Germanie, l’occupazione ha raggiunto nel 2016 il livello record di 43 milioni, mentre la crescita nel 2017 è stimata attorno all’1,8%, sopra la media dell’eurozona (1,7%).Certamente gli indicatori macroeconomici non dicono tutto e, in questo caso, oscurano le grandi differenze tra le ricche regioni occidentali e quelle più povere dell’Est, nonché le centinaia di migliaia di giovani disoccupati e precari che alle ultime elezioni regionali hanno votato per un partito anti-establishment come AfD. È altresì vero, però, che in ampi settori della popolazione tedesca è diffusa la percezione opposta di una situazione di benessere e ricchezza mai vissuta prima. Per quanto riguarda invece la stabilità della democrazia tedesca, invece, è utile segnalare che dal maggio 2005 a oggi non vi è più stata alcuna crisi di governo e che a sei mesi dalle elezioni politiche uno degli scenari più probabili è la formazione di una coalizione di governo composta dagli stessi partiti che attualmente sono al potere nel quadro della Grande coalizione. In alternativa, a seconda dei rapporti di forza che verranno a formarsi dopo le elezioni, la Cdu/Csu o la Spd potrebbero trovarsi a scegliere la formazione di un governo di coalizione con uno o più degli altri partiti tradizionali (Verdi, Liberali e Linke). Un sistema di governo stabile e una cultura politica consensuale che, in caso di necessità, consente la formazione e la durata per tutta la legislatura di governi composti da partiti che normalmente appartengono a schieramenti contrapposti sono i primi fattori che consentono alla Germania di apparire come un possibile argine contro la cosiddetta «ondata dei populismi». Al tempo stesso tali fattori possono essere considerati due presupposti fondamentali per un paese che ambisca a stare al passo con chi in Europa corre di più.