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Caos e incertezza a tre mesi dal voto francese

Michele Marchi - 04.02.2017
Jean-Marie Colombani

Jean-Marie Colombani ha parlato della presidenziale “più folle della Quinta Repubblica”. Il sondaggista Jérôme Jaffré ha definito la campagna non ancora ufficialmente iniziata un vero e proprio “gioco al massacro”. Il noto commentatore politico di «Le Monde» Gérard Courtois ha descritto di recente la presidenziale 2017 come una sorta di “thriller politico”. Tutto vero, senza dubbio. Anche se la storia della V Repubblica è ricca di candidature non decollate, vittorie certe e poi sfumate in poche settimane. Che dire del flop di Chaban-Delmas al primo turno del 1974? Come non ricordare l’effimera candidatura di Rocard, avanzata e poi ritirata, una volta sceso in campo Mitterrand? E della meteora Raymond Barre nel 1988? E dello sgambetto di Chirac al quasi certo presidente Balladur nel 1995? Fino, naturalmente, alla clamorosa eliminazione dal primo turno di Jospin nel 2002.

Allo stesso modo c’è poco da scandalizzarsi di fronte all’affaire Penelope Fillon sollevato da «Le Canard enchainé». L’ultracentenario settimanale satirico ha mietuto non poche e autorevoli “vittime” (molte più a destra e al centro che a sinistra, occorre ricordarlo) nella storia della V. La famosa rivelazione di fine 1979 sugli imbarazzanti diamanti centrafricani donati dal dittatore Bokassa all’allora ministro Giscard (il cadeau era del 1973), influì non poco sulla sua mancata rielezione nel 1981. È stato lo stesso «Canard» a pubblicare i documenti dell’elusione fiscale di Chaban a fine anni Sessanta, a parlare dell’affitto “agevolato” e a carico del municipio di Parigi di Juppé ad inizio anni Novanta e a costringere alle dimissioni la potentissima pluriministra M.me Alliot-Marie, accusata di svernare in Tunisia a spese del clan Ben Ali in piena primavera araba….. E, anche se di «Canard» non si tratta, come dimenticare che la vittoria di Hollande cinque anni fa fu in larga parte legata all’affaire Sofitel, esploso nel maggio 2011, a pochi mesi dall’avvio della primaria socialista che avrebbe dovuto preparare l’ascesa di Dominique Strauss-Kahn all’Eliseo. Ma se lasciamo da parte un momento il piano giudiziario (non dimenticando però che il pluri-indagato Chirac riconquistò comunque l’Eliseo nel 2002), si possono fare alcune considerazioni politiche a meno di tre mesi dal primo turno del 23 aprile prossimo.

Qualcuno, dopo il parzialmente inatteso successo di Benoît Hamon alla primaria socialista, ha iniziato a parlare di lui come di una sorta di Mitterrand di fine anni Sessanta, al lavoro per rifondare il socialismo francese più che per puntare all’Eliseo nell’immediato. Per Hamon si prospetterebbe dunque un’onorevole sconfitta come quella patita da Mitterrand nel 1974. Le perplessità non mancano. Al momento la sua scelta di chiudere con il socialismo gestionale, pragmatico e di governo della coppia Hollande-Valls per puntare su una dimensione identitaria e utopica, di retorica ecologista e post-crescita mal si conciliano con il pragmatismo e il realismo dimostrato da Mitterrand nel corso degli anni Settanta nella sua rincorsa all’Eliseo. In aggiunta, al momento almeno, spessore politico e capacità di leadership di Hamon non sono certo paragonabili a quelle del primo presidente socialista della V Repubblica. Più prosaicamente Hamon deve rispondere a due sfide immediate. Da un lato rassembler tutti i socialisti. E’ chiaro che il voto ad Hamon è stato prima di tutto una sonora bocciatura al quinquennato di Hollande e soprattutto alla sua politica economica social-liberista, attuata dal 2014 dalla coppia Macron-Valls. Hamon nel corso dei cinque anni ha rappresentato l’opposizione, minoritaria, a questa linea che si è rivelata maggioritaria tra i due milioni di militanti e simpatizzanti andati a votare alle primarie. Questa linea anti-globalizzazione, post-crescita e filo-ecologista può tramutarsi in una maggioranza popolare presidenziale? La seconda sfida è quella di rassembler oltre la famiglia socialista. Hamon ha già lanciato segnali in questo senso a  Mélenchon e a Jadot (candidato ecologista), al momento non raccolti. Il problema però appare un altro: se Hamon dovesse, come possibile, “sfondare” a sinistra, questo compenserebbe la perdita, altrettanto certa, al centro?

Se da Hamon ci si sposta a François Fillon basterebbe citare l’affaire Penelope, per dire che la sua candidatura è probabilmente compromessa. Ma le difficoltà di Fillon sono se possibile più profonde e meno legate di quello che possa sembrare alla contingenza giudiziaria. Infatti dopo una primaria perfetta, Fillon non è stato in grado di far decollare la sua campagna per la presidenza. Si è ostinato a proporre una “cura liberale”, che appare interessante al massimo per un 20% dell’elettorato. Una scelta azzardata, considerata l’ascesa continua e prepotente di Macron. Il rischio di arrivare terzi al primo turno è concreto.

Anche perché l’attenzione sembra in questa fase concentrarsi tutta su Emmanuel Macron. Si sta diffondendo nel Paese una vera “Macron-mania”. Bisognerà verificare se si tratta di una “bolla mediatica” o se la sua candidatura si sta consolidando realmente a livello di opinione pubblica. Può essere utile porsi al momento due semplici domande: chi è Macron? Cosa ha proposto sino ad ora?

Macron è un brillante tecnocrate trentanovenne con scarsa esperienza politica, mai eletto nemmeno a livello locale, con un carnet di contatti nel mondo economico, finanziario e dei media lungo alcune centinaia di pagine. Quanto alle proposte concrete, seppur  en marche dall’aprile scorso, al momento poco o nulla da registrare sui problemi di fondo del Paese, cioè integrazione fallita, conti pubblici disastrosi e modello sociale oramai insostenibile. Le prossime settimane saranno decisive per conoscere meglio i dettagli della sua proposta e per riempire il fenomeno mediatico di credibilità politica. Un’ultima considerazione è però necessaria. Un’eventuale vittoria di Macron quali scenari aprirebbe per le successive elezioni legislative (previste a giugno)? Subito una coabitazione (in caso di vittoria della destra)? Un’Assemblea nazionale con tre poli e a rischio ingovernabilità? Addirittura un assetto quadripolare (socialisti, destra, gruppo di eletti del Fn ed eletti di una eventuale lista Macron)?

Infine due parole sulle “estreme”.  Si potrebbe utilizzare Ionesco, citato da Woody Allen, affermando: “Dio (Fillon) è Morto, Marx (Valls?) pure, ma non è che Mélenchon e Marine Le Pen se la passino così bene”.

La seconda si sta forse rendendo conto che sfruttare il doppio effetto Brexit/Trump potrebbe non bastare. Inoltre la sua grande forza è stata, sino ad oggi, quella di presentarsi come paladina degli strati popolari e della classe media impoveriti e snobbati dalla politica. La dimensione “sociale” è stata da sempre in primo piano nella sua proposta. Se Fillon dovesse capitolare e Les Républicains trovarsi senza un piano B credibile, Marine Le Pen dovrebbe rigettarsi a caccia di voti anche a destra. Riuscirà a tenere insieme, a quel punto, dimensione “sociale” e “conservatorismo classico”?

Per quanto riguarda Mélenchon il discorso è simile. Il candidato insoumis (ribelle) rischia di vedersi scippata una parte consistente della ribellione proprio da Hamon. Da questo punto di vista la vittoria del leader della minoranza socialista alla primaria è stata una pessima notizia per il campione dell’estrema sinistra.

Se questo è il quadro, passibile di mutamenti improvvisi, un elemento non è discutibile: la drammatica crisi delle due famiglie politiche (solo superficialmente rianimate dalle rispettive primarie) alla base dello strutturarsi del sistema tendenzialmente bipolare della V Repubblica. In fondo la presidenziale del 2007 e quella del 2012 avevano contribuito a rispondere “sì” alla domanda che G. Grunberg e F. Haegel si erano posti nel titolo del loro interessante La France vers le bipartisme? (Presses de Sciences Po, 2007). Oggi, forse, un più drammatico interrogativo si profila all’orizzonte: potrà il sistema quinto repubblicano sopravvivere ad una Francia che pare deviare verso un caotico multipartitismo? Basteranno presidenzializzazione e soglie di sbarramento alle legislative, ancora una volta, a salvare il sistema?