Ultimo Aggiornamento:
27 marzo 2024
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Il futuro del presente, ed altre possibilità.

Attentato a Londra

Sulla base delle notizie raccolte e diffuse finora, l'attentato del 22 marzo contro il Parlamento britannico a Londra sembra rientrare nella categoria degli attacchi "ispirati" ma non "organizzati" da organizzazioni internazionali terroristiche, come lo Stato islamico. Saremmo dunque di fronte ad un evento simile a quanto avvenuto nella strage a Nizza il 14 luglio oppure a quella del mercatino di Natale a Berlino, il 19 dicembre 2016. Gli attacchi a Parigi del 13 novembre 2015 e quelli a Bruxelles del 22 marzo 2016, invece, erano caratterizzati da legami organizzativi più stretti con l'Organizzazione dello stato islamico (IS). La diversità dei collegamenti è proprio uno dei punti di forza dell'Organizzazione dello stato islamico che sfrutta modalità diverse di conflitto: dalla guerra convenzionale, alla guerriglia in terra di Iraq e di Siria, agli attentanti terroristici in Europa, Turchia, Tunisia ed Egitto, fino all'ispirazione di singoli individui a compiere atti terroristici con mezzi tanto semplici quanto letali, sempre in Europa o negli Stati Uniti d'America. Fino a questo punto, dunque, niente di nuovo. Purtroppo.

Molto, invece, si muove in Iraq e in Siria dove la principale organizzazione jihadista, l'Organizzazione dello stato islamico, sta subendo pesanti sconfitte militari sul campo. Nonostante la resistenza sempre più accanita delle truppe di al Baghdadi, le forze irachene stanno avanzando a Mosul ed è ormai questione di tempo, forse settimane perché la grande città irachena venga liberata dagli jihadisti. In Siria, le truppe iraniane con il sostegno della Russia hanno ripreso la città di Tadmur e il sito archeologico di Palmira, riconquistato da IS all'indomani della caduta di Aleppo in mano di al Assad nel gennaio 2016. L'esercito siriano si prepara ad attaccare i jihadisti a Deir er Zur, dopo anni di resistenza nell'enclave dell'aeroporto e il bombardamento "per errore" degli USA il 17 settembre 2016. Intanto, il 23 marzo, a nord la coalizione curdo-araba delle Syrian Democratic Forces attacca e conquista terreno vicino alla diga sull'Eufrate, molto vicina alla città di Raqqa, capitale de facto dell'Organizzazione dello stato islamico. La coalizione curdo-araba ha l'appoggio politico-militare di Washington, e diplomatico-militare della Russia, con buon pace della Turchia di Erdogan. Nonostante l'Organizzazione possa contrattaccare in modo inaspettato in Siria e in Iraq, nel complesso è ormai in rotta per cui è molto probabile che nel corso del 2017 venga sconfitta dal punto di vista militare. Tuttavia, rimane aperta la possibilità che alcuni dei suoi dirigenti possano trovare spazio d'azione nella scena sociale e politica della Siria per come si sta delineando oggi tra operazioni militari e negoziati.

Il governo e le forze armate di Damasco continuano la loro lenta avanzata nei principali fronti di guerra: sempre tramite un mix di attacchi aerei devastanti per i ribelli e la popolazione, assedio dei centri urbani fino alla resa ed evacuazione dei ribelli e delle loro famiglie, negoziati politici all'estero sotto l'egida della Russia e delle Nazioni Unite (da Astana ai diversi round a Ginevra). Il 18 marzo, il governo di al Assad ha appena espulso gli ultimi ribelli dalla città di Homs, riconquistandola dopo ormai sei anni di resistenza, in un altro passaggio importante dal punto di vista strategico e simbolico. Tuttavia, il 19 marzo subisce l'attacco a sorpresa delle milizie jihadiste a Jobar, vicino al centro di Damasco, così come il 22 cede terreno nella campagna attorno a Hama dove i ribelli sono all'attacco. Nel frattempo, continuano con fatica di negoziati a Ginevra, dove dal 23 al 31 marzo, si discute della "transizione politica" e della proposta di nuova costituzione avanzata da Mosca alle parti in causa. Nella sua divisione dei poteri, termine dei mandati presidenziali e decentramento istituzionale, la proposta viene incontro tanto alle domande "formali" dei ribelli, dei curdi della Rojava quanto a quelle del governo nell'integrità territoriale e centralità delle forze armate; resta da vedere se e come possa integrarsi con i caratteri "informali" della politica siriana. Di sicuro, conferma la centralità di Mosca come unico "power-broker" nel conflitto in Siria, con cui tutti devono confrontarsi per avere un ruolo.

La maggior parte delle analisi sulla situazione attuale è concorde nel ritenere che nel 2017 si potrà giungere ad un accordo di massima tra il governo e un parte rilevante dei ribelli. Questo darà inizio all'opera di ricostruzione delle aree devastate e di parziale rientro della popolazione rifugiata, interna e all'estero. Tuttavia, a causa del permanere di aree di conflitto armato, la ricostruzione non coprirà tutto il territorio siriano per cui è molto probabile che avvenga in modo assolutamente disomogeneo: anzitutto gli spazi del governo nel centro-ovest; parzialmente nel nord della "Rojava" curda; col contagocce nelle provincie di Idlib a nord e Dera'a nel sud oggi in mano ai ribelli, domani, forse, alle future opposizioni; del tutto assente nelle aree di conflitto con i ribelli jihadisti. Dunque, ancora una Siria unita nei confini ma frammentata nello sviluppo, dove le aree di esclusione costituiscono uno spazio privilegiato per l'azione dei gruppi jihadisti come al Qaida e l'Organizzazione dello stato islamico: sotto nuovi nomi e leader, queste potranno proseguire la loro lotta armata e chiamare alla mobilitazione nuovi seguaci all'estero.

I segnali in questo senso sono allarmanti. Da un lato, i tentativi dei "signori della guerra" locali, sia pro-governo sia ribelli, di convertirsi in businessmen della ricostruzione, fatto questo di per sè quasi inevitabile, e le cui conseguenze sociali e politiche dureranno nel tempo come ci ricordano i precedenti del Libano e dei Balcani. Dall'altro lato, la sostanziale indisponibilità dell'Unione Europea ad impegnarsi nel processo con risorse finanziare e, nel caso lo fosse, ad operare secondo gli standard di "efficienza" contabile prima che di "efficacia" sociale. In tutti i casi, si dimentica spesso la principale risorsa di cui la Siria ha sempre goduto nel tempo, che è stata messa a valore quando i regimi lo hanno permesso, e che è stata riconosciuta dai testimoni sul campo: cioé, l'enorme capacità e professionalità della popolazione di immaginare, costruire e re-inventare il proprio territorio.

Per questo motivo, quanto accade in Siria e in Iraq è importante per l'Europa, al di là del collegamento diretto tra l'azione di un individuo e i comandi centrali nei Paesi arabi.