Il peso delle parole e il vuoto della politica: a proposito di Europa
I concetti sono la più potente arma della battaglia politica: così afferma Reinhart Koselleck, uno dei più illustri esponenti della storia dei concetti (Begriffsgeschichte). E in effetti la politica dell'era moderna e la riflessione teorica sulla stessa trovano un precipitato assai importante in parole-chiave che risultano in grado di delineare nuovi orizzonti, carichi di aspettative future. Anche concetti classici in occidente quali, per esempio, quelli di libertà e democrazia, alla luce del progresso tecnico e scientifico dell'età moderna, assumono una valenza progettuale prima sconosciuta, nella misura in cui appaiono in grado di indirizzare la società e la politica verso un futuro pieno di speranza, certamente migliore rispetto al passato e aperto al coraggio del nuovo. L'Uomo moderno insomma non teme il domani, che anzi si appresta a progettare raccogliendone ogni possibile sfida, anche dal punto di vista delle parole stesse della politica che debbono risultare addirittura in grado di orientare il mutamento e la storia.
Alla luce di quanto appena affermato e senza scomodare i tanti odierni cantori della fine della modernità, noi, donne e uomini d'occidente, aventi alle spalle la duratura eredità del moderno, nelle sue tappe più gloriose (dalle grandi rivoluzioni americana e francese in poi), non possiamo non provare una sorta di spaesamento di fronte al vuoto pneumatico, che, dal punto di vista di possibili parole-chiave o concetti-guida della politica, ha un documento quale la recente dichiarazione di Roma (25 marzo 2017), seguita alla celebrazione del 60.o dei primi Trattati istitutivi della futura UE. A proposito della "Dichiarazione dei leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea" (Declaration of the Leaders of the 27 Member States and of the European Council, the European Parliament and the European Commission, così come compare nei siti della UE), non è mia intenzione sottolinearne gli inevitabili compromessi e tanto meno cercare di misurare il grado di plausibilità del raggiungimento dei diversi e ambiziosi obiettivi sinteticamente enunciati nei quattro punti nel programma per gli anni a venire. "Per il prossimo decennio - recita il testo- vogliamo un'Unione sicura, prospera, competitiva, sostenibile e socialmente responsabile, che abbia la volontà e la capacità di svolgere un ruolo chiave nel mondo e di plasmare la globalizzazione. Vogliamo un' Unione in cui i cittadini abbiano nuove opportunità di sviluppo culturale e sociale e di crescita economica. Vogliamo un'Unione che resti aperta a qui paesi europei che rispettano i nostri valori e si impegnano a promuoverli." Come non essere d'accordo su questo manifesto programmatico ampio per un'Europa-guida nel mondo intero (nel segno della sostenibilità e della responsabilità sociale) e che al tempo stesso miri a promuovere le diverse opportunità di sviluppo dei cittadini? I concetti evocati nel brano citato, e in primo luogo quello di "globalizzazione" (vero e proprio mantra, in positivo o in negativo, di ogni dibattito politico del nuovo millennio) raccolgono in effetti importanti sfide che il presente pone alla politica contemporanea e sulle quali l'Europa è chiamata a misurarsi da vicino sulla scena mondiale. E allora perché, nonostante le nobili dichiarazioni dell'intero documento in causa e il giusto richiamo ai successi ottenuti nella storia della Unione l'impressione alla lettura del documento stesso (almeno da parte mia) continua a essere quella della assoluta mancanza di un concetto davvero forte in grado di chiamare a raccolta davvero i cittadini europei in questo momento di profonda crisi? La risposta penso sia già evidente fin dal titolo, già precedentemente citato, del documento in oggetto, così come nella sua apertura e chiusura: i soggetti in causa nel documento, il "noi" a cui si richiama costantemente quest'ultimo, sono i leader.
"Noi, i leader dei 27 Stati membri e delle istituzioni dell'UE, - leggiamo all'inizio - siamo orgogliosi dei risultati raggiunti dall'Unione europea: la costruzione dell'unità europea è un'impresa coraggiosa e lungimirante." E per concludere: " Noi leader, lavorando insieme nell'ambito del Consiglio europeo e tra le istituzioni, faremo sì che il programma di oggi sia attuato e divenga così la realtà di domani. Ci siamo uniti per un buon fine. L'Europa è il nostro futuro comune."
Anche senza andare alla celeberrima frase di apertura della Costituzione americana e a tanti altri documenti che nella storia contemporanea hanno visto un richiamo a ben altri "noi" rispetto all'odierno "noi" europeo fatto di capi di Stato e di vertici bruxellesi, quel che è certo è che sicuramente i cittadini europei non sentiranno il loro cuore battere per questo insieme, tanto più che quando essi vengono chiamati in causa, nel corso del documento, lo sono più come oggetto di possibile attenzione, da parte dei leader stessi appunto, che come soggetto di future scelte condivise.
Possibile non si potesse fare qualcosa in più in un momento in cui l'inizio effettivo della Brexit in contemporanea al sessantesimo compleanno dei Trattati di Roma sembra a tutti dettare l'agenda all'intera Europa? Allora davvero i concetti della battaglia politica della UE sono ora un'arma (per ritornare a Koselleck) assai spuntata ….
* Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche – Università di Bologna
di Paolo Pombeni
di Michele Iscra *
di Raffaella Gherardi *