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27 aprile 2024
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Vincitori e vinti, prima della metà del guado. Ancora sul primo turno francese

Michele Marchi - 29.04.2017
Nicolas Dupont-Aignan

In attesa che il primo turno sia ulteriormente analizzato e che i flussi elettorali siano studiati nel dettaglio, si possono fare alcune considerazioni generali su vincitori e vinti del 23 aprile.

I vincitori del primo turno sono tre.

Prima di tutto il settimanale satirico «Le Canard Enchainé». Potrà sembrare superficiale o forse banale un’affermazione di questo genere. Ma le rivelazioni in serie su impiego fittizio della moglie, contratti di consulenza per società amiche sfruttando i rapporti con la Russia e infine conti pagati da strani faccendieri per abiti di lusso hanno reso la campagna elettorale di François Fillon una specie di “via crucis del XXI secolo”. Senza entrare nel merito delle inchieste in corso, il candidato LR è passato dalla vittoria certa di inizio dicembre, a quella probabile anche dopo l’avanzata del candidato Macron, a quella impossibile dopo l’esplodere degli affaires.

Il secondo grande vincitore è stato Jean-Luc Mélenchon con la sua France insoumise. Come mostrano i flussi elettorali egli è riuscito da un lato a raccogliere tutto il voto di tradizione comunista, ad unirvi un voto giovane e popolare di aree soprattutto periferiche e infine ha potuto contare su un numero non esiguo di delusi della campagna di Hamon. Si era molto parlato di Mélenchon come fenomeno mediatico e non pochi commentatori ritenevano che le previsioni di voto nel suo caso fossero artificiosamente gonfiate. Al contrario ha rischiato di qualificarsi per il ballottaggio, ma soprattutto ha segnato un punto non trascurabile nel processo di ristrutturazione del fronte della gauche francese che per forza di cose dovrà iniziare dal 7 maggio prossimo.

Il terzo vincitore è il leader di Debout la France Nicolas Dupont-Aignan che, con il suo 4.70%, è forse il maggiore responsabile della mancata presenza di Fillon al ballottaggio. Il deputato ex-gollista ed ex-membro dell’UMP ha infatti raccolto una parte determinante di voto di protesta di potenziali elettori LR, disgustati dagli affaires di Fillon ma non disposti a votare FN o ad astenersi. Per certi versi egli ha catalizzato la stessa critica all’Ue e lo stesso sostegno al sovranismo economico di Marine Le Pen, offrendone però una declinazione più presentabile.

Se passiamo ai perdenti, il primo posto spetta sicuramente a François Fillon. Quando tra alcuni decenni si scriverà la storia di questo voto presidenziale, bisognerà per forza di cose ripartire dall’occasione clamorosamente gettata al vento dall’ex Primo ministro. In realtà la medaglia d’oro del perdente Fillon deve condividerla con il suo partito, che probabilmente avrebbe dovuto trovare una soluzione rapida dopo le prime rivelazioni del Canard. Imporre a Fillon un passo indietro, dopo le trionfali primarie era complicato. Ma anche sostenere solo parzialmente, come è accaduto, un candidato per la massima carica della Repubblica non è stato il segnale di un buono stato di salute degli eredi del generale de Gaulle.

Secondo posto tra gli sconfitti spetta a Benoît Hamon. La sua campagna elettorale è stata inguardabile da tutti i punti di vista. Zero contenuti e pessima dimensione mediatica. Hamon è stato un candidato a dir poco trasparente. Anche in questo caso non bisogna dimenticare quanto fosse complicato il suo compito, dovendo far fronte sia al bilancio, non travolgente (per usare un eufemismo), del presidente uscente e contemporaneamente dovendo fare i conti con la fuga in massa dei vertici del suo stesso partito verso il porto sicuro rappresentato da Emmanuel Macron.

La terza sconfitta di questo primo turno è Marine Le Pen. Anche in questo caso l’affermazione può forse apparire provocatoria, dal momento che Le Pen si giocherà la presidenza al ballottaggio contro Macron. Due sono le ragioni principali che fanno propendere però per questo giudizio. Da un lato Marine Le Pen, da oltre un anno data per certa al ballottaggio, si è qualificata come seconda e ha rischiato di non entrarvi incalzata da un candidato dimezzato dagli affaires, come Fillon e da un tribuno popolare senza partito, come Mélenchon. In secondo luogo vi è arrivata, come seconda, dietro ad un Macron che, non dimentichiamolo, esiste “politicamente” da meno di tre anni e, soprattutto, raccogliendo poco più di un milione di voti rispetto a quelli ottenuti nel 2012. Insomma con i suoi 7,6 milioni di voti al primo turno Marine Le Pen resta una outsider di lusso, piuttosto che una presidenziabile. E se il 7 maggio la leder del FN dovesse, come i sondaggi annunciano, restare ancora al palo, allora si aprirebbero non pochi “processi” all’interno del “suo” Front.

E in tutto questo discorso dove collocare Emmanuel Macron? La sua è stata, volendo citare il presidente uscente, una performance “normale”. Nel senso che ha saputo giocare di rimessa, sfruttare gli errori degli avversari (da Fillon ad Hamon passando per Valls)  e veicolare il diffuso sentimento anti-partitico e anti-politico che si respira nel Paese, non soltanto negli ambienti che da tempo votano FN. È vero che è riuscito a fare tutto questo in circa un anno (En Marche! nasce nell’aprile 2016) ed è altrettanto vero che egli è riuscito a presentarsi come uomo nuovo rispetto ai cinque anni di hollandismo, pur essendo stato il suggeritore e poi l’esecutore della sua politica economica per quasi tutto il quinquennato. È però altresì corretto ricordare che gli otto milioni e mezzo circa di voti ottenuti sono un milione in meno di quelli raccolti da Ségolène Royal nel 2007 e quasi due milioni in meno di quelli ottenuti da Hollande cinque anni fa.

Ma soprattutto di fronte ad un’elezione presidenziale affrontata dall’elettorato francese senza grandi speranze, né grandi slanci, compito di Macron sarà quello di dare risposte originali da un lato alla crisi sistemica francese (e di conseguenza europea) e dall’altro alla ricomposizione politica che sembra delinearsi all’orizzonte. E per questo molto si deciderà tra la seconda settimana di maggio e la seconda metà di giugno. Cioè tra il suo ingresso (probabile) all’Eliseo e la nascita dell’esecutivo che aprirà concretamente il quinquennato, dopo le elezioni legislative dell’11-18 giugno. La strana “quadriglia elettorale” (e non, volutamente, bipolare come teorizzò Duverger) fotografa una Francia profondamente divisa lungo il clivage “apertura versus chiusura” e tutto ciò impone un’operazione di riforma e ricomposizione che dall’economico deve giungere sino al politico, senza trascurare il sociale.

Un compito da far tremare i polsi, qualunque sia il prossimo inquilino dell’Eliseo.