Ultimo Aggiornamento:
22 marzo 2025
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Prigionieri del tatticismo politico?

Paolo Pombeni - 26.03.2015

In un passaggio delicato della politica come è quello attuale sembra che si stia spegnendo la volontà di puntare decisamente ad una rifondazione del nostro sistema. Il riaccendersi del dibattito sulla corruzione evoca fantasmi del passato e le fibrillazioni che scuotono la maggior parte delle forze politiche di qualche peso non sono certo un segnale di speranza.

Al centro c’è ancora la “questione Renzi”, tema assai delicato perché sta riducendo lo scontro politico ad un gioco di tatticismi in cui si perdono, ammesso che prima ci fossero, le strategie per il nostro futuro.

Ciò che inquieta una buona parte della nostra classe politica in senso trasversale è la scarsa possibilità che l’attuale presidente del consiglio e segretario del PD possa essere effettivamente ridimensionato. La ragione è banale: da un lato manca la possibilità di spingerlo allo scontro elettorale aperto per verificare se davvero ha nel paese quel consenso di cui si vanta; dal lato opposto manca una alternativa credibile con cui sostituirlo semplicemente con un passaggio parlamentare.

Il fatto è che Renzi non è solo contemporaneamente segretario del partito e presidente del consiglio, ma la sua segreteria non è “scalabile” dall’interno, e come vertice dell’esecutivo è a capo di un quasi-monocolore con maggioranza semi-garantita.

La novità della situazione sta nel combinarsi di questi aspetti. La minoranza PD, anche ammesso che non fosse quel puzzle di anime e di personalismi che è, può delegittimare il segretario (lo sta facendo con danni da non sottovalutare), ma non ha la forza di scalzarlo. leggi tutto

I conti con l’imprevisto

Paolo Pombeni - 21.03.2015

Matteo Renzi deve adesso fare i conti con l’imprevisto, cioè con la bufera mediatica che si è scatenata attorno al caso Lupi. Le dimissioni del ministro, che probabilmente si pensa da più parti siano risolutive per mettere la polvere sotto il tappeto, dubitiamo possano servire allo scopo.

Prima di tutto perché siamo ormai in piena fase pre-elettorale e fra poco meno di due mesi e mezzo si vota. In sé il tempo potrebbe essere sufficiente per smorzare l’interesse dei media verso l’ennesima storia che sembra intrecci corruzione e ingenuità, la prima, a stare a quel che si sa, da parte della alta burocrazia, la seconda, sempre per quel che si sa per adesso, da parte del ministro: il tutto con il contorno di un mondo di affaristi che prosperano grazie al combinarsi dei due fattori.

Anche a prescindere dal merito stretto della vicenda, non c’è da dubitare che le opposizioni, cioè tanto la Lega da un versante, quanto i grillini e Sel dall’altro, non lasceranno cadere un’arma così utile per una campagna populistica. In fondo ci sono tutti gli ingredienti che piacciono ad un certo genere di opinione pubblica: più che la grande corruzione, la vanità delle persone, che non resistono a farsi regalare orologi di pregio, vestiti e vacanze. leggi tutto

Lo scoglio imprevisto

Paolo Pombeni - 19.03.2015

Proprio quando i dati economici sembravano segnare un punto a favore della politica del premier Renzi (soprattutto la percezione di una rimessa in moto dell’occupazione certificata dalle richieste all’INPS di accesso ai benefici del Jobs Act) sul sentiero del governo è arrivato lo scoglio imprevisto del nuovo caso di corruzione in cui è coinvolto, sia pure non sul piano penale (almeno fino ad ora) il ministro Lupi.

Non si tratta di un caso paragonabile, come è stato fatto, a quello di due ex membri del governo, Cancellieri ed Idem. Non è questione infatti che possa semplicemente essere ricondotta alla valutazione sulla opportunità di una condotta, perché nel caso del ministro Lupi ci sono in gioco due fattori che trascendono il caso personale: la tenuta del partito del NCD e la tenuta del governo Renzi. Cancellieri ed Idem non ponevano problemi di quel tipo.

Certamente da un punto di vista generale qualche perplessità sul comportamento del ministro non può non sorgere. L’accettazione di regali (l’orologio da diecimila euro al figlio, i vestiti di sartoria a lui e al suo entourage) da parte di funzionari  e persone che occupavano posizioni delicate e sotto il suo controllo è quantomeno un modo di agire disinvolto, soprattutto dopo che da anni ci sono disposizioni che vietano l’accettazione di regali che superino il valore di un centinaio di euro o giù di lì. leggi tutto

L’eterna questione della forma-partito

Paolo Pombeni - 17.03.2015

“Abbasso il partito, viva la Lega!”  Chissà se Landini conosce questo slogan con cui Moisei Ostrogorski giusto agli inizi del Novecento invitava a superare le “macchine politiche” al servizio solo, secondo lui, della manipolazione elettorale a favore invece di formazioni per obiettivi, più sciolte e non vincolate ad inventarsi una ideologia.

La domanda è una piccola provocazione per prendere sul serio la sfida che il leader della Fiom lancia con il suo “movimento” contro i partiti. Personalmente crediamo che effettivamente non abbia in mente, almeno per ora, di fondare un suo partito: sa bene che quella è una impresa difficile nelle attuali contingenze e che poi suppone una capacità di gestione tutt’altro che facile da inventare. Altrettanto poco gli conviene accettare di fare il “papa straniero” di una coalizione di forze elettoralmente in difficoltà nell’illusione che basti mettere alla loro testa una personalità forte per rimediare al problema. Forse la lezione di come è finita un’operazione di questo tipo con Romano Prodi a qualcosa è servita.

Allora che cosa vuol fare Landini? La domanda è appropriata e ci permettiamo di suggerire un parallelo che a prima vista può apparire sconcertante: vuol fare quello che i “Comitati Civici” cercarono di fare con la DC fra il 1948 e i primi anni Sessanta del secolo scorso.  Allora, puntando sulla forza e sul radicamento sociale dell’Azione Cattolica, Luigi Gedda mise in piedi una potente macchina propagandistico-elettorale che voleva contemporaneamente aiutare la DC a vincere le elezioni e condizionarla nella formazione delle sue liste e nella determinazione della sua linea politica. leggi tutto

Il test delle elezioni amministrative

Paolo Pombeni - 14.03.2015

Senza farsi abbagliare dagli opposti estremismi a commento della sentenza della Cassazione su Berlusconi, conviene spendere qualche riflessione sulla tornata delle prossime elezioni amministrative. Scriviamo amministrative e non semplicemente regionali, perché c’è anche qualche elezione a livello di comuni e anche di questo andrebbe tenuto conto.

Certo il focus principale è sulla prova delle regionali perché avranno più visibilità e serviranno di più a misurare il livello che ha raggiunto il cambiamento di quadro politico che è indubbiamente in corso a livello nazionale.

La prima osservazione da fare è che, a differenza di quanto avvenuto in altre occasioni di cambiamento degli equilibri politici del nostro sistema, in questo caso il cambiamento a livello nazionale ha preceduto quello a livello periferico. Ai tempi del centrosinistra e poi a quelli della cosiddetta emergenza dell’arco costituzionale (cioè in pratica la legittimazione del PCI come forza di governo) i cambiamenti erano stati registrati prima nelle elezioni amministrative e poi in quelle nazionali.

Oggi ci si chiede se il cambiamento che si è registrato nella distribuzione dei pesi politici a livello parlamentare (ancor più che a livello elettorale, perché le ultime elezioni non rispecchiano quanto avvenuto dopo) sia radicato o meno a livello territoriale. Da questo punto di vista infatti il passaggio elettorale delle europee, per il sistema di voto assolutamente peculiare che le governa e per la loro scarsa rilevanza sul piano del sentimento “politico” dei cittadini, non è particolarmente significativo. leggi tutto

Rai e scuola: c'è un nesso?

Paolo Pombeni - 12.03.2015

Il consiglio dei ministri discute insieme di riforma della scuola e di riforma della Rai. Si tratta dell’ordinario affiancamento di temi diversi, come è normale in questo organo che si occupa di tante questioni diverse, o in questo caso sarebbe da indagare l’esistenza di un qualche nesso fra le due problematiche?

Come si sarà intuito, siamo convinti che un legame ci sia, anche se dubitiamo che se ne sia veramente consapevoli e che se ne discuterà appropriatamente, perché sia la scuola che la Rai in quanto servizio pubblico sono, o dovrebbero essere, due formidabili canali di formazione della cultura diffusa di un paese.

L’affermazione urterà inevitabilmente quelli che pensano che sia una eresia affermare l’esistenza di un dovere pubblico nella formazione di un substrato culturale condiviso. Guai poi a parlare della responsabilità delle istituzioni nel garantire questo servizio. Viviamo in un’epoca in cui si è imposta l’idea che la difesa contro l’egemonia di un pensiero unico, che è tipico dei regimi dittatoriali, consista nel lasciare spazio libero al caos delle interpretazioni individuali, tutte egualmente giuste, egualmente degne di avere il loro spazio di affermazione, e via dicendo.

Ovviamente tutti sappiamo che in realtà la convivenza suppone l’accettazione di un certo quadro di regole comuni, di veicoli comunicativi accettati da tutti senza i quali è difficile capirsi e di conseguenza organizzare una vita pubblica degna di questo nome. leggi tutto

Più che il passo cambia il contesto

Paolo Pombeni - 10.03.2015

Si è molto ironizzato sullo slogan del “cambio di passo” con cui Renzi ha voluto connotare la strategia del suo governo. Oggi a cambiare più che il passo dell’esecutivo sembra sia il contesto politico in cui si muove.

Per capire quanto sta avvenendo è opportuno tenere presenti due cose. La prima è un dato contingente, le prossime elezioni regionali. La seconda è un dato che sembrerebbe più strutturale, il mutamento complessivo del quadro politico.

Naturalmente i due aspetti sono intrecciati tra loro, perché il primo è preso come una verifica dello stadio del secondo, ma così è solo in maniera parziale, perché i fenomeni di cambiamento sono lenti, per quanto possano procedere per sussulti: ricordiamoci quanto è durata l’agonia della prima repubblica.

Le prossime elezioni regionali assumono sempre più un carattere di verifica della evoluzione degli attuali equilibri politici fra i partiti. Il PD ha due appuntamenti difficili, uno in Campania e uno in Liguria. I casi sono molto diversi, ma in entrambi c’è in gioco la strategia sul territorio del ristretto gruppo che tiene la segreteria del partito: nel primo si è già dovuto cedere agli assetti di potere locali, nel secondo si dovranno verificare le capacità della sinistra del partito e dei suoi alleati esterni di mettere in crisi scelte del renzismo ruspante. leggi tutto

Un sistema politico in evoluzione?

Paolo Pombeni - 03.03.2015

Gli studiosi di storia politica conoscono bene il fenomeno, ma per i testimoni contemporanei è difficile accettarlo: le evoluzioni nei sistemi politici sono lente e contraddittorie, ma soprattutto non lasciano immutati nessuno degli attori in campo.

Per analizzare quello che sta succedendo nel nostro paese bisognerebbe tenere presente questa banale verità. Stiamo infatti assistendo ad un riposizionamento complessivo degli attori politici, ad un ridimensionamento delle faglie di divisione ideologica, all’irrompere nel nostro scenario interno dei traumi di una transizione storica che ha dimensioni globali. Tutto questo dovrebbe far propendere per esaminare con cautela i cambiamenti che stanno avvenendo, ma anche per evitare di sopravvalutare le reazioni di assestamento che questi provocano.

Tutti registrano il mutamento del panorama politico, che si sta lasciando alle spalle non solo la geografia della prima repubblica con la sua tripartizione in cattolici, comunisti e laici, ma anche quella della seconda che l’aveva ridotta ad una bipartizione ancor più rozza fra berlusconiani ed antiberlusconiani. Non dovrebbe stupire che questo abbia comportato una bella confusione nell’uso delle tradizionali categorie “geografiche” della collocazione dei gruppi politici lungo l’arco destra, centro, sinistra.  Essendo queste appunto collocazioni spaziali si possono riciclare all’infinito, ma per valutarle come significative occorrerebbe un punto di vista condiviso da cui osservarle, cosa attualmente del tutto assente. leggi tutto

Il sindacato è politico?

Paolo Pombeni - 26.02.2015

C’è una cosa su cui Landini ha incontestabilmente ragione: il sindacato è inevitabilmente un attore politico. Quel che si può e si deve discutere è di quale genere di attore politico si tratti.

Nel nostro paese la querelle ha una storia lunga. La famosa rottura dell’unità sindacale nel 1948 si consumò proprio, almeno ufficialmente, sulla questione se il sindacato dovesse o meno inserirsi attivamente nelle lotte politico-partitiche in senso stretto. L’anima comunista della CGIL, che era un pezzo strutturale del PCI, sosteneva ovviamente di sì. Coloro che diedero poi vita alla CISL, cioè la componente che veniva dal sindacalismo sociale cattolico, aveva una visione diversa e si ispirava, al netto di un po’ di retorica vetero-solidaristica, all’esempio del sindacalismo anglosassone (in specie statunitense), quello che vedeva nel sindacato la controparte all’organizzazione economico-industriale della produzione di ricchezza.

In realtà per tanti aspetti per lunghi anni i due spezzoni marciarono divisi e colpirono uniti, per usare un vecchio slogan. Era difficile fare politica a tutela del lavoro senza operare scelte di intervento nella politica economica, e questo cercarono di fare tanto i leader migliori della CGIL (Di Vittorio, Lama, Trentin, tanto per citare) quanto quelli della CISL (da Pastore a Carniti, anche qui tanto per citare). leggi tutto

Se dodici mesi vi sembran pochi …

Paolo Pombeni - 21.02.2015

Il governo Renzi ha compiuto un anno di vita e fioccano, come è inevitabile, i bilanci. Ci sembra si dividano lungo due linee: quelli che osservano che si è promesso molto, ma realizzato poco e quelli che invece sottolineano come comunque sia totalmente cambiato il panorama politico.

I secondi hanno un compito più facile nel sostenere le proprie ragioni, perché solo un cieco, per natura o per preclusione ideologica, potrebbe negare che il panorama che abbiamo di fronte sia completamente diverso. Non è ovviamente solo questione di “rottamazioni”, che pure ci sono state, ma più in profondità della trasformazione dei soggetti della nostra politica.

Possiamo cominciare dal PD. Oggi non è più quel partito a conduzione ex-PCI con qualche cooptazione da altre forze confluite come, nonostante la buona volontà di Veltroni, era stato sino all’era Bersani. Il ricambio generazionale ha significato la perdita di quella tradizione (anche con ciò che di positivo conteneva), pur se è difficile oggi dire se essa sia stata sostituita da una nuova “fisionomia politica”. Il PD attuale è un sistema di correnti con una personalizzazione spinta della leadership: in questo somiglia alla vecchia DC, che però non è mai riuscita ad avere un solo leader (neppure ai tempi di De Gasperi, perché Dossetti gli disputò il posto con una sua credibilità). La differenza col vecchio partito egemone è che quello, almeno nella sua età d’oro, aveva correnti con radici nei territori e, in genere, con qualche capacità di elaborazione di visioni politiche (senza esagerare su questo punto). leggi tutto