L’eterna questione della forma-partito
“Abbasso il partito, viva la Lega!” Chissà se Landini conosce questo slogan con cui Moisei Ostrogorski giusto agli inizi del Novecento invitava a superare le “macchine politiche” al servizio solo, secondo lui, della manipolazione elettorale a favore invece di formazioni per obiettivi, più sciolte e non vincolate ad inventarsi una ideologia.
La domanda è una piccola provocazione per prendere sul serio la sfida che il leader della Fiom lancia con il suo “movimento” contro i partiti. Personalmente crediamo che effettivamente non abbia in mente, almeno per ora, di fondare un suo partito: sa bene che quella è una impresa difficile nelle attuali contingenze e che poi suppone una capacità di gestione tutt’altro che facile da inventare. Altrettanto poco gli conviene accettare di fare il “papa straniero” di una coalizione di forze elettoralmente in difficoltà nell’illusione che basti mettere alla loro testa una personalità forte per rimediare al problema. Forse la lezione di come è finita un’operazione di questo tipo con Romano Prodi a qualcosa è servita.
Allora che cosa vuol fare Landini? La domanda è appropriata e ci permettiamo di suggerire un parallelo che a prima vista può apparire sconcertante: vuol fare quello che i “Comitati Civici” cercarono di fare con la DC fra il 1948 e i primi anni Sessanta del secolo scorso. Allora, puntando sulla forza e sul radicamento sociale dell’Azione Cattolica, Luigi Gedda mise in piedi una potente macchina propagandistico-elettorale che voleva contemporaneamente aiutare la DC a vincere le elezioni e condizionarla nella formazione delle sue liste e nella determinazione della sua linea politica. leggi tutto
Il test delle elezioni amministrative
Senza farsi abbagliare dagli opposti estremismi a commento della sentenza della Cassazione su Berlusconi, conviene spendere qualche riflessione sulla tornata delle prossime elezioni amministrative. Scriviamo amministrative e non semplicemente regionali, perché c’è anche qualche elezione a livello di comuni e anche di questo andrebbe tenuto conto.
Certo il focus principale è sulla prova delle regionali perché avranno più visibilità e serviranno di più a misurare il livello che ha raggiunto il cambiamento di quadro politico che è indubbiamente in corso a livello nazionale.
La prima osservazione da fare è che, a differenza di quanto avvenuto in altre occasioni di cambiamento degli equilibri politici del nostro sistema, in questo caso il cambiamento a livello nazionale ha preceduto quello a livello periferico. Ai tempi del centrosinistra e poi a quelli della cosiddetta emergenza dell’arco costituzionale (cioè in pratica la legittimazione del PCI come forza di governo) i cambiamenti erano stati registrati prima nelle elezioni amministrative e poi in quelle nazionali.
Oggi ci si chiede se il cambiamento che si è registrato nella distribuzione dei pesi politici a livello parlamentare (ancor più che a livello elettorale, perché le ultime elezioni non rispecchiano quanto avvenuto dopo) sia radicato o meno a livello territoriale. Da questo punto di vista infatti il passaggio elettorale delle europee, per il sistema di voto assolutamente peculiare che le governa e per la loro scarsa rilevanza sul piano del sentimento “politico” dei cittadini, non è particolarmente significativo. leggi tutto
Rai e scuola: c'è un nesso?
Il consiglio dei ministri discute insieme di riforma della scuola e di riforma della Rai. Si tratta dell’ordinario affiancamento di temi diversi, come è normale in questo organo che si occupa di tante questioni diverse, o in questo caso sarebbe da indagare l’esistenza di un qualche nesso fra le due problematiche?
Come si sarà intuito, siamo convinti che un legame ci sia, anche se dubitiamo che se ne sia veramente consapevoli e che se ne discuterà appropriatamente, perché sia la scuola che la Rai in quanto servizio pubblico sono, o dovrebbero essere, due formidabili canali di formazione della cultura diffusa di un paese.
L’affermazione urterà inevitabilmente quelli che pensano che sia una eresia affermare l’esistenza di un dovere pubblico nella formazione di un substrato culturale condiviso. Guai poi a parlare della responsabilità delle istituzioni nel garantire questo servizio. Viviamo in un’epoca in cui si è imposta l’idea che la difesa contro l’egemonia di un pensiero unico, che è tipico dei regimi dittatoriali, consista nel lasciare spazio libero al caos delle interpretazioni individuali, tutte egualmente giuste, egualmente degne di avere il loro spazio di affermazione, e via dicendo.
Ovviamente tutti sappiamo che in realtà la convivenza suppone l’accettazione di un certo quadro di regole comuni, di veicoli comunicativi accettati da tutti senza i quali è difficile capirsi e di conseguenza organizzare una vita pubblica degna di questo nome. leggi tutto
Più che il passo cambia il contesto
Si è molto ironizzato sullo slogan del “cambio di passo” con cui Renzi ha voluto connotare la strategia del suo governo. Oggi a cambiare più che il passo dell’esecutivo sembra sia il contesto politico in cui si muove.
Per capire quanto sta avvenendo è opportuno tenere presenti due cose. La prima è un dato contingente, le prossime elezioni regionali. La seconda è un dato che sembrerebbe più strutturale, il mutamento complessivo del quadro politico.
Naturalmente i due aspetti sono intrecciati tra loro, perché il primo è preso come una verifica dello stadio del secondo, ma così è solo in maniera parziale, perché i fenomeni di cambiamento sono lenti, per quanto possano procedere per sussulti: ricordiamoci quanto è durata l’agonia della prima repubblica.
Le prossime elezioni regionali assumono sempre più un carattere di verifica della evoluzione degli attuali equilibri politici fra i partiti. Il PD ha due appuntamenti difficili, uno in Campania e uno in Liguria. I casi sono molto diversi, ma in entrambi c’è in gioco la strategia sul territorio del ristretto gruppo che tiene la segreteria del partito: nel primo si è già dovuto cedere agli assetti di potere locali, nel secondo si dovranno verificare le capacità della sinistra del partito e dei suoi alleati esterni di mettere in crisi scelte del renzismo ruspante. leggi tutto
Un sistema politico in evoluzione?
Gli studiosi di storia politica conoscono bene il fenomeno, ma per i testimoni contemporanei è difficile accettarlo: le evoluzioni nei sistemi politici sono lente e contraddittorie, ma soprattutto non lasciano immutati nessuno degli attori in campo.
Per analizzare quello che sta succedendo nel nostro paese bisognerebbe tenere presente questa banale verità. Stiamo infatti assistendo ad un riposizionamento complessivo degli attori politici, ad un ridimensionamento delle faglie di divisione ideologica, all’irrompere nel nostro scenario interno dei traumi di una transizione storica che ha dimensioni globali. Tutto questo dovrebbe far propendere per esaminare con cautela i cambiamenti che stanno avvenendo, ma anche per evitare di sopravvalutare le reazioni di assestamento che questi provocano.
Tutti registrano il mutamento del panorama politico, che si sta lasciando alle spalle non solo la geografia della prima repubblica con la sua tripartizione in cattolici, comunisti e laici, ma anche quella della seconda che l’aveva ridotta ad una bipartizione ancor più rozza fra berlusconiani ed antiberlusconiani. Non dovrebbe stupire che questo abbia comportato una bella confusione nell’uso delle tradizionali categorie “geografiche” della collocazione dei gruppi politici lungo l’arco destra, centro, sinistra. Essendo queste appunto collocazioni spaziali si possono riciclare all’infinito, ma per valutarle come significative occorrerebbe un punto di vista condiviso da cui osservarle, cosa attualmente del tutto assente. leggi tutto
Il sindacato è politico?
C’è una cosa su cui Landini ha incontestabilmente ragione: il sindacato è inevitabilmente un attore politico. Quel che si può e si deve discutere è di quale genere di attore politico si tratti.
Nel nostro paese la querelle ha una storia lunga. La famosa rottura dell’unità sindacale nel 1948 si consumò proprio, almeno ufficialmente, sulla questione se il sindacato dovesse o meno inserirsi attivamente nelle lotte politico-partitiche in senso stretto. L’anima comunista della CGIL, che era un pezzo strutturale del PCI, sosteneva ovviamente di sì. Coloro che diedero poi vita alla CISL, cioè la componente che veniva dal sindacalismo sociale cattolico, aveva una visione diversa e si ispirava, al netto di un po’ di retorica vetero-solidaristica, all’esempio del sindacalismo anglosassone (in specie statunitense), quello che vedeva nel sindacato la controparte all’organizzazione economico-industriale della produzione di ricchezza.
In realtà per tanti aspetti per lunghi anni i due spezzoni marciarono divisi e colpirono uniti, per usare un vecchio slogan. Era difficile fare politica a tutela del lavoro senza operare scelte di intervento nella politica economica, e questo cercarono di fare tanto i leader migliori della CGIL (Di Vittorio, Lama, Trentin, tanto per citare) quanto quelli della CISL (da Pastore a Carniti, anche qui tanto per citare). leggi tutto
Se dodici mesi vi sembran pochi …
Il governo Renzi ha compiuto un anno di vita e fioccano, come è inevitabile, i bilanci. Ci sembra si dividano lungo due linee: quelli che osservano che si è promesso molto, ma realizzato poco e quelli che invece sottolineano come comunque sia totalmente cambiato il panorama politico.
I secondi hanno un compito più facile nel sostenere le proprie ragioni, perché solo un cieco, per natura o per preclusione ideologica, potrebbe negare che il panorama che abbiamo di fronte sia completamente diverso. Non è ovviamente solo questione di “rottamazioni”, che pure ci sono state, ma più in profondità della trasformazione dei soggetti della nostra politica.
Possiamo cominciare dal PD. Oggi non è più quel partito a conduzione ex-PCI con qualche cooptazione da altre forze confluite come, nonostante la buona volontà di Veltroni, era stato sino all’era Bersani. Il ricambio generazionale ha significato la perdita di quella tradizione (anche con ciò che di positivo conteneva), pur se è difficile oggi dire se essa sia stata sostituita da una nuova “fisionomia politica”. Il PD attuale è un sistema di correnti con una personalizzazione spinta della leadership: in questo somiglia alla vecchia DC, che però non è mai riuscita ad avere un solo leader (neppure ai tempi di De Gasperi, perché Dossetti gli disputò il posto con una sua credibilità). La differenza col vecchio partito egemone è che quello, almeno nella sua età d’oro, aveva correnti con radici nei territori e, in genere, con qualche capacità di elaborazione di visioni politiche (senza esagerare su questo punto). leggi tutto
Una politica ancora sospesa nel vuoto
Ci si interroga se le due crisi che si sono affacciate con prepotenza sulla scena politica, quella libica e quella greca, siano o meno in grado di imprimere una svolta all’impasse in cui sembrava essere precipitata la nostra politica dopo le baruffe della scorsa settimana alla Camera. Si tratta ovviamente di due fenomeni molto diversi fra loro, a cui forse sarebbe da aggiungere la crisi ucraina, non fosse che da quest’ultima l’Italia sembra più lontana.
Entrambe le crisi hanno un certo impatto sull’opinione pubblica. Gli avvenimenti in Libia preoccupano come è ovvio sia per il concretizzarsi di una minaccia jihadista alle porte di casa nostra, sia per la possibilità che quanto sta accadendo accentui la pressione delle ondate migratorie sulle nostre coste. Non è dunque solo per comprensibili motivi geostrategici e per reminiscenze storiche che il nostro governo non può rinunciare ad avere un ruolo importante in questo contesto.
I partiti sembrano avere colto la situazione e difatti, pur con accenti e retoriche diverse, tutti stanno attenti a non apparire come coloro che boicottano l’unità nazionale di fronte ad un pericolo largamente percepito. Naturalmente non possiamo sottovalutare il peso e l’impatto dei vari “distinguo” che vengono proposti: nessuno vuole che Renzi tragga giovamento da questa emergenza e dunque spesso si mettono in campo ragionamenti che non sono fondati. Nonostante questo la necessità di gestire la crisi creatasi con gli ultimi avvenimenti in Libia ha ridato forza e centralità al governo ed ha messo in difficoltà i suoi avversari. leggi tutto
Cambia la situazione?
Sino a due giorni fa sembrava che la situazione politica italiana si andasse incancrenendo su uno scontro frontale fra PD e FI innescato dalle impuntature di un Berlusconi in cerca di affermazioni. Ovviamente in questo scontro si erano subito buttati tutti quelli che ambivano a far saltare la leadership renziana: la Lega, il M5S, i dissidenti PD e via dicendo. Come talora accade in politica, un evento inaspettato, almeno in queste proporzioni, ha al momento cambiato il quadro di riferimento.
Ci riferiamo ovviamente a quanto sta avvenendo in Libia. La minaccia di avere sulla famosa “quarta sponda” (un nome preso dalla storia coloniale italiana che alla maggior parte della gente non dice nulla, perché non lo studiano neppure più a scuola) una forza organizzata legata al cosiddetto califfato islamico è un dato preoccupante. Chiama in causa il ruolo dell’Italia ed ha una forte presa sull’opinione pubblica scossa da quanto avvenuto a Parigi e a Copenhagen.
Un mondo politico che sembrava tutto intento ad azzuffarsi in parlamento ha nella sua maggioranza capito che era suicida rompere la solidarietà nazionale su un tema che tocca facilmente le corde sensibili dell’opinione pubblica. Il più veloce a capire il cambio di clima è stato Berlusconi, che ha intuito che si presentava l’occasione per uscire dal vicolo cieco in cui era andato a cacciarsi. leggi tutto
Una nuova fase per la politica italiana?
Vale la pena di interrogarsi se effettivamente quanto è successo con l’annuncio della rottura del patto del Nazareno da parte di Berlusconi apra una nuova fase nella politica italiana. Fare l’oroscopo al futuro della nostra politica è un esercizio da chiromanti, e dunque tutto va trattato con cautela. Tuttavia se non succederanno eventi non prevedibili è possibile azzardare qualche linea di interpretazione.
Al momento tutto ruota attorno all’evidente crisi della leadership di Berlusconi. Come si è già avuto modo di notare, l’ex cavaliere non aveva motivo di considerare la designazione di Mattarella al Quirinale come un atto ostile verso il centrodestra, perché il personaggio rispondeva sostanzialmente ai “paletti” che aveva fissato: non un leader della sinistra, un politico ma non schierato. Ciò che Berlusconi ha considerato inaccettabile per lui è che non gli sia stato consentito di negoziare il nome e di apparire di conseguenza come un riferimento “imprescindibile” nella gestione del quadro politico.
C’è da comprendere questa posizione. Effettivamente la sua leadership è apparsa sempre più acciaccata, da tempo non è in grado di proporre un qualunque disegno per il futuro del paese (tale non può essere considerata qualche richiesta di salvaguardia del suo residuo potere), il suo partito è in fibrillazione perenne vittima dei vari intrighi fra i suoi pretoriani, i sondaggi gli mettono davanti prospettive assai poco favorevoli. Quel che si capisce meno è come pensi di risalire la china affidandosi ad un abbraccio stentato con il leader della Lega Matteo Salvini. leggi tutto