Ultimo Aggiornamento:
22 marzo 2025
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La battaglia del Quirinale: obiettivo Renzi

Paolo Pombeni - 06.01.2015

Seguendo quanto sta accadendo nelle ultime settimane abbiamo l’impressione che l’obiettivo della battaglia per il Quirinale non sia quello di eleggere un degno successore di Giorgio Napolitano, ma sia piuttosto quello di azzoppare Renzi. E di farlo in maniera tale da rendere difficile il mantenimento da parte sua della centralità politica.

Sgomberiamo subito il campo da una obiezione: ma se si vuol azzoppare Renzi ci sono tanti altri modi per farlo, considerando i non pochi provvedimenti chiave che sono sul tappeto (riforma elettorale, del senato, della pubblica amministrazione, ecc.). Il particolare in questo caso è che battere il disegno di Renzi su uno di questi terreni significa andare alla crisi di governo. Un esito che, se si eccettuano alcuni estremisti, si sa di non potersi permettere: innanzitutto perché non si saprebbe come sostituirlo e si correrebbe il serio rischio di elezioni anticipate; in secondo luogo perché, con l’aria che tira (tanto per dire una cosa sola: le elezioni di fine gennaio in Grecia), ci sarebbe la quasi certezza di una impennata della crisi economica, cosa che il paese farebbe pagare caro a chi l’ha provocata. leggi tutto

Le spine di Renzi

Paolo Pombeni - 23.12.2014

Non è un finale d’anno tranquillo, né tale sarà l’inizio dell’anno nuovo per il premier Renzi. La tela che ha tessuto con sufficiente pazienza e con una certa abilità si sta sfibrando. Il numero dei suoi avversari è molto alto ed egli non sembra riuscire a coagulare ampi consensi attorno a sé: intendiamo condivisioni un minimo convinte del suo disegno, non semplici posizionamenti in vista degli schieramenti per le lotte politiche.

La gestione della vicenda della legge di stabilità non è stata un capolavoro di strategia politica. Certamente la maggior parte delle colpe ricade su una classe politica famelica, che si mette al servizio di una miriade di piccole cause marginali, non tutte necessariamente riprovevoli (molte invero, sì), ma tutte poco degne di appesantire la situazione di una finanza pubblica già allo stremo. Il risultato, con il pasticciato intervento finale del governo, è la solita legge alla moda del vestito di Arlecchino, che promette e taglia, interviene, ma lascia anche correre. I lamenti di tutte le lobby piccole e grandi sono un rito scontato, ma questa volta la cacofonia offende le orecchie del pubblico e soprattutto ci mette in difficoltà coi nostri partner internazionali. leggi tutto

L’incognita Quirinale e gli equilibri della politica

Paolo Pombeni - 18.12.2014

Il presidente Napolitano è intervenuto per ben due volte, il 10 dicembre ai Lincei e il 16 dicembre nel discorso alle Alte Cariche dello Stato, sul tema della crisi del nostro sistema politico. Non è il tema ad essere una novità, perché in passato era intervenuto più volte su questi fenomeni, ma la nettezza con cui lo ha affrontato. In entrambe le occasioni infatti ha denunciato con forza l’esistenza di componenti, neppure troppo marginali, della classe politica che antepongono i vantaggi modesti dell’adeguarsi alle mode di attacco alle istituzioni (e di prendersi il gusto della trama per la trama) a quello che dovrebbe essere il farsi carico responsabile della difficile situazione del paese.

Non si può dire che le parole di Napolitano abbiano veramente scosso, non diremo la classe politica, ma neppure il mondo dei media. Ovviamente di entrambi i discorsi è stata data notizia con qualche rilievo, ma che essi siano riusciti a far aprire una riflessione sul tema delle responsabilità collettive non si può proprio dire.

Eppure è esattamente questo il tema che dovrebbe essere posto al centro della riflessione. Che cosa ci vuole di più della crisi economica attuale, della nostra posizione non brillante nel quadro delle relazioni internazionali (vedi come ci trattano in India), delle nostre difficoltà a riformare aspetti importanti della nostra vita pubblica, per convincerci che una qualche forma di gestione condivisa dell’emergenza nazionale è ormai necessaria? leggi tutto

Inutili sceneggiate politiche in un momento assai delicato

Paolo Pombeni - 16.12.2014

Non per fare i pierini a tutti i costi ma è davvero umiliante per la qualità della nostra vita pubblica assistere ad una politica sempre più ridotta a sceneggiate a pro del palcoscenico mediatico.

Quando si parla in privato con economisti o uomini che si occupano seriamente di economia si raccolgono solo preoccupazioni profonde. Chi studia la fenomenologia del nostro sistema burocratico, o di quello della giustizia, o la tenuta del nostro sistema sociale non nasconde previsioni pessimistiche. Ci sarebbe da supporre che anche i membri della classe politica qualche volta smettano di discutere fra loro su come farsi fuori reciprocamente e prestino un orecchio, anche solo distratto, a queste analisi. Purtroppo a vedere come si comportano c’è da dubitarne.

Sarebbe veramente degna di miglior causa l’acribia con cui alcuni sindacati da un lato e un po’ di politici del PD in cerca di visibilità dall’altro lavorano a minare l’attuale governo. Non perché si debba arrivare a quello spauracchio ventilato in continuazione del “pensiero unico”: come qualsiasi politica anche quella di Renzi e dei suoi ministri può, anzi deve, essere sottoposta ad esame critico e va benissimo sviscerarne i pro e i contro. Ciò che non serve è scambiare per un’operazione di questo genere lo scomposto agitare fantasmi e frasi ad effetto. leggi tutto

Evitiamo una Tangentopoli due

Paolo Pombeni - 11.12.2014

Lo scandalo denominato “mafia capitale” ha tutti i requisiti per tenere avvinta la pubblica opinione e per scatenare riflessi quasi meccanici che rischiano di farci piombare in una cattiva riedizione di quanto abbiamo già visto con Tangentopoli. E sarebbe un disastro.

Certo le differenze fra le due fattispecie sono molte e profonde. La vecchia tangentopoli era un fenomeno corruttivo per così dire istituzionalizzato: in origine serviva a finanziare i partiti tramite “creste” che venivano fatte sui lavori pubblici. Le ditte che vincevano gli appalti erano, per così dire, degli incaricati di eseguire “partite di giro” a beneficio del loro partito di riferimento. Naturalmente per questo trattenevano una percentuale per il servizio reso, ma era quasi come succede nei servizi bancari. Poi, inevitabilmente, cominciò a spuntare qualche “mariuolo” (secondo la famosa definizione di Craxi) che ci lucrava sopra anche per sé stesso, ma era una degenerazione del sistema originario, anche se fu quella che veramente ne determinò il crollo.

Intendiamoci: non stiamo difendendo o assolvendo in maniera postuma un meccanismo che aveva portato ad una corsa alla tangente al servizio della politica divenuta presto insostenibile perché il panorama era molto frammentato e bisognava dare qualcosa a tutti. Il sistema era perverso e l’incapacità di contrastarlo è costata carissima al nostro paese. leggi tutto

Roma: Lezioni amare, ma da imparare

Paolo Pombeni - 09.12.2014

Quel che sta avvenendo con la vicenda della cosiddetta mafia di Roma deve essere qualcosa da cui trarre delle lezioni, più che una scontata occasione in cui tutti si stracciano le vesti e rovesciano le colpe sul solito “diavolo” onnipresente.

Il danno d’immagine, per non dire di più, che questi fatti stanno infliggendo all’Italia in un momento molto complicato è grandissimo. Renzi ha ragione a lamentarsi che questo ha messo fra parentesi le riforme fatte. Certamente la Merkel anche in presenza di queste notizie che rimbalzano sulla stampa internazionale interviene per rassicurare il suo elettorato conservatore che l’Italia non può eludere la sua condizione di sorvegliato speciale. Altrettanto certamente gli investitori stranieri non saranno invogliati a creare da noi posti di lavoro con una corruzione gangsterica di quel livello.

Detto questo, ci sono però altri punti sui quali vorremmo attirare l’attenzione, perché se gli scandali non servono per imparare qualcosa c’è davvero da preoccuparsi.

 Quanto accaduto rafforza la convinzione che la magistratura e i carabinieri possano essere l’unica salvezza contro la corruzione (già il fatto che agenti della polizia informassero i criminali è una aggravante). Ciò dilata il potere di questo corpo/corporazione e in un sistema di distribuzione bilanciata dei pesi istituzionali non è un bene. Non si tratta di mancare di gratitudine a chi ha meritoriamente sollevato il coperchio su una fogna, ma si tratta di ricordare che il problema è ampio e merita attenzione. leggi tutto

Un groviglio da sbrogliare

Paolo Pombeni - 04.12.2014

La nostra situazione politica si va ingarbugliando e ciò comincia a diventare pericoloso. Il problema non è dato solo dal sovrapporsi e intrecciarsi di scelte complicate che stimolano gli “animal spirits” della classe politica (legge elettorale, riforma del Senato ed elezione futura del successore di Napolitano), ma dal fatto che lo stillicidio di scandali e di situazioni di tensione sociale apre continuamente nuovi spazi alle forze che cercano rivincite sugli attuali equilibri (precari) di potere.

Vicende come quelle della cosiddetta “mafia romana” confermano l’opinione pubblica nella convinzione che ormai la corruzione politica è incontrollabile. Quel caso oltre tutto sembra fatto apposta per certificare che neppure l’alternanza al governo è in grado di spezzare le incrostazioni di potere che stanno dietro l’intreccio perverso di politica e amministrazione. Aggiungiamoci che va anche a sostegno della tesi che il grande sperpero sta negli enti locali, il che è molto a vantaggio della deriva neocentralistica che è tornata a fare danni, come se lo stato fosse immune da quei virus (vedere la vicenda grandi appalti e protezione civile per credere …).

La politica esce male da queste vicende perché non sa come reagire. I partiti anziché prendere in mano le situazioni di corruzione grande e piccola che vengono a galla mettendo al lavoro inchieste interne e prendendo le decisioni del caso (espulsioni, sanzioni a chi ha selezionato un personale così scadente, ecc.) si trincerano dietro al mantra della “fiducia nell’operato della magistratura”. Così facendo danno l’impressione che se facessero le inchieste interne scoperchierebbero chissà quali pentole, perché gli indagati avrebbero modo di denunciare tanti altri per difendere loro stessi. leggi tutto

Un passaggio molto difficile

Paolo Pombeni - 29.11.2014

E’ un passaggio molto difficile quello che si appresta ad affrontare il nostro paese. Ci riferiamo alla successione di Giorgio Napolitano alla presidenza della repubblica. L’evento, annunciato qualche tempo fa in anteprima da Stefano Folli nella sua rubrica, è venuto confermandosi non per atti ufficiali, ma per comportamenti sempre più di chiarimento non solo di quel che sarebbe avvenuto (perché era noto che questo mandato presidenziale non sarebbe durato a lungo), ma per i tempi in cui si sarebbe verificato: appare ormai certo che Napolitano lascerà dopo il messaggio di fine anno, come tutti ripetono senza essere smentiti e come appare da un succedersi di eventi che hanno tutto il sapore di commiati.

Questo comportamento è da apprezzarsi perché mostra la sensibilità di Napolitano verso la delicatezza della situazione attuale. Non potendo evidentemente rimandare la sua decisione per ragioni che non esprime ma che lascia intuire, dovendo subite un ritiro prima che si avverassero le condizioni che aveva posto al momento della sua rielezione (far giungere in porto alcune riforme istituzionali importanti), il presidente è consapevole che la scelta del suo successore non sarà una passeggiata. Colla situazione politica attuale, con i partiti sfasciati o in fibrillazione profonda, con una crisi economica che morde sempre più gli equilibri sociali, la necessità di mettere al vertice dello stato una personalità che goda del rispetto generale e che di conseguenza sia in grado di reggere il ruolo di arbitro della nostra transizione sembra quasi essere la classica missione impossibile. leggi tutto

La politica post-emiliana

Paolo Pombeni - 27.11.2014

Come facilmente prevedibile, la politica sta già scontando i contraccolpi del risultato delle elezioni regionali in Emilia-Romagna. Secondo copione molti interpretano l’eccezionale livello dell’astensione (quasi al 63%) tirando l’acqua al proprio mulino: chi per proclamare il declino irreversibile di questa o quella forza politica (FI, M5S), chi per celebrare il preludio di una vittoria totale futura (la Lega), chi per dire che c’è la prova provata che non ci si può mettere contro la CGIL (la minoranza PD), chi per dire che in fondo non è successo nessun terremoto distruttivo (Renzi & company). In realtà i segnali sono già stati registrati e la politica si sta muovendo tenendo conto di quel che è successo (o di quello che si ritiene possa essere successo).

Lo si è visto nella vicenda dell’approvazione parlamentare del cosiddetto Jobs Act, ma possiamo pensare che sia solo un assaggio di quel che succederà. Il comportamento parlamentare del PD è da questo punto di vista interessante. I riflettori si sono puntati sulla trentina di deputati che pubblicamente hanno negato il loro voto al provvedimento, sottolineando come questi abbiano esplicitamente attribuito la diminuzione di voti del loro partito ad una presunta diserzione delle urne legata al conflitto fra Renzi e la CGIL. Anche se è probabile che una parte dell’astensione sia ascrivibile ad un fenomeno di quel tipo, bisognerebbe andarci piano col concludere che queste astensioni possano automaticamente trasformarsi in voti a favore di un nuovo partito “veramente di sinistra”. leggi tutto

Una lezione dall’Emilia?

Paolo Pombeni - 25.11.2014

Se una rondine non fa primavera, un risultato elettorale regionale non fa la crisi di una svolta politica. Però ambedue sono segnali che vanno inquadrati e decifrati in un contesto.

Quel che è accaduto nelle elezioni dell’Emilia-Romagna non è solo un indicatore inquietante della crisi complessiva della politica in Italia, ma è anche un campanello d’allarme per la leadership di Matteo Renzi. Sul primo versante un astensionismo che arriva al 62,33 %  non è la sconfitta di un partito, ma di un intero sistema: significa che la maggioranza assoluta dei cittadini non considera più la politica come un terreno su cui meriti di impegnarsi. Con numeri di questo genere il rifiuto è collettivo, perché siamo chiaramente di fronte ad una presa di posizione di protesta, essendo inimmaginabile che oltre il 60% dell’elettorato sia fatto di gente che semplicemente non ha interesse per la cosa pubblica. Una parte almeno dell’astensionismo è in realtà una scelta di voto.

Ovviamente i partiti sono ormai tutti abituati a guardarsi l’ombelico, per cui ciascuno può esultare a prescindere da questo dato: il PD perché comunque ha portato a casa la vittoria, la Lega perché comunque ha battuto sonoramente Forza Italia, i grillini perché comunque hanno mostrato che possono essere dimezzati, ma non cancellati.

Per il PD il dato dovrebbe essere estremamente preoccupante, per cui c’è poco da cantare vittoria. I numeri sono impietosi: nelle precedenti amministrative Vasco Errani venne eletto “governatore” con 1.197.789 voti, mentre Stefano Bonaccini ne ha avuti 615.725; la coalizione che lo appoggiava raccolse allora 1.095.604 voti, mentre oggi ne ha 597.185. leggi tutto