Politica e giustizia: e se uscissimo dall’impasse?
Torna la preoccupazione per un rinnovato scontro fra politica e giustizia: qualcosa di cui proprio nella difficile contingenza presente non si sente davvero il bisogno. Soprattutto se lo scontro è in definitiva più uno scontro fra poteri che un confronto fra differenti ragioni, come temiamo tenda di nuovo ad essere.
Siamo convinti che invece anche in questo campo sia possibile ragionare, ammesso che tutti conoscano i termini entro cui inquadrare il problema senza chiudersi in preconcetti e pregiudizi che non aiutano nessuno.
Per la verità non possiamo fare a meno di notare che lo scontro più che fra politica e magistratura è fra una certa rappresentanza dei pubblici ministeri e una classe politica che si sente sotto tiro. Non è una cosa banale: avrete fatto caso che tutti quelli che intervengono nel dibattito sul fronte della magistratura sono parte della funzione inquirente piuttosto che di quella giudicante, mentre è la seconda che, in verità, sarebbe la detentrice a pieno titolo del famoso “terzo potere”. Altrimenti è poi inutile stupirsi se un avviso di garanzia equivale ad una condanna e se si tende ad individuare il potere giudiziario come un potere di polizia (con conseguente calo della fiducia pubblica nel sistema della giustizia).
Detto questo, va altresì notato che la superficialità con cui la classe politica ha affrontato e continua ad affrontare il problema della corruzione è molto preoccupante. leggi tutto
Al via la seconda tappa della gara finale di Renzi
Con la sceneggiata per la mozione di sfiducia al governo svoltasi al Senato martedì 19 aprile ha preso il via la seconda tappa della gara al cui traguardo sta la vittoria o la sconfitta del “cambio di verso” imposto da Renzi col suo arrivo al potere.
In quel caso non c’era partita in materia di risultato, ma serviva per scaldarsi i muscoli in preparazione della terza tappa (le amministrative di giugno) e della quarta (il referendum sulla riforma costituzionale di ottobre). Soprattutto si è potuto saggiare a quali tattiche si ispirino i vari attori, almeno in questa prima fase, anche se va sempre tenuto conto che quando i confronti sono sostanzialmente simbolici come in questo caso tutti si lasciano andare alla spettacolarizzazione.
La prima sorpresa è venuta dalla pochezza delle opposizioni sia di destra che di sinistra. Si sono sentiti insulti, fantasie galoppanti, rodomontate, ma nessun serio argomentare. Difficile immaginare che con questo approccio le opposizioni vadano oltre i consensi che già hanno raccolto, soprattutto difficile credere che possano recuperare voti nell’ampia sacca dell’astensionismo. Da questo punto di vista il referendum anti trivelle ha fatto intuire quanto sia problematico immaginarsi che l’astensionismo derivi da un disgusto per una politica di basso profilo, perché se invece la politica riprendesse la sua capacità di battaglia la gente tornerebbe alle urne. leggi tutto
Non serve giocare coi numeri
La tentazione di giocare coi numeri dopo qualsiasi partita elettorale è un impulso irrefrenabile per i politici. Ci sono quelli che lo fanno con stile e quelli che non ne sono proprio capaci, ma è poco significativo. Ragionare su quel che è successo serve di più e noi proviamo a farlo.
Il referendum sulle trivelle (manteniamo questa definizione equivoca) è stato un mezzo flop da due punti di vista. Il primo è quello dei promotori più seri, cioè coloro che realmente pensavano, giusto o sbagliato che fosse, di essere di fronte ad una scelta realmente ambientalista. Il secondo è quello dei politici/politicanti che hanno pensato di sfruttare il populismo ambientalista per dare una spallata a Renzi. Il problema è che è impossibile separare le due componenti fra coloro che hanno votato sì al quesito referendario. Entrambi gli schieramenti cercano di accreditarsi la totalità del voto espresso che non è quantitativamente poco, perché sfiora un terzo dell’elettorato. Ciò è facilitato dal fatto che nei vertici stessi dei promotori del referendum le due componenti si mischiano ed è difficile dire quale sia quella strumentale.
Ciò pone però un problema serio all’ambientalismo italiano: se vuole fare passi avanti e conquistare una forte presa sul paese deve uscire dai recinti degli estremismi radicaloidi e soprattutto deve scindersi dai politicanti che vogliono cavalcare queste sensibilità solo per i loro fini. leggi tutto
L’Europa difficile
Travolti dalla cronaca politica italiana, per quanto poco esaltante, dedichiamo un interesse relativo all’Europa, soprattutto se si prescinde dalla pur rilevante questione delle politiche sui problemi delle migrazioni. Eppure il momento è piuttosto critico ed i sussulti nelle strategie per rispondere alle sfide migratorie vanno inquadrati in questo contesto.
Una semplice elencazione di temi sul tappeto ci dà già la misura delle difficoltà con cui ci misuriamo. La Grecia innanzitutto non è affatto riuscita ad avviare un processo di uscita dalle sue difficoltà economiche. Non se ne parla quasi più, complice anche la sua delicata posizione sulla questione di migranti, ma ogni tanto qualcuno ricorda che un collasso greco non sarebbe certo un evento privo di impatto.
Abbiamo all’orizzonte il referendum britannico sulla permanenza di quel paese nella UE e gli esiti sono incerti. Anche se non vincessero i favorevoli all’uscita avrebbero comunque un numero tale di voti da costringere il governo a sfruttare a fondo i privilegi che gli sono stati accordati. Una cosa che certo non provocherebbe un incremento di stabilità, anche se sarebbe forse meno peggio di un ritiro britannico dal sistema europeo, per i costi economici comporterebbe non solo per Londra.
La crisi pressoché perenne del sistema politico belga è emersa con la vicenda degli attentati islamisti, ma è da tempo che si trascina. leggi tutto
Battaglia finale?
Quel che ci si chiede è se siamo veramente arrivati alla mitica sfida all’OK Corral, per cavarcela con una abusata citazione cinematografica, fra renziani e antirenziani. La riforma della costituzione ha finito il suo iter parlamentare e aspetta solo la validazione del referendum. Le opposizioni (tutte: destra ed estrema sinistra unite nella lotta) hanno mandato il segnale per l’inizio della sfida disertando la votazione finale, per sfruttare il mito che una riforma costituzionale non sarebbe legittima se non coinvolge le opposizioni.
Su questo punto c’è molto da obiettare, ma ormai viviamo di miti messi in circolo da gente che il costituzionalismo l’ha imparato dalle chiacchiere al bar (si veda la storiella per cui Renzi non sarebbe legittimato perché non è passato per un voto popolare, mentre il meccanismo della fiducia parlamentare è quanto previsto a costituzione vigente e nella nostra storia repubblicana è stato per lo più così visto che non abbiamo alcuna norma per la elezione diretta del premier). Tanto per dire, la costituzione della Quinta Repubblica francese, tuttora vigente, è stata imposta dalla maggioranza gollista contro tutte le opposizioni e validata da un referendum popolare. Non sarà la costituzione più bella del mondo, ma è arduo affermare che non sia la costituzione di un sistema democratico che ha consentito l’alternanza di governi di diverso colore (e anche “coabitazioni”) e una vita costituzionale di tutto rispetto. leggi tutto
Corsi e ricorsi storici? I rischi di Renzi
Ad osservare quel che sta avvenendo sulla scena politica torna in mente la vicenda della cosiddetta “apertura a sinistra”, quando ad inizi anni Sessanta si riuscì finalmente a realizzare la possibilità di una coalizione di governo a guida DC in cui fossero presenti i socialisti.
La storia di allora ci ricorda che, dopo un fuoco di sbarramento lungo ed ostinato che vide uniti vertici della gerarchia cattolica dell’epoca, forze del capitalismo italiano, conservatorismi di varia matrice ed identità, si riuscì finalmente nel dicembre 1963 a varare il primo “centrosinistra organico” guidato da Aldo Moro. Durò pochissimo: il 25 giugno 1964 il governò andò sotto per soli 7 voti su una norma poco più che simbolica (un finanziamento alle scuole private per una cifra modesta). Prima c’era stato tutto un fuoco di fila che aveva visto dalla scissione della sinistra socialista che andò a fondare il PSIUP alla famosa lettera di Colombo ministro del Tesoro e Carli governatore di Bankitalia sui rischi economici della situazione. Non mancò infine il famoso “rumor di sciabole” denunciato da Nenni in margine alle manovre del gen. Di Lorenzo.
Certo alla fine Moro successe a sé stesso il 22 luglio e formalmente restò un governo di centrosinistra, ma come Moro scrisse in un memoriale steso nel 1978 dal carcere delle BR “da quel momento il centro-sinistra si riduceva a centrismo aggiornato”. leggi tutto
La maledizione di Tangentopoli
Quel che sta succedendo con la vicenda messa in moto dalle indagini della procura di Potenza ricorda purtroppo alcune caratteristiche della vicenda storica di Tangentopoli. Intendiamoci: al momento non c’è in campo una questione di tangenti ai partiti, e dunque da questo punto di vista non c’è alcun parallelismo. La questione è piuttosto un’altra: come allora il tentativo è quello di buttare all’aria un equilibrio politico senza avere a disposizione alcun sistema di ricambio.
Si può certo pensare che siamo ben lontani dal conseguire il risultato di far cadere l’attuale governo, ma sottovalutare le potenzialità che contiene la crisi attuale potrebbe rivelarsi azzardato. Per battere Renzi le opposizioni dovrebbero riuscire a provocare una scissione interna al PD e questo appare ancora un risultato impossibile, perché la minoranza dem sa benissimo che far cadere il governo in questo modo significherebbe un salto nel buio da cui certo non si salverebbe. Anche da questo punto di vista Tangentopoli qualcosa dovrebbe averlo pur insegnato.
Tuttavia l’obiettivo che viene perseguito da un complesso di forze che l’attuale premier ha disinvoltamente battezzato come “la santa alleanza” è più articolato, come piuttosto articolata è quella stessa coalizione al suo interno, perché non la si può ridurre al solo fronte delle attuali opposizioni parlamentari. leggi tutto
Non si può ridurre tutto a questioni di leadership
Non è un gran momento creativo per la politica italiana che sembra impantanata solo a scontrarsi su questioni di leadership. Forse la parola è anche, come usa dirsi, troppo grossa, perché supporrebbe capacità di guida e non un semplice problema su chi «comanda». Tuttavia la questione sembra ridursi più o meno a questo.
Renzi ovviamente calamita tutte le opposizioni alla sua centralità politica, senza che questa possa venire messa in questione su qualche tema veramente di fondo. Lo si vede benissimo nella questione del referendum cosiddetto sulle trivelle. Diciamoci la verità, è condotto più che altro su prospettive di utopia ideologica, senza che sia dato verificare nessun elemento. La contaminazione terribile del mare non sembra visibile là dove le piattaforme già lavorano (e continueranno a lavorare comunque sino a scadenza delle concessioni). La storia sui danni agli allevamenti di cozze è risibile, a meno che non si ritenga che il paese possa supplire ai nostri deficit energetici vendendo tonnellate di cozze in giro per il mondo. Non parliamo dell’argomento avanzato dal presidente Emiliano sul diritto di chi abita le coste a decidere cosa si deve fare del «loro» mare: un principio che se accettato renderebbe semplicemente ingovernabile uno stato nazionale in cui ciascuno pretenderebbe di decidere da solo su ciò che gli è prossimo, pur continuando a chiedere prestazioni allo stato nazionale. leggi tutto
L’Europa davanti al terrorismo islamista
Non è semplicemente una questione di terrorismo quanto sta succedendo, perché il terrorismo islamista ha caratteristiche peculiari. In Europa ci sono stati nei decenni passati altri tipi di terrorismo, basti citare quello basco e quello nordirlandese, per non risalire a quello verificatosi negli anni Sessanta nel Sudtirolo/Alto Adige. Si trattava però di un’altra cosa: erano vicende storiche, molto meno cruente, con un obiettivo chiaro e facilmente identificabile per quanto discutibile come giustificazione di azioni violente da guerriglia. Avevano come bersaglio uno specifico “nemico”, cioè un potere politico che veniva considerato, lasciamo stare al momento se a torto o a ragione, il responsabile di uno stato di cose che avrebbe potuto essere cambiato solo che si fosse “vinto”. Nei casi citati si trattava di rivendicazione di movimenti indipendentisti.
Certo più complesso da inquadrare il terrorismo fra anni Settanta ed anni Ottanta del secolo scorso degli estremismi di destra e di sinistra. In quel caso l’obiettivo era assai vago, il cambio di regime, lo si chiamasse o meno rivoluzione. Una meta utopica, ma almeno in astratto raggiungibile e già raggiunta in alcune circostanze in un passato non molto lontano.
L’obiettivo del terrorismo islamista è invece così globale e catastrofista da essere del tutto sfuggente. A che cosa mirano i programmatori e gli esecutori delle stragi di cui siamo testimoni? leggi tutto
Politica senza pace
Pochi pensavano che la politica italiana trovasse se non pace, almeno una modalità di confronto meno soggetta alle spinte estreme. Come ha detto Renzi si poteva sperare che in una fase delicatissima della situazione internazionale potesse prevalere un minimo di senso di responsabilità da parte di tutte le forze politiche. Peraltro questo avrebbe richiesto un po’ di strategia di pacificazione anche da parte del premier, pur comprendendo che lui è il soggetto meno idoneo a poter agire in quella direzione visto che si trova nella posizione del bersaglio indicato da tutti.
Il fatto è che quando si avvia una fase di ridefinizione complessiva del sistema è piuttosto difficile che la politica mostri quella freddezza razionale che sarebbe necessaria. Bisogna tenere presente che sono in discussione due parallele ridefinizioni delle due parti che hanno retto il bipolarismo imperfetto della cosiddetta seconda repubblica.
Il caso più eclatante è quello del centrodestra, ma anche quel che sta avvenendo nel centrosinistra non è da sottovalutare. Sul primo versante sotto i riflettori c’è la questione della leadership di Berlusconi. La vicenda delle amministrative romane è la punta di un iceberg, perché non c’è solo l’incapacità del vecchio leader di intercettare una strategia vincente per Roma (in fondo non l’ha mai avuta, al massimo ha lasciato la Capitale nelle mani di AN), ma assai più la ormai lunga assenza da parte sua di una strategia a livello parlamentare e nazionale. leggi tutto