Una politica ancora sospesa nel vuoto
Ci si interroga se le due crisi che si sono affacciate con prepotenza sulla scena politica, quella libica e quella greca, siano o meno in grado di imprimere una svolta all’impasse in cui sembrava essere precipitata la nostra politica dopo le baruffe della scorsa settimana alla Camera. Si tratta ovviamente di due fenomeni molto diversi fra loro, a cui forse sarebbe da aggiungere la crisi ucraina, non fosse che da quest’ultima l’Italia sembra più lontana.
Entrambe le crisi hanno un certo impatto sull’opinione pubblica. Gli avvenimenti in Libia preoccupano come è ovvio sia per il concretizzarsi di una minaccia jihadista alle porte di casa nostra, sia per la possibilità che quanto sta accadendo accentui la pressione delle ondate migratorie sulle nostre coste. Non è dunque solo per comprensibili motivi geostrategici e per reminiscenze storiche che il nostro governo non può rinunciare ad avere un ruolo importante in questo contesto.
I partiti sembrano avere colto la situazione e difatti, pur con accenti e retoriche diverse, tutti stanno attenti a non apparire come coloro che boicottano l’unità nazionale di fronte ad un pericolo largamente percepito. Naturalmente non possiamo sottovalutare il peso e l’impatto dei vari “distinguo” che vengono proposti: nessuno vuole che Renzi tragga giovamento da questa emergenza e dunque spesso si mettono in campo ragionamenti che non sono fondati. Nonostante questo la necessità di gestire la crisi creatasi con gli ultimi avvenimenti in Libia ha ridato forza e centralità al governo ed ha messo in difficoltà i suoi avversari. leggi tutto
Cambia la situazione?
Sino a due giorni fa sembrava che la situazione politica italiana si andasse incancrenendo su uno scontro frontale fra PD e FI innescato dalle impuntature di un Berlusconi in cerca di affermazioni. Ovviamente in questo scontro si erano subito buttati tutti quelli che ambivano a far saltare la leadership renziana: la Lega, il M5S, i dissidenti PD e via dicendo. Come talora accade in politica, un evento inaspettato, almeno in queste proporzioni, ha al momento cambiato il quadro di riferimento.
Ci riferiamo ovviamente a quanto sta avvenendo in Libia. La minaccia di avere sulla famosa “quarta sponda” (un nome preso dalla storia coloniale italiana che alla maggior parte della gente non dice nulla, perché non lo studiano neppure più a scuola) una forza organizzata legata al cosiddetto califfato islamico è un dato preoccupante. Chiama in causa il ruolo dell’Italia ed ha una forte presa sull’opinione pubblica scossa da quanto avvenuto a Parigi e a Copenhagen.
Un mondo politico che sembrava tutto intento ad azzuffarsi in parlamento ha nella sua maggioranza capito che era suicida rompere la solidarietà nazionale su un tema che tocca facilmente le corde sensibili dell’opinione pubblica. Il più veloce a capire il cambio di clima è stato Berlusconi, che ha intuito che si presentava l’occasione per uscire dal vicolo cieco in cui era andato a cacciarsi. leggi tutto
Una nuova fase per la politica italiana?
Vale la pena di interrogarsi se effettivamente quanto è successo con l’annuncio della rottura del patto del Nazareno da parte di Berlusconi apra una nuova fase nella politica italiana. Fare l’oroscopo al futuro della nostra politica è un esercizio da chiromanti, e dunque tutto va trattato con cautela. Tuttavia se non succederanno eventi non prevedibili è possibile azzardare qualche linea di interpretazione.
Al momento tutto ruota attorno all’evidente crisi della leadership di Berlusconi. Come si è già avuto modo di notare, l’ex cavaliere non aveva motivo di considerare la designazione di Mattarella al Quirinale come un atto ostile verso il centrodestra, perché il personaggio rispondeva sostanzialmente ai “paletti” che aveva fissato: non un leader della sinistra, un politico ma non schierato. Ciò che Berlusconi ha considerato inaccettabile per lui è che non gli sia stato consentito di negoziare il nome e di apparire di conseguenza come un riferimento “imprescindibile” nella gestione del quadro politico.
C’è da comprendere questa posizione. Effettivamente la sua leadership è apparsa sempre più acciaccata, da tempo non è in grado di proporre un qualunque disegno per il futuro del paese (tale non può essere considerata qualche richiesta di salvaguardia del suo residuo potere), il suo partito è in fibrillazione perenne vittima dei vari intrighi fra i suoi pretoriani, i sondaggi gli mettono davanti prospettive assai poco favorevoli. Quel che si capisce meno è come pensi di risalire la china affidandosi ad un abbraccio stentato con il leader della Lega Matteo Salvini. leggi tutto
Bipartitismo troppo imperfetto?
Quando nel 1966 Giorgio Galli pubblicò il suo famoso libro sul bipartitismo imperfetto, nella scienza politica dominava ancora l’idea che il sistema politico “migliore” vedesse il confronto fra due sole componenti, in senso lato una più conservatrice e l’altra più progressista. I modelli erano ovviamente quelli inglese e americano, ma anche la Germania ci si avvicinava.
Oggi la paradigmaticità di quel modello non è più accettata e anche Gran Bretagna e Germania non hanno più un sistema bipartitico. L’Italia è stata a lungo una eccezione, si fa per dire, con un modello multipartitico che resisteva, ma, come appunto diceva allora Giorgio Galli, da un certo punto di vista si poteva dire che il modello era implicitamente e imperfettamente quello bipartitico, almeno quanto a formazioni dominanti: da un lato la DC che estendeva la sua egemonia fino ai limiti di una destra estrema marginale, e dall’altro il PCI che, controllando la sinistra estrema, arrivava sino a tentativi di ipoteca sulla sinistra socialista e laica.
Nella cosiddetta Seconda Repubblica il sogno di arrivare se non ad un bipartitismo almeno ad un bipolarismo è stato dominante e ci si è anche illusi di esserci andati vicino: da un lato l’egemonia berlusconiana che aveva ricompattato in qualche modo il centro destra, dall’altro gli eredi del vecchio PCI che si erano aggregati tanto quasi tutta la sinistra più estrema quanto la antica tradizione della sinistra cattolica e di parte di quella socialdemocratica. leggi tutto
Adesso viene il difficile
Come i contorcimenti della classe politica nel 2006 hanno portato all’elezione imprevista di Giorgio Napolitano, così altri contorcimenti della politica hanno portato all’elezione, meno imprevista, di Sergio Mattarella. Napolitano esordì con un discorso d’investitura il 15 maggio 2006 in cui si augurava che un mandato che era iniziato con una nuova legislatura «aperta nel segno di un forte travaglio», sapesse svilupparsi in condizioni in cui «più chiara appare l'esigenza di una seria riflessione sul modo di intendere e coltivare in un sistema politico bipolare i rapporti fra maggioranza e opposizione». Possiamo chiederci se più o meno siamo ancora lì.
In realtà le cose sono diventate più complesse. Questa volta c’è un vincitore acclamato dell’operazione, ed è Matteo Renzi. Molti speravano che uscisse dalla prova quanto meno acciaccato e che la sua leadership venisse ridimensionata. In fondo così era stata letta da alcuni anche la candidatura di Mattarella: non un uomo suo, né un personaggio malleabile; una offa gettata alla minoranza del PD; un compromesso moderato che avrebbe potuto andare bene anche al centro-destra. Invece la stupidità e la pochezza politica dei suoi avversari hanno cambiato segno a quella scelta. leggi tutto
Quale prova per il Quirinale
Sembrava da qualche segnale che la partita del Quirinale potesse sdrammatizzarsi, ma rapidamente tutto torna a complicarsi. Renzi ricompatta il suo partito attorno al nome di Mattarella e per il momento tutti applaudono. Naturalmente per buona parte è un gioco tattico. Quando affermava che le elezioni del successore di Napolitano non potevano trasformarsi in un referendum sulla sua leadership, diceva qualcosa che tutti nel PD non potevano fare a meno di condividere: ed infatti tutti si sono affrettati a dire che certo è così, nessuno pensava di mischiare battaglia sulle riforme istituzionali col voto per il Colle. Poi cosa succederà è tutto da vedere, perché è chiaro che quelli che hanno anche solo un minimo di coscienza politica non possono certo dire pubblicamente che ambiscono ad azzoppare il proprio partito.
Quel che accadrà davvero non si riesce ancora a capire. C’è veramente un clima strano, perché tutti si trincerano dietro identikit del tutto astratti ed ideali (chi potrebbe essere contro un candidato che sia un politico sperimentato, ma capace di essere un saggio timoniere estraneo alle inclinazioni di favorire qualche partito?), ma nessuno osa puntare su un nome da sottoporre appieno al vaglio pubblico su quell’idealtipo. Adesso c’è Mattarella che è senz’altro un politico sperimentato, ma che come “grande timoniere” è tutto da sperimentare e come reputazione internazionale non è esattamente al top. leggi tutto
Grandi manovre nel vuoto
La politica sta diventando sempre più una versione del gioco del “Risiko”, ma non è una bella notizia. In un momento in cui alcuni sanno e altri almeno intuiscono che si va definitivamente disfacendo quel vecchio universo politico che si era riciclato, con opportuni restauri, nella cosiddetta seconda repubblica è purtroppo inevitabile che scoppi una specie di scontro generalizzato per decidere chi si collocherà nei ranghi della nuova classe dirigente. E’ per questo che riforme costituzionali ed elezione del nuovo presidente della repubblica sono strettamente collegate e non solo perché sono entrambe occasioni per mettere alla prova la tenuta dell’attuale leadership di Renzi.
La riforma elettorale così come si viene configurando non è solo un modo per inserire nel sistema un meccanismo maggioritario. Quello si sarebbe potuto avere anche attribuendo il premio alla coalizione vincente, ma non sarebbe stata la stessa cosa. Coalizione significa infatti non solo aggregare partiti che puntano insieme ad uno stesso obiettivo di governo, ma anche negoziare un accordo fra vari partiti (grandi e piccoli) con reciproci poteri di condizionamento per non dire di veto. Con un sistema frammentato come quello attuale e con la difficoltà dei partiti, specie di quelli piccoli, di rinunciare alle proprie impuntature identitarie ogni coalizione, specie se obbligata da ragioni elettoralistiche, rischia di trasformarsi nel classico nido di vipere. Del resto basterebbe ricordare come sono finiti i due governi Prodi, per capire verso quale orizzonte finiremmo per marciare. leggi tutto
Il PD, le primarie e la forma-partito
Surreale è un aggettivo che ormai si spreca quando si parla di politica italiana, ma la faccenda delle primarie liguri con la decisione di Cofferati di abbandonare il PD non sapremmo come definirla diversamente.
Infatti come non meravigliarsi che ci si accorga a cose fatte che il sistema di regolazione delle primarie è stato concepito alla luce degli ideologismi di mode imperanti,mentre era da sempre sin troppo evidente che era un meccanismo che non poteva reggere? Qualcuno provò a dirlo nei corridoi (perché più in là non fu ammesso) della prima assemblea nazionale del PD (anche chi scrive, che ne faceva parte), ma naturalmente non era un argomento che piaceva, neppure a quelli che oggi sgomitano per piangere sulla sinistra tradita.
Consentire di scegliere un candidato alle elezioni a chi non è poi titolato ad essere elettore è un palese controsenso in regime di suffragio universale. Il rischio che chi non è neppure formalmente titolare di una cittadinanza elettorale (sedicenni e cittadini di altri stati) potesse diventare preda di manipolazioni, per non dire di peggio, era facilmente prevedibile. In un paese poi come il nostro dove il senso dell’etica pubblica è piuttosto basso il rischio era altissimo. leggi tutto
Un sistema politico alla prova del Quirinale
Questa volta ci sarà qualcosa di più dell’elezione di un nuovo inquilino del Quirinale. Questa volta si dovrà decidere se eleggere ancora un “Capo dello Stato” o se tornare ad un “Presidente della Repubblica” così come era stato immaginato dai costituenti (e per la verità, se si eccettua forse Einaudi, come mai si era verificato).
Le differenze fra le due figure sono piuttosto rilevanti. Il “presidente” non è tanto una figura puramente cerimoniale o al massimo notarile, ma è il regolatore discreto della sana dialettica di un sistema di partiti a cui fa capo in ultima istanza la legittimità repubblicana. Sono i partiti ad avere in mano le chiavi delle istituzioni e quelle del consenso popolare alla casa comune. Il presidente si limita da incarnare verso l’esterno e verso l’interno l’accettabilità e la funzionalità di questo stato di cose.
Poi ovviamente il presidente è anche una personalità politica e dunque non ha resistito in passato a cercare di infilarsi nel gioco dei partiti, ma lo ha fatto, per così dire, come un protagonista di complemento in quella partita che abbiamo appena descritto. leggi tutto
Quirinale: la partita si complica
Che la partita per la successione di Napolitano sarebbe stata complicata lo sapevano tutti. Che questa fosse sempre più ostaggio del gioco di risistemazione della geografia del potere politico in Italia si poteva sperare ci fosse evitato. Ma è una speranza che sta infrangendosi davanti alla miopia di una classe parlamentare troppo incentrata solo sul suo futuro e condizionata dal suo passato.
Eppure la situazione complessiva in cui siamo immersi diventa ogni giorno più difficile: c’è la partita del default greco incombente, ora quella dell’integralismo islamico che punta scatenare in Europa conflitti esplosivi. Per non stare ad elencare elementi che ben si conoscono: il travaglio interno agli USA con l’indebolirsi della presidenza Obama; le turbolenze delle aree a rischio dalla Libia alla Siria; le impennate neoimperiali di Putin e via elencando. Questo per guardare al contesto internazionale, perché sono noti ai lettori i guai di casa nostra, da una crisi economica da cui si fatica ad uscire ad una gestione delle riforme che è a dir poco intricata.
In queste condizioni concentrarsi sia sulla ricerca di una personalità all’altezza di assumere un ruolo da protagonista nel concorrere alla gestione di queste emergenze sia sulla opportunità di consolidare poi questa personalità con un largo consenso di investitura sarebbe essenziale. Invece il gioco perverso a cui sembrano dedicarsi le forze in campo è quello di rendere impossibili entrambe le condizioni. leggi tutto