Renzi, la destra e la sinistra
Chissà se la sinistra dem considera anche Deng Xiaoping poco di sinistra. Probabilmente sì, visto che l’uomo che andò al timone della Cina dopo la liquidazione della rivoluzione culturale e la fine della banda dei quattro non era solo quello che sosteneva che il capitalismo non era incompatibile col comunismo, ma anche quello che affermava che non importava se i gatti erano rossi o neri, l’importante era che pigliassero i topi.
Non stiamo buttando lì battute, perché la questione è piuttosto seria. Alla obiezione che diminuire le tasse non sarebbe di sinistra, Renzi ha risposto, come era prevedibile, che non si trattava di fare una cosa di destra o di sinistra, ma di fare la cosa giusta. Risposta dialetticamente forte e adatta al grande pubblico, ma che non affronta appieno la questione del perché in Italia stiamo ancora a giocare la partita politica con queste battaglie sull’ortodossia ideologica delle scelte anziché ragionare su cosa serva veramente ad un paese come il nostro che ogni giorno mette a nudo sempre di più la disastrata situazione delle sue strutture.
A stare a quanto appassiona una parte della classe politica del PD la questione fondamentale sarebbe decidere se sia meglio tornare ad una prospettiva “ulivista” o se valga la pena di andare avanti nella linea della creazione del “partito della nazione”. leggi tutto
Non buttate le regioni
La riforma del Senato è stata approvata sebbene per il suo varo definitivo come legge costituzionale si debbano ancora attendere nuovi passaggi a Camera e Senato con un iter la cui conclusione è prevista fra marzo e aprile del prossimo anno. Tuttavia danno tutti per scontato che a questo punto saranno solo passaggi formali (anche se in politica non si può mai dire …) e dunque celebrano o criticano la riforma come un fatto compiuto.
Una delle perplessità più condivise riguarda la centralità delle regioni nel nuovo contesto. Si fa notare che si tratta di istituzioni squalificate da una serie di scandali, che esprimono una classe politica che viene presentata come non di prima grandezza, per non dire di peggio. Per questo si accoglie con favore la ri-centralizzazione di competenze che il nuovo assetto sembra favorire.
Si tratta di un tema che merita di essere sottratto alla cattiva stampa di cui gode, perché una articolazione dei poteri sul territorio è una modernizzazione del sistema di governo a cui non pare opportuno rinunciare. Anche uno stato di grande tradizione “centralista” come la Francia si è convertita al regionalismo e, per citare un altro esempio più controverso, la Gran Bretagna ha fatto della “devolution”, cioè del riconoscimento di poteri ampi a componenti storiche del suo “regno unito”, un qualcosa di più e di diverso rispetto alla sua tradizione storica di riconoscimento del “local government”, cioè del conferimento di alcuni compiti ad organi locali insediati sui territori. leggi tutto
Renzi e il PD dopo Marino
La vicenda del sindaco di Roma Ignazio Marino travalica i pasticci di un personaggio innalzato dal teatrino mediatico a ricoprire un ruolo per il quale palesemente non aveva le qualità. Certo si trattava quasi della classica “mission impossibile”, ma il Nostro ha rivelato di non avere avuto neppure la capacità di comprendere il guaio in cui si andava a cacciare.
Detto questo, rimane il fatto che la vicenda romana apre un capitolo incognito nello sviluppo della crisi italiana. Proprio mentre Renzi si avvia a portare a casa la riforma del senato, mentre sta per varare una ambiziosa legge finanziaria (vedremo poi se ci riesce) , e dunque mentre stava per cogliere una sorta di incoronazione per la sua leadership, il panorama si complica perché sulle prossime amministrative di primavera torna ad aprirsi una sfida all’equilibrio politico che si andava delinenado.
Va bene che anche in politica come in altri campi gli esami non finiscono mai, ma il passaggio che si profila rischia di essere particolarmente difficile. Da un lato infatti esso diventerà una prova sullo stato del PD e di conseguenza sulla tenuta del suo segretario; dal lato opposto Renzi non potrà giocare la partita disponendo direttamente i pezzi sulla scacchiera. Certo ci si aspetta che sia lui in prima persona a far campagna elettorale in tutte le città chiave, ma poi la gente voterà principalmente per i candidati sindaco e sceglierà inevitabilmente e giustamente in base alla fiducia o meno che si può avere in loro quanto a gestione del futuro delle città. leggi tutto
Passaggi complicati
Anche se non devono impressionare più di tanto le fibrillazioni che affliggono i lavori del senato nei passaggi finali della approvazione del ddl Boschi, sarebbe miope non vedere che la situazione politica è meno serena di quel che si era immaginato dopo il superamento degli scogli sulla votazione dei primi articoli di quella riforma.
In campo resta l’incognita di come si potranno gestire alcuni passaggi finali di questa impresa con una minoranza PD molto nervosa (essendosi accorta di non avere esattamente registrato delle vittorie colle sue barricate) e con un quadro di partiti ancora in tensione per la nebulosità delle strategie da scegliere in vista delle prossime elezioni amministrative. In particolare all’interno del Nuovo Centro-Destra ci sono spaccature e problemi che potrebbero portare a delle crisi significative: da un lato c’è il nervosismo per l’invasione di campo di Verdini (il che porta a qualche tentativo di intesa con Fitto); dal lato opposto c’è la faccenda della legge sulle unioni civili dove il partito rischia di perdere una quota dell’appoggio tradizionalista (ed ecclesiastico) che è una parte non facilmente rinunciabile del suo bacino elettorale.
Al di là di questo si affacciano però due questioni ben più importanti: la prima è il ruolo che deve assumere l’Italia nella coalizione internazionale anti califfato islamico; la seconda è l’annuncio di uno scontro molto duro fra industriali e sindacati in vista del rinnovo dei contratti. leggi tutto
Renzi: partirà la fase due?
E’ possibile capire, al netto delle titolazioni dei giornali e dei siparietti più o meno canori dei vari uomini politici, se con l’approvazione dei fatidici articoli 1 e 2 del ddl Boschi Renzi è riuscito ad entrare nella fase due della sua avventura politica? In tempi di celebrazioni del centenario della prima guerra mondiale verrebbe da ricordare che allora si scoprì che la vecchia teoria della “battaglia risolutiva” non funzionava e infatti la guerra durò cinque lunghi anni. Forse qualcosa di simile, speriamo per un periodo meno lungo, è ipotizzabile per questa fase della politica italiana.
Renzi è stato indubbiamente abile a circondare ed a prendere alle spalle i suoi avversari, ma lo ha fatto commettendo a nostro avviso due errori: 1) ha contato troppo sul marasma trasformistico del senato attuale; 2) ha sottostimato le difficoltà di una legge di riforma che presenta alcune debolezze che non sono riducibili alle impennate della minoranza dem.
Il primo punto ha preso il volto del senatore Verdini e della sua invenzione di una pattuglia di renziani di complemento. Se è vero sia che il senatore toscano non è il mostro di Loch Ness sia che i voti in politica raramente puzzano, rimane il fatto che fare perno per una riforma costituzionale su un ambiguo gruppo trasformistico non è una scelta lungimirante. leggi tutto
L’Italia e il vento europeo
Mentre si è momentaneamente placato il dibattito-scontro sulla riforma del senato (ma riprenderà, statene certi), sarebbe da valutare l’attuale posizione del nostro paese nel contesto europeo. Non è solo questione dei suoi rapporti diciamo così istituzionali con l’Unione sulla questione migranti come su quella della legge di stabilità, ma si tratta del più ampio problema di come le classi dirigenti italiane vogliano rapportarsi ai venti di inquietudine che scuotono il vecchio continente.
Proviamo ad elencare alcune recenti questioni che sono arrivate sul tappeto. Dapprima c’è stato l’esito della crisi greca con la riconferma della leadership di Tsipras a cui ha fatto da controcanto la salita di Jeremy Corbyn alla leadership del Labour Party in Gran Bretagna. Due eventi che sembravano spingere in direzioni opposte quanto ad interpretazioni su come deve o dovrebbe muoversi oggi una sinistra politica. Poi abbiamo avuto la vittoria in Catalogna degli indipendentisti (vittoria piuttosto risicata in verità), evento che ha riproposto il tema delle tensioni scissioniste che albergano all’interno dei vecchi stati nazionali. Infine, quasi in contemporanea, la presa di distanza del governo italiano dalle operazioni francesi nella guerra contro l’Isis. Il tutto per non parlare dei riflessi che avrà la questione Volkswagen (al di là degli aspetti economici su cui interverranno i nostri redattori competenti in materia) su quella che sembrava, dopo gli interventi di Merkel sulla politica per i profughi, una ritrovata leadership della Repubblica Federale Tedesca come “potenza civile” che aspira a guidare la nuova Europa. leggi tutto
Giro di boa?
A giudicare dai commenti e dalle reazioni alla riunione della direzione PD di lunedì 21 settembre si dovrebbe presumere che sulla questione riforme siamo al giro di boa. Renzi ha vinto, non sappiamo ancora se una battaglia o la guerra, e la minoranza dem non è uscita annientata, almeno non la sua componente maggiore. Tutto infatti al momento sembra andare verso un onorevole compromesso che consentirebbe a tutti di uscirne bene.
Se pensiamo che non sia ancora detto, è perché il compromesso è inevitabilmente ambiguo, basato com’è più su un astratto riconoscimento di due principi altrettanto astratti (l’impianto della riforma non si tocca; sì, ma il senato deve rimanere elettivo) che non su una reale convergenza circa l’assetto “politico” da conferire alla seconda Camera.
Renzi, che è un comunicatore e un tattico molto abile, è riuscito a mettere in angolo la sua opposizione interna prospettandole un quadro difficilmente obiettabile: al paese della riforma del senato interessa pochissimo, la questione che appassiona la gente è se saremo o meno in grado di uscire da questa crisi. Dunque le politiche economiche e il governo delle emergenze (a cominciare da quella molto visibile dell’immigrazione) sono possibili soltanto se non si manda al macero il ministero guidato dall’attuale segretario del partito. Vedete voi (oppositori) cosa volete fare, sapendo che comunque in parlamento ci sono più forze di quel che immaginate pronte a far in modo, più o meno apertamente, che non salti tutto. leggi tutto
Esercizi di leadership
La gestione di Renzi della direzione PD di ieri è stato un autentico esercizio di leadership. Ha infatti imposto il confronto su tematiche a lui favorevoli e ha costretto anche i suoi oppositori interni, ma soprattutto i meno caldi fra i suoi sostenitori, a scendere sul suo terreno. L’approvazione all’unanimità della sua relazione lo dimostra ampiamente.
A chi si aspettava una direzione incentrata sulla questione di come votare sul ddl Boschi, il segretario premier ha riservato una delusione. Ha detto chiaramente che quella tematica interessa poco, è roba buona da talk show su cui ha ironizzato ( ricordando che ormai anche la trentesima replica di Rambo che va in onda in contemporanea a talk show dove ci si accapiglia sulla riforma del senato li batte in termini di audience). Significativo che nessuno ha avuto il coraggio di smentirlo pubblicamente su questo punto, segno evidente che c’era consapevolezza che si trattava di una percezione realistica degli umori popolari. Questo ovviamente non significa automaticamente che un tema non sia importante se non eccita l’interesse del pubblico, ma certo in politica è un elemento di cui si deve tenere conto.
La sostanza è che Renzi ha inchiodato il partito a focalizzarsi su due temi: le questioni sociali (povertà, immigrazione, disoccupazione) e quelle economiche (interventi per sostenere la ripresa a cominciare dalla riduzione delle tasse). Questo gli ha consentito di incentrarsi sulla sua tipica narrativa: leggi tutto
Gran Bretagna: turn left ?
Alla notizia dell’elezione di Corbyn alla guida del Labour Party mi sono ricordato di una vignetta che comparve al tempo della rottura della dissidenza di sinistra del Labour nel 1950-51. Ritraeva Bevan, Wilson, Tiratsoo vestiti da scolaretti che ad un incrocio si imbattevano nel classico cartello turn left (svoltare a sinistra). Anche allora prese piede la leggenda che si erano perse le elezioni del 1951 perché non si aveva avuto il coraggio di spingere la politica del governo laburista abbastanza a sinistra (il partito aveva preso più voti in termini assoluti, ma aveva vinto un minor numero di collegi rispetto ai conservatori).
Il risultato di allora fu che i conservatori arrivarono al potere e se lo tennero per tredici anni. “Tredici anni buttati via” dirà poi la propaganda di Wilson (nel frattempo divenuto molto più tiepido circa le sue antiche posizioni di sinistra) quando nell’ottobre 1964 riportò finalmente i laburisti al governo. Continuò così la serie degli spostamenti del Labour Party tra una posizione sostanzialmente centrista quando era al potere o aveva chance di andarci ed una orgogliosamente di sinistra alternativa quando quell’orizzonte era precluso: ricordarsi dei tempi del lungo regno della Thatcher, neppure scalfita dai furori ideologici di Michael Foot (che peraltro era un intellettuale di notevole spessore). Il pendolo riprese la sua corsa opposta con Blair e il “New Labour” rappresentò la rinnovata proposta di un partito di sinistra che voleva competere con i conservatori non come partito “sectional”, ma come partito della nazione. leggi tutto
Si sbloccherà la politica italiana?
La domanda più urgente che si pone in questo momento riguarda la possibilità di sblocco di una situazione politica che sta pericolosamente scivolando verso la palude. Naturalmente a parole tutti giurano che basterà un nulla per pacificare la situazione: peccato che ciascuno sia disposto a contribuire a quel nulla al prezzo dell’umiliazione dei propri avversari. E’ importante aggiungere che ciò avviene non per pura cattiveria, ma per la pessima gestione del confronto politico che ha contribuito ad ingessare tutto senza dare spazi di manovra. Lo si è detto e scritto in continuazione, ma fra poco si vedrà all’opera la gigantesca trappola in cui tutti hanno concorso ad infilarsi.
I termini della questione sono ormai noti e sono stati illustrati all’infinito. Avendo trasformato tutto in una sfida sull’elettività diretta del Senato, su un versante Renzi e i suoi debbono assicurarsi la vittoria con l’approvazione sostanziale della seconda camera come prodotto dei consigli regionali, mentre sul versante opposto la minoranza interna al PD deve ottenere che il senato sia espressione di un voto popolare diretto.
Perché le mediazioni sono di fatto difficilissime se non impossibili? Perché manca la materia del contendere: non ci sono veri interessi attorno a cui trovare una formula che faccia funzionare bene il nuovo senato, ma solo una lotta per il predominio della scena politica. Tutte le proposte di mediazione avanzate si sono infrante su un punto: ogni parte in campo ha detto, benissimo, purché sia chiaro che con ciò abbiamo vinto noi. leggi tutto