Regionali: transizione in corso
Come sempre i dati elettorali possono essere manipolati come si vuole, basta credere a qualche premessa di comodo. A guardare le cose con un certo distacco si capisce certamente di più.
Come sempre la questione non può essere seccamente posta nei termini di decidere chi sia stato il vero vincitore, tanto meno in quelli relativi alla valutazione circa l’attuale gradimento di Renzi. Come è stato a suo tempo un errore immaginare che il risultato delle Europee, elezioni in cui tutti votano “in libera uscita”, certificassero il successo definitivo del nuovo premier, ora sarebbe un errore pensare che due sue oggettive sconfitte e cinque mezze vittorie preludessero al suo declino.
Innanzitutto bisogna tenere conto del dato ormai consolidato della fuga dalla politica: vota più o meno un elettore su due. Difficile capire chi si sia rifugiato nell’astensione consapevole, e dunque se si tratti di voti recuperabili e per quale partito. Certamente si è ristretto il voto di opinione, mentre, per converso, il voto dei “militanti” delle varie forze è divenuto più mobile: non si pensa più che bisogna restare nel proprio cerchio, magari turandosi il naso, ma si pensa sempre più di essere in diritto di “punire” la propria dirigenza. Il che potrebbe essere una buona notizia, non fosse che queste “punizioni” nascono più che da ragionamenti da veleni e pregiudizi. leggi tutto
La piccola ripresa e i grandi problemi
La relazione del governatore di Bankitalia Visco è stata letta come un piccolo assit al governo perché certificava un’inversione di tendenza con un avvio di ripresa economica che si riteneva probabile continuasse anche nei prossimi mesi. Indubbiamente il fatto che un uomo prudente come Ignazio Visco si sia speso per infondere un po’ di speranza nel nostro sistema è significativo oltre che positivo e non può sfuggire che anche in questo caso il corollario sia stato l’invito ad andare avanti con le riforme.
La ripresa è un evento piuttosto complicato, che non si può misurare solo con alcuni dati statistici sull’andamento dell’economia e sul mercato del lavoro. Non che questi siano indicatori da sottovalutare, tutt’altro, ma sono indicatori che segnalano la necessità di far qualcosa di decisivo per consolidare la timida inversione di tendenza.
Il tema di fondo è ancora una volta la possibilità di stabilizzare ed espandere una certa fiducia verso il nostro futuro. Non è un qualcosa che si può affidare semplicemente agli aruspici dei risultati elettorali, anche se indubbiamente l’evoluzione del nostro sistema politico, tutta scossoni e impennate, è un fattore che aiuta scarsamente. Infatti l’eccesso di concentrazione sulle contorsioni dei partiti, che peraltro hanno generato più che drammatizzazione del presente fuga dalla politica, fa perdere di vista il contesto assai difficile in cui il nostro paese deve muoversi. leggi tutto
Oltre le elezioni regionali
Sulle prossime elezioni regionali si è scritto di tutto. Ci sono analisi molto serie che cercano di capire (come quelle che Luca Tentoni con generosità propone il sabato sulle nostre pagine) e ce ne sono altre che definire partigiane sarebbe un eufemismo. Poca attenzione però sembra si voglia dedicare al fatto che, comunque vadano, queste elezioni rappresentano solo una fetta per quanto importante del paese e sono state sin troppo determinate da dinamiche locali poco collegate con disegni di respiro nazionale.
Certo quest’ultimo dato è già rilevante, perché mostra quanto i partiti siano ormai un misto tra vertici votati alla leadership televisiva verso la platea nazionale e strutture territoriali molto chiuse nel circuito di lotte di potere locali. Se questo è vero, la lezione che si potrà trarre dall’esito delle urne andrà soppesata con cautela: non sarà infatti capace di dirci quanto il paese si senta o meno coinvolto nella scommessa riformatrice che, pur con tutti i limiti del caso, il governo Renzi vuole rappresentare.
Il problema che il governo ha infatti di fronte non è quello di occupare o meno una serie di poltrone alla guida di alcune regioni (certo il potere locale non guasta, ma altrettanto non basta), ma quello di costruire un largo consenso circa il suo progetto riformatore, perché senza quello nessuna legge potrà diventare efficace. leggi tutto
L’eclissi della politica
Ad osservare l’andamento attuale dello scontro politico c’è poco da rallegrarsi: sembra infatti che qualsiasi principio di razionalità stia andando a farsi benedire. I cosiddetti “realisti” ci invitano a tenere conto del fatto che siamo in piena campagna elettorale ed alla vigilia di elezioni che sembrano assumere maggior significato ogni giorno che passa. Dovremmo dunque ritenere normale che tutti si permettano ogni genere di colpo basso in considerazione della rilevanza della posta in gioco.
Francamente non la pensiamo sia così. Condurre una opposizione al governo scatenata sulla base di richiami alla più volgare demagogia non è buona politica, anzi non è politica proprio per nulla. Sostenere per esempio che il governo deve ridare ai pensionati tutto quello che disinvoltamente viene definito “maltolto” è irresponsabile, perché qualsiasi persona assennata sa che questo porterebbe ad un baratro finanziario in cui quello che oggi viene elargito, domani sarebbe divorato dalla catastrofe economica che ne deriverebbe. Dire che Alfano è un ministro fallimentare perché si è scoperto che un clandestino approdato via barconi tempo fa in seguito si è unito ai terroristi di Tunisi è pura speculazione. A prescindere che la polizia lo ha individuato ed arrestato, non si vede come il ministro potesse evitare un incidente di quel tipo.
Non parliamo degli attacchi alla riforma della scuola, che sono zeppi di luoghi comuni e vuoti di qualsiasi seria proposta alternativa. Ascoltare dalla Gruber il segretario della CGIL-Scuola che sfornava una banalità dietro l’altra è stato realmente uno choc: non si pensava che il sindacato di Di Vittorio, Lama e Trentin si fosse ridotto così male. leggi tutto
Renzi alla prova della scuola
I suoi nemici sperano che la scuola sia la Waterloo di quello che vedono come una specie di nuovo piccolo Napoleone. Forse anche Renzi si vede così, ma pensa piuttosto, per continuare con questi improbabili paragoni, che possa essere la sua Austerliz. Di fatto è un terreno su cui si misura il rapporto profondo fra riforme e paese.
Il paese è in questo caso rappresentato da tre componenti: gli insegnanti, le famiglie, gli studenti. Ciascuna di esse è in realtà un agglomerato ed è anche fatica considerarle in una prospettiva unitaria, ma emblematicamente possiamo farlo per tentare di capire. Sono esse che si misurano con il problema di riformare un sistema, quello dell’istruzione, sul cui stato di salute assai malandato convengono tutti. Peccato che non appena si tenta di mettere mano ad una qualche riforma il solito timore della scelta inutile fra la padella e la brace blocchi ogni capacità di ragionare.
Gli insegnanti rappresentano in questo frangente l’universo più difficile da conquistare. Sono contemporaneamente vittime di una situazione di estrema difficoltà ed oggetto di una solidarietà sociale del tutto pelosa. La situazione difficile è data, oltre che da un sistema retributivo certo poco adatto a sostenere il ruolo che si continua a dire essi dovrebbero rivestire (da cui, per esempio, una forte femminilizzazione della professione, leggi tutto
Le riforme della scuola comma 22
Molti ricordano il famoso paradosso inventato nel 1961 dal romanziere Joseph Heller in Catch 22, secondo cui un regolamento di guerra contemplava il seguente passaggio: “Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo”. E’ il classico esempio della decisione trappola.
Ebbene sembra che questo sia il prototipo che si deve applicare al dibattito sulla riforma della scuola. Da un lato infatti sembra ci sia una generale domanda di rimettere in sesto un sistema che fa acqua da quasi tutte le parti: docenti malpagati e frustrati, alunni che fanno fatica ad applicarsi, programmi farraginosi, edilizia scolastica poco decorosa e avanti con l’elenco. Dal lato opposto ogni volta che si è provato a riformare, gli esiti non sono stati esattamente brillanti: aggravio del burocratismo, soluzioni cervellotiche, richiesta di assunzione di compiti impossibili.
Il risultato è che nel campo della scuola domina la più grande schizofrenia immaginabile. Mancano i centri dirigenti, perché una “catena di comando” nelle scuole non esiste più da tempo, sicché non si sa chi possa assumersi l’onere di guidare la barca. Non appena però, come nel caso della riforma progettata, leggi tutto
Dopo l’Italicum
Il cosiddetto Italicum ora è legge a tutti gli effetti, ma, perdonateci il gioco di parole, adesso si comincerà a valutare che effetti è in grado di produrre. Ce ne sono di due tipi: quelli immediati per le modalità con cui è stato approvato; quelli che arriveranno quando verrà realmente messo alla prova in una tornata elettorale.
Sul primo fronte fioccano le previsioni di “Vietnam parlamentari” con bellicose dichiarazioni di personaggi che pensano di guadagnare così una centralità politica che non hanno. Quelli che la possiedono pur essendo in minoranza sono al momento piuttosto cauti. Far saltare il governo non sarebbe in questo momento produttivo per molti: non certo per il centro-destra che è in uno stato semi-confusionale, ma neppure per i nostalgici del radicalismo di sinistra (per non dire dei vecchi equilibri) che non si vede bene come potrebbero, in caso di elezioni a breve, gestire un passaggio con la normativa prevista dalla sentenza della Consulta: si tratterebbe di un autentico salto nel buio sia per la natura proporzionalistica di questa normativa, sia per il fatto che essa si applicherebbe, con effetti ancora meno prevedibili, al Senato che continuerebbe ad esistere.
Certo agli avversari di Renzi non mancano spazi in cui infilarsi. Le riforme, si sa, toccano tante situazioni acquisite, di cui tutti si lamentano, temendo però che ogni cambiamento peggiori le cose per cui meglio stare come si è. Lo si è visto chiaramente nello sciopero della scuola, dove è stato un tripudio di slogan vecchi e vuoti, ma che hanno ancora una buona presa sociale. leggi tutto
La Consulta e il problema del bilancio nazionale
La recente sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la riforma Fornero che bloccava la perequazione delle pensioni anche di basso importo agli andamenti dell’inflazione merita una riflessione che vada oltre i tecnicismi giuridici e finanziari su cui noi, lo dichiariamo tranquillamente, non siamo competenti.
Le sentenze della Consulta hanno spesso, specie quando si occupano di certe tematiche, un valore che va oltre il mero dato giuridico relativo alla questione che ne è l’oggetto specifico: sono, in senso alto, prese di posizione di “indirizzo politico”.
Nel caso specifico ci pare esistere una prima trappola interpretativa da evitare, cioè l’impressione che siamo davanti ad una sentenza che si pronuncia a favore della teoria della intangibilità dei presunti “diritti acquisiti”. Come si sa, questa è una interpretazione profondamente conservatrice, attraverso cui tutto il nostro sistema corporativo (che è molto ramificato) difende privilegi spesso insostenibili delle generazioni mature a scapito delle generazioni più giovani e di quelle che verranno. A leggere quel che della sentenza è riportato non ci pare proprio che questa sia stata l’ottica della Corte.
Piuttosto abbiamo visto, se non ci sbagliamo, l’affermazione di un principio molto interessante: il bilancio dello stato non è una entità manipolabile a piacimento dal potere politico giusto per far in qualche modo “quadrare i conti”. leggi tutto
E adesso?
Il famoso dado sembra sia stato tratto. Ci riferiamo, ovviamente al fatto che Renzi ha deciso di porre la questione di fiducia su vari passaggi dell’Italicum. Le opposizioni sono scatenate nella speranza di lucrare una loro resurrezione (FI soprattutto) o un loro rafforzamento (M5S, Lega) dalla teatralizzazione dello scontro. Non sembrerebbe che l’opinione pubblica sia particolarmente calda su questo tema e forse il più abile a fiutare il vento è il solito Salvini che fa mostra di disdegnare il dibattito attuale come un non-problema.
Non è però all’opinione pubblica che guardano le opposizioni, bensì alla crisi interna al PD che si sta avvitando su sé stesso, in un crescendo di ipocrisie e di prese di posizione fuori dalla realtà. Le ipocrisie sono quelle di coloro che fingono di essere disponibili a trovare una via d’uscita purché il governo accetti di rimandare l’approvazione definitiva della legge. Essi per primi sanno benissimo che Renzi non può scendere su quelle sabbie mobili da cui non saprebbe poi come cavarsi. Le prese di posizione fuori della realtà sono quelle che strologano su attentati alla democrazia, dittature incombenti, chiamate in causa delle coscienze, e via elencando. Anche qui non ci vuol molto a capire che si tratta delle solite esagerazioni delle campagne di opposizione. leggi tutto
Alla disfida dell’Italicum
La settimana che si apre sarà caratterizzata dalla disfida sull’Italicum fra Renzi e tutti i suoi numerosi oppositori. Come in tutte le faccende di questo tipo non conta il presunto argomento di discussione, che è davvero un pretesto, conta la prova di forza, e qui sta il disastro.
In queste settimane si è assistito ad un fenomeno che in astratto dovrebbe essere definito curioso. Da un lato gli oppositori che tiravano in campo tutte le profezie più catastrofiche possibili su quello che ci aspetterebbe se la legge passasse: si è andati dalla crisi della democrazia all’invocazione del “caso di coscienza” in cui far valere la libertà individuale del deputato.
Sul versante opposto si è cercato, invano, di ridimensionare queste intemerate. Si è ricordato come quello che per l’Italia viene prospettato come una debacle democratica esista in altri paesi sulla cui democraticità non ci sono dubbi. Si sono dati numerosi esempi di come quello che oggi viene descritto come l’anticamera dell’inferno sia più o meno ciò che si è auspicato in materia di riforme elettorali da trent’anni a questa parte (incluse le conclusioni della famosa commissione dei 35 “saggi” voluta da Letta e Quagliariello). Si è ricordato come non è vero che manchino casi di fiducia posta dai governi su leggi simili, anche a prescindere dai due casi della legge Acerbo e della cosiddetta “legge truffa”. Si è spiegato infine che la mancanza di vincolo di mandato per il parlamentare significa che il deputato non è obbligato a votare come il partito nella cui lista è stato eletto, ma che se non vota in conformità con le decisioni del suo gruppo con ciò cessa di farne parte pur rimanendo deputato. leggi tutto