Un difficile autunno
L’autunno rischia di essere ben più difficile di quello che lasciavano prevedere le baruffe estive interne ai partiti. Certo queste non facilitano il necessario lavoro per far fronte ad un futuro incerto, ma, tutto sommato, non incideranno forse più di tanto. A fronte della nuova piega presa dalla crisi economica dopo la flessione delle borse cinesi, a fronte dell’incrementarsi del fenomeno migratorio con l’apertura di una seconda corsia attraverso i Balcani, cosa volete che importi alla gente se il centro-destra vuole o non vuole fare le primarie, e se il nuovo senato sarà eletto con procedure dirette o di secondo grado?
La politica più ruspante l’ha capito e infatti si concentra su quei problemi, ma naturalmente per le forze che in qualche modo devono farsi carico del governo del paese la faccenda è più complicata.
Il tema di fondo dell’autunno, se nel frattempo non cambia la situazione (possibile, ma improbabile), sarà come fronteggiare le angosce che a vari livelli sono indotte dai due fenomeni che abbiamo richiamato. Si tratterà di angosce con un duplice versante: uno di opinione pubblica ed uno delle classi dirigenti.
La sindrome cinese, come viene disinvoltamente etichettata, è un fenomeno complesso. Non sappiamo in termini di analisi economica come la si possa inquadrare (non è il nostro mestiere e cerchiamo di evitare analisi impressionistiche), ma crediamo di poterlo fare in termini politici. leggi tutto
La politica rude
Il dibattito politico nell’ultima fase si è incentrato attorno alle polemiche per le parole pronunciate in alcune occasioni da mons. Galantino, segretario della conferenza episcopale italiana. E’ un caso a suo modo curioso e interessante, perché mostra quanto sia cambiata la politica italiana.
La prima cosa che ha colpito gli osservatori è stato naturalmente il mutamento di linguaggio da parte di un membro dell’episcopato: non più toni felpati o aulici, ma un lessico diretto che riflette immediatamente il modo di ragionare della gente. Il caso di un vescovo che sferza i politici non è certo una novità: per non andare troppo indietro si possono ricordare per esempio i giudizi dell’allora vescovo di Bologna Giacomo Biffi. Non erano certo frasi tenere, ma il fraseggio era abulicamente moraleggiante.
Mons. Galantino ha invece usato toni rudi prendendo di petto due fenomeni che sono oggetto di critica diffusa, anche se da parte della gente, perché invece i media li monumentalizzano nelle interviste e nei talk show. Il primo fenomeno è quello dei “piazzisti della politica”, cioè la frotta di populisti arrembanti che alla perenne caccia di voti strumentalizzano le paure della gente e propongono soluzioni improbabili, prima ancora che inaccettabili, ai grandi drammi del nostro tempo. Il secondo fenomeno riguarda con tutta evidenza il parlare a vanvera contro le riforme in discussione agitando lo spettro del predominio di una politica di “nominati” contro quella degli eletti dal popolo per libera scelta. leggi tutto
Sarà un autunno caldo?
Chiedersi come sarà la ripresa autunnale è il classico gioco delle previsioni di mezza estate. Agosto è per tradizione il mese dei ballon d’essai politici, fatti un po’ per conservarsi uno spazio sui media un po’ per tastare il terreno senza rischi. Quest’anno la regola è stata rispettata, con una specificità: le prove che attendono la politica italiana nella seconda fase del 2015 sono particolarmente impegnative.
La prima questione dirimente sarà infatti verificare se la ripresa economica fa dei passi avanti. Pretendere che decolli, visto il contesto internazionale, è sperare contro ogni speranza, ma dei passi avanti percepibili sono necessari. Senza questi il governo Renzi rischia molto, perché se si contrae ulteriormente il favore di cui gode (in questo momento non malvagio, al netto del peso di una fascia sempre più grande di cittadini che hanno abbandonato l’interesse per la politica) le sue capacità di resistere all’attacco concentrico di oppositori interni ed esterni diventano ridotte.
Infatti la forza attuale del premier si basa su due pilastri. Il primo è la minaccia di ricorrere ad elezioni anticipate dove ha ancora la possibilità di giocare il ruolo centrale come unica alternativa forte alle derive populiste di Salvini e di Grillo (ma senza fiducia nella ripresa economica la partita diventerebbe impervia). Il secondo, che sembrerebbe in contraddizione con questo, è la scarsa propensione dei ceti dirigenti del paese a correre l’avventura di un cambio di governo. leggi tutto
Renzi e il nodo del partito
Il tentativo di Renzi di spostare l’asse del dibattito politico sulla questione della riforma fiscale è ancora al momento in attesa di decollo. La stagione non aiuta e l’incertezza sulla realizzabilità di un progetto molto ambizioso, ma di cui non si vedono chiaramente le basi finanziarie aiuta ancora meno.
In compenso emerge sempre più chiaro che la maggiore palla al piede del premier è la situazione del suo partito. In passato gli era riuscito di marginalizzare il fenomeno con l’appello diretto ai simpatizzanti e agli elettori: così era stato nella campagna per l’elezione a segretario, così per le elezioni europee. Quando alle urne si è potuto imporre la conformazione del referendum pro o contro Renzi il successo non è mancato. Il fatto è che non si può avere una elezione ogni due o tre mesi e che poi quando le elezioni non riguardano direttamente il consenso al leader le cose non vanno lisce: vedi le ultime regionali.
E’ a questo punto che il premier deve fare i conti non tanto con un consenso che i sondaggi danno in contrazione (queste sono altalene più o meno normali per chi è al governo) quanto con un partito che è più concentrato sulle sue lotte di potere intestine che sul sostegno all’azione dell’esecutivo ed ai progetti di riforma che sono stati messi in campo. A rafforzare questo clima sono intervenute le crisi al comune di Roma ed alla regione Sicilia dove si è visto che il sistema di investitura elettorale diretta dei vertici dei governi locali ha privato i partiti di un ruolo autentico di gestione della sfera politica. leggi tutto
La strategia del Renzi 2
Il presidente del Consiglio non molla, neppure in vista della pausa d’agosto. Sente che intorno a lui molti stanno lavorando per indebolirlo, anche se pochi pensano veramente che sia possibile sostituirlo (per mancanza di alternative credibili). Renzi però sa che indebolito non può restare al governo, perché la figura che si è cucito addosso non prevede quel ruolo.
Dunque avanti con le riforme, anche se la strategia che le prevede non è senza rischi. In complesso il presidente-segretario è alle prese con tre tipi di riforme. Il primo tipo è quello classico delle riforme cosiddette di struttura e contempla la conclusione del progetto di riforma del senato. E’ il terreno che scalda meno l’opinione pubblica e preoccupa di più i professionisti della politica (in fondo i posti che abolisce sono i loro). Si tratta di un terreno difficile sul quale ci si muove di fatto in maniera incerta: in fondo c’è una disponibilità al negoziato con i dissidenti, purché non esagerino nelle loro richieste.
Il secondo tipo sono le riforme per così dire “di governo”. Lo è stata la riforma della scuola, a cui però per diventare veramente esecutiva sembra manchino almeno una ventina di procedimenti attuativi di varia natura. Ma possono partire le assunzioni di personale e questa è una buona mossa per guadagnare consenso. leggi tutto
Le tasse sono di sinistra?
Potrebbe essere la solita polemica da ombrellone quella innescata dalle parole di Renzi per smentire che il PD e la sinistra siano il partito delle tasse. Il fatto che la sinistra antirenziana, interna ed esterna, sia subito intervenuta a raccoglierla ci fa però pensare che qualche riflessione al proposito possa avere una sua utilità.
Il tema ha una sua radice storica. L’incremento della tassazione è in buona parte avvenuto fra fine Ottocento ed inizi Novecento per finanziare lo sviluppo dello stato assistenziale. In Gran Bretagna, i conservatori che avversavano queste misure allora sostenute dai liberali proclamavano che ciò stava avvenendo perché l’allargamento dell’elettorato aveva portato in parlamento i rappresentanti delle classi popolari che spingevano per allargare una spesa pubblica che portava vantaggi a loro mentre i costi ricadevano non su di essi, ma solo sulla parte abbiente della popolazione. Insomma far decidere a questa gente la spesa pubblica era “come nominare il gatto guardiano della ciotola del latte”.
Fatte le debite proporzioni e i conseguenti distinguo, l’origine del binomio sinistra eguale incremento della tassazione è qui. La sinistra vuole uno “stato sociale” che ovviamente costa e deve chiedere i soldi ai contribuenti. Più stato sociale significa più tasse.
Anche una parte non piccola della sinistra ha introitato questo atteggiamento e dunque ritiene che abbassare le tasse significhi semplicemente tagliare lo stato sociale. Poi magari va addirittura oltre e pensa che lo stato sociale vada sempre più allargato e che dunque non si debba avere paura ad imporre nuove tasse. leggi tutto
Renzi 2, la vendetta?
Perdonateci il titolo pop, ma la battuta circola e in effetti esprime una certa sorpresa per l’accelerazione che Renzi ha impresso ad una fase politica che rischiava di eroderne la leadership. Difficile negare che l’intervento all’assemblea nazionale del suo partito abbia un forte valore simbolico: significa che il segretario vuole riprendere in mano quello che è il suo punto debole e verificare se “la ditta” ha davvero la forza se non per disarcionarlo, per scavargli giorno dopo giorno la terra sotto i piedi.
La strategia che Renzi ha messo in campo è di quelle da sfida finale. Innanzitutto ha lanciato un programma che arriva fino al 2018, fine naturale della legislatura. Siccome è basato su proposte precise e non su generici impegni, chi lo farà saltare prima si assumerà la responsabilità di impedire che le riforme annunciate vadano in porto.
La forza di questo progetto è nell’estrema concretezza delle proposte: non solo alcune riforme (qualcuna tipo quella sulle unioni civili giusto per schermarsi a sinistra), ma tre passaggi assai impegnativi e precisi: prima abolizione dell’IMU sulla prima casa; poi riforma di IRES e IRAP (un’apertura alle imprese); infine la revisione degli scaglioni dell’IRPEF. E’ una sfida molto chiara non solo ai suoi avversari interni, ma anche alle opposizioni: vuole accreditare il PD sotto la sua guida come il partito che farà le riforme che nessuno è riuscito a fare. leggi tutto
L’Europa, la Grecia, l’Italia e la crisi della politica
Non siamo di quelli portati a farci coinvolgere negli improbabili paralleli storici a cui si abbandonano commentatori disinvolti: la situazione attuale non ha nulla a che fare né con la “pace cartaginese” verso la Germania del 1919 (l’espressione è di Keynes) né men che meno col trattamento della Germania dopo il 1945. Bisognerebbe ricordare che, per esempio, nell’ultimo caso la Germania ebbe condonati i debiti di guerra, ma a prezzo dell’occupazione, dello smembramento e della lunga perdita di sovranità internazionale, cose che ovviamente nessuno può pensare di applicare alla Grecia di oggi.
Tuttavia soffermarsi su queste tematiche è perdere tempo, perché la questione è piuttosto diversa ed è meglio cercare di delinearne i tratti, uscendo da un modo di guardare alla politica internazionale come se si trattasse di una società di opere caritatevoli e umanitarie. Ciò che impressiona nel leggere quanto scrivono anche personaggi autorevoli è la debolezza delle analisi politiche: sembra che nessuno abbia più seguito qualche lezione di politica internazionale o anche solo di storia internazionale.
Tanto per dire, abbiamo letto su “Foreign Policy” un’analisi sul comportamento tedesco scritta da Philippe Legrain, che è stato consigliere economico di Barroso, in cui si attacca la Merkel con argomenti forse plausibili da un punto di vista strettamente economico (la Grecia non è in grado di sostenere la “cura” che le si impone), ma insostenibili se appena si prende in considerazione il contesto politico in cui sono maturate le decisioni dei vertici europei. leggi tutto
La vittoria di Pirro
Al netto dei fanatismi delle fazioni di tifosi in campo quella di Tsipras e compagni è la classica vittoria di Pirro (altro che democrazia della Grecia antica!). Tecnicamente il ricorso al referendum popolare sulla base di una domanda ambigua e con un settimana di preparazione è una classica mossa di natura “bonapartista”: chissà se i “sinistri” di casa nostra hanno mai letto il classico testo di Marx al proposito. Un risultato diverso avrebbe richiesto una consapevolezza popolare quasi eroica e soprattutto qualche prospettiva per il futuro che Tsipras ha impedito fosse vista e che purtroppo la mancanza di una leadership europea unitaria ha impedito che ci fosse.
Detto questo, il futuro che si apre è davvero un mare ignoto. Diciamo subito che è vano ragionare semplicemente su quel che succederà “adesso”. Fatti come quello di cui ci stiamo occupando hanno effetti che si dipanano in un periodo medio-lungo.
Se la UE cederà al ricatto populista di Tsipras grazie all’alleanza che questi pensa di avere dagli USA e dalla Cina lo vedremo nei prossimi giorni. Certo Obama è preoccupato per un possibile indebolimento del fronte sud della Nato, considerando la posizione sempre più ambigua della Turchia e le turbolenze nell’area mediorientale. La Cina teme per un indebolimento se non collasso dell’euro visto che ha da tempo puntato su questa moneta come moneta di riserva per bilanciare il potere del dollaro. Entrambi dunque non vedono di buon occhio un default greco. leggi tutto
La sfida del populismo (greco) e l’Italia
La decisione del governo Tsipras di drammatizzare all’eccesso l’esito di un negoziato che per il suo paese era impossibile vincere risponde al momento difficile che i populismi di ogni colore hanno imposto all’Europa. Infatti, al di là di ogni considerazione sui tecnicismi della faccenda, ciò che ha condizionato a fondo questa partita è stato il fatto che ogni paese era prigioniero delle pulsioni populiste che dominano la propria opinione pubblica. L’Italia non fa eccezione, anche se da noi, come vedremo, la situazione ha peculiarità non riscontrabili altrove.
La rappresentazione del conflitto fra il governo greco e quelli europei è piuttosto semplice da riassumere: le opinioni pubbliche europee difficilmente avrebbero accettato che la Grecia ottenesse non solo una sanatoria su un passato di finanza allegra, ma una licenza a continuare ad elargire privilegi che negli altri paesi sono stati cancellati. Tsipras dal canto suo non poteva accettare di venire smentito nelle promesse elettorali che irresponsabilmente aveva elargito al suo popolo, cioè che si potesse cavarsela molto a buon mercato rispetto ai guai fatti in precedenza (senza parlare della forza che non ha per imporre un freno all’evasione e comunque ai privilegi fiscali).
Si può mettersi a fare delle riflessioni articolate sulla perfetta aderenza alla realtà di questa rappresentazione, ma in politica le rappresentazioni contano nella loro capacità di semplificazione. Per tutti i leader europei era di fatto impossibile concedere a Tsipras quella vittoria che reclamava, perché avrebbe significato, oltre tutto, l’aprirsi di una domanda generalizzata di misure di assistenzialismo economico-fiscale che avrebbero fatto naufragare la stentata ripresa economica in atto. leggi tutto