Ultimo Aggiornamento:
22 marzo 2025
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La grande incognita

Paolo Pombeni - 10.09.2015

Sembra dunque che ci si avvii alla prova finale per capire se l’Italia è entrata irreversibilmente in una nuova fase, ma soprattutto in che termini questa si espliciterà. Certo la questione che fa da cartina di tornasole non è proprio di quelle di alto spessore politico: le diatribe sull’elettività del senato non sono una palestra di grande pensiero costituzionale, ma si vede che è destino (successe già così nei dibattiti alla Costituente).

La questione in campo è banalmente politica. Si vuole mettere alla prova la svolta che Renzi ha impresso al nostro sistema, svolta che peraltro si inserisce in tutto un movimento tellurico che va dallo spazio politico ormai stabilmente occupato dal M5S, alla svolta della destra populista di Salvini, al declino della proposta politica berlusconiana, che secondo alcuni verrà rilanciata da Della Valle e Passera, ma per ora non si sa se ciò sia plausibile. L’incognita che pesa sul nostro paese è nell’intrecciarsi di queste dinamiche, nessuna delle quali deve essere presa in considerazione sganciata dalle altre.

Sembra se ne stia accorgendo persino la minoranza dem che adesso propone a Renzi, neppur tanto fra le righe, una disponibilità a ricompattare i gruppi parlamentari (dicono “il partito” o “il nostro popolo”, ma quelle sono ormai definizioni vuote) in vista di non farsi travolgere dal coalizzarsi delle altre forze. Si tratta certo di una manovra in gran parte tattica per sfuggire al giudizio non esattamente benevolo che ricevono da gran parte dell’opinione pubblica, ma è innegabile che un certo fondamento ci sia. leggi tutto

L’autunno delle scadenze

Paolo Pombeni - 08.09.2015

Siamo alla ripresa autunnale e ci si aspetta che i nodi vengano al pettine. Illudersi che una polemica sull’assistenza ai migranti possa cancellare i due nodi che incombono è vano: Salvini dovrebbe tenere conto che la svolta della Merkel (e dell’Austria) ha mutato la geografia dei sentimenti istintivi della gente, perché l’esempio tedesco pesa sull’opinione pubblica non pregiudizialmente orientata agli egoismi (esiste ovviamente anche quella, ma, per ora, è lontana dall’essere maggioritaria). Renzi dunque su questo terreno vince facile, anche perché lì le opposizioni interne al suo partito non trovano spazio.

Tuttavia, come si diceva, i nodi sono altri, perché l’andamento del fenomeno migratorio non dipende da noi e la spaccatura interna all’Unione Europea rafforza al momento la posizione dell’Italia. La prima questione è la riforma del Senato, non per il suo contenuto, ma per la portata simbolica che ha assunto. La cosiddetta sinistra dem non intende demordere (e del resto con lo spazio mediatico che ottiene grazie a queste impuntature, perché dovrebbe?) e le opposizioni esterne non possono far la figura dei soccorritori di un Renzi che non ha alcuna intenzione di riconoscere dei debiti nei loro confronti.

La maggior parte degli osservatori scommette che si tratti di una sceneggiata che non si concluderà con una crisi della legislatura: si pensa che quelli interessati ad una soluzione così traumatica non siano in numero sufficiente per raggiungere l’obiettivo. leggi tutto

Veri e falsi problemi

Paolo Pombeni - 03.09.2015

Col Parlamento chiuso la politica continua a funzionare, perché i problemi, veri o falsi che siano, non vanno in vacanza. Quelli veramente seri sono due, e cioè la gestione dell’emergenza migranti e la preparazione della manovra economica. Quello sempre meno serio è la battaglia tutta ideologica sulla riforma del Senato.

Per sbarazzarci subito di questa questione, ci permettiamo di ricordare a tutti quelli che vedono nell’abbandono di un Senato ad elezione diretta un vulnus mortale alla democrazia e alla costituzione, che la prima proposta che nella Commissione per la stesura della nostra Carta (la cosiddetta Commissione dei 75) tenne banco sino a fine gennaio 1947 era quella di un Senato eletto per un terzo dai Consigli regionali e per due terzi dai Consigli comunali (dunque con elezione indiretta). Quelli che allora sostennero o non si opposero a questa impostazione (si andava da Mortati ad Einaudi tanto per citare due nomi) erano degli sciocchi che non si rendevano conto dei rischi che avrebbe corso la democrazia? Ci si obietterà che allora non c’era l’Italicum, le regioni dovevano ancora essere costituite e via dicendo, ma i problemi di incertezza circa il futuro del nostro sistema politico non erano minori di oggi. leggi tutto

Una politica che si prepara allo scontro

Paolo Pombeni - 27.08.2015

Dicevano i latini, si vis pacem, para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra: sembra essere questo il motto se non di tutte, di gran parte delle forze politiche italiane. La guerra in questo caso sarebbero le elezioni anticipate; la pace il congelamento della situazione attuale senza vincitori né vinti, se vista dalle opposizioni; una netta affermazione di Renzi se considerata dal punto di vista del governo.

La preparazione della guerra è stata avviata da qualche tempo dalle opposizioni, inclusa quella interna al PD, sia pure in forma più o meno aggressiva a seconda dei casi. La strategia ruota intorno alla presunzione di essere in grado di trasformare la battaglia sulla riforma del senato nel “Vietnam parlamentare” a cui si è alluso in passato. Il complicarsi della situazione di contorno per via del drammatizzarsi della vicenda relativa all’immigrazione e in conseguenza della crisi finanziaria cinese sembra interpretata dalle opposizioni come un aiuto insperato in una battaglia che scalda poco i cuori della gente.

Renzi era infastidito dalla piega presa dagli avvenimenti, ma tutto sommato assente, avendo delegato la polemica ai suoi luogotenenti. Adesso è tornato direttamente in campo, annunciando una campagna in grande stile, destinata a toccare, almeno a quanto si lascia trapelare, quasi tutta l’Italia. leggi tutto

Un difficile autunno

Paolo Pombeni - 25.08.2015

L’autunno rischia di essere ben più difficile di quello che lasciavano prevedere le baruffe estive interne ai partiti. Certo queste non facilitano il necessario lavoro per far fronte ad un futuro incerto, ma, tutto sommato, non incideranno forse più di tanto. A fronte della nuova piega presa dalla crisi economica dopo la flessione delle borse cinesi, a fronte dell’incrementarsi del fenomeno migratorio con l’apertura di una seconda corsia attraverso i Balcani, cosa volete che importi alla gente se il centro-destra vuole o non vuole fare le primarie, e se il nuovo senato sarà eletto con procedure dirette o di secondo grado?

La politica più ruspante l’ha capito e infatti si concentra su quei problemi, ma naturalmente per le forze che in qualche modo devono farsi carico del governo del paese la faccenda è più complicata.

Il tema di fondo dell’autunno, se nel frattempo non cambia la situazione (possibile, ma improbabile), sarà come fronteggiare le angosce che a vari livelli sono indotte dai due fenomeni che abbiamo richiamato. Si tratterà di angosce con un duplice versante: uno di opinione pubblica ed uno delle classi dirigenti.

La sindrome cinese, come viene disinvoltamente etichettata, è un fenomeno complesso. Non sappiamo in termini di analisi economica come la si possa inquadrare (non è il nostro mestiere e cerchiamo di evitare analisi impressionistiche), ma crediamo di poterlo fare in termini politici. leggi tutto

La politica rude

Paolo Pombeni - 20.08.2015

Il dibattito politico nell’ultima fase si è incentrato attorno alle polemiche per le parole pronunciate in alcune occasioni da mons. Galantino, segretario della conferenza episcopale italiana. E’ un caso a suo modo curioso e interessante, perché mostra quanto sia cambiata la politica italiana.

La prima cosa che ha colpito gli osservatori è stato naturalmente il mutamento di linguaggio da parte di un membro dell’episcopato: non più toni felpati o aulici, ma un lessico diretto che riflette immediatamente il modo di ragionare della gente. Il caso di un vescovo che sferza i politici non è certo una novità: per non andare troppo indietro si possono ricordare per esempio i giudizi dell’allora vescovo di Bologna Giacomo Biffi. Non erano certo frasi tenere, ma il fraseggio era abulicamente moraleggiante.

Mons. Galantino ha invece usato toni rudi prendendo di petto due fenomeni che sono oggetto di critica diffusa, anche se da parte della gente, perché invece i media li monumentalizzano nelle interviste e nei talk show. Il primo fenomeno è quello dei “piazzisti della politica”, cioè la frotta di populisti arrembanti che alla perenne caccia di voti strumentalizzano le paure della gente e propongono soluzioni improbabili, prima ancora che inaccettabili, ai grandi drammi del nostro tempo. Il secondo fenomeno riguarda con tutta evidenza il parlare a vanvera contro le riforme in discussione agitando lo spettro del predominio di una politica di “nominati” contro quella degli eletti dal popolo per libera scelta. leggi tutto

Sarà un autunno caldo?

Paolo Pombeni - 18.08.2015

Chiedersi come sarà la ripresa autunnale è il classico gioco delle previsioni di mezza estate. Agosto è per tradizione il mese dei ballon d’essai politici, fatti un po’ per conservarsi uno spazio sui media un po’ per tastare il terreno senza rischi. Quest’anno la regola è stata rispettata, con una specificità: le prove che attendono la politica italiana nella seconda fase del 2015 sono particolarmente impegnative.

La prima questione dirimente sarà infatti verificare se la ripresa economica fa dei passi avanti. Pretendere che decolli, visto il contesto internazionale, è sperare contro ogni speranza, ma dei passi avanti percepibili sono necessari. Senza questi il governo Renzi rischia molto, perché se si contrae ulteriormente il favore di cui gode (in questo momento non malvagio, al netto del peso di una fascia sempre più grande di cittadini che hanno abbandonato l’interesse per la politica) le sue capacità di resistere all’attacco concentrico di oppositori interni ed esterni diventano ridotte.

Infatti la forza attuale del premier si basa su due pilastri. Il primo è la minaccia di ricorrere ad elezioni anticipate dove ha ancora la possibilità di giocare il ruolo centrale come unica alternativa forte alle derive populiste di Salvini e di Grillo (ma senza fiducia nella ripresa economica la partita diventerebbe impervia). Il secondo, che sembrerebbe in contraddizione con questo, è la scarsa propensione dei ceti dirigenti del paese a correre l’avventura di un cambio di governo. leggi tutto

Renzi e il nodo del partito

Paolo Pombeni - 30.07.2015

Il tentativo di Renzi di spostare l’asse del dibattito politico sulla questione della riforma fiscale è ancora al momento in attesa di decollo. La stagione non aiuta e l’incertezza sulla realizzabilità di un progetto molto ambizioso, ma di cui non si vedono chiaramente le basi finanziarie aiuta ancora meno.

In compenso emerge sempre più chiaro che la maggiore palla al piede del premier è la situazione del suo partito. In passato gli era riuscito di marginalizzare il fenomeno con l’appello diretto ai simpatizzanti e agli elettori: così era stato nella campagna per l’elezione a segretario, così per le elezioni europee. Quando alle urne si è potuto imporre la conformazione del referendum pro o contro Renzi il successo non è mancato. Il fatto è che non si può avere una elezione ogni due o tre mesi e che poi quando le elezioni non riguardano direttamente il consenso al leader le cose non vanno lisce: vedi le ultime regionali.

E’ a questo punto che il premier deve fare i conti non tanto con un consenso che i sondaggi danno in contrazione (queste sono altalene più o meno normali per chi è al governo) quanto con un partito che è più concentrato sulle sue lotte di potere intestine che sul sostegno all’azione dell’esecutivo ed ai progetti di riforma che sono stati messi in campo. A rafforzare questo clima sono intervenute le crisi al comune di Roma ed alla regione Sicilia dove si è visto che il sistema di investitura elettorale diretta dei vertici dei governi locali ha privato i partiti di un ruolo autentico di gestione della sfera politica. leggi tutto

La strategia del Renzi 2

Paolo Pombeni - 28.07.2015

Il presidente del Consiglio non molla, neppure in vista della pausa d’agosto. Sente che intorno a lui molti stanno lavorando per indebolirlo, anche se pochi pensano veramente che sia possibile sostituirlo (per mancanza di alternative credibili). Renzi però sa che indebolito non può restare al governo, perché la figura che si è cucito addosso non prevede quel ruolo.

Dunque avanti con le riforme, anche se la strategia che le prevede non è senza rischi. In complesso il presidente-segretario è alle prese con tre tipi di riforme. Il primo tipo è quello classico delle riforme cosiddette di struttura e contempla la conclusione del progetto di riforma del senato. E’ il terreno che scalda meno l’opinione pubblica e preoccupa di più i professionisti della politica (in fondo i posti che abolisce sono i loro). Si tratta di un terreno difficile sul quale ci si muove di fatto in maniera incerta: in fondo c’è una disponibilità al negoziato con i dissidenti, purché non esagerino nelle loro richieste.

Il secondo tipo sono le riforme per così dire “di governo”. Lo è stata la riforma della scuola, a cui però per diventare veramente esecutiva sembra manchino almeno una ventina di procedimenti attuativi di varia natura. Ma possono partire le assunzioni di personale e questa è una buona mossa per guadagnare consenso. leggi tutto

Le tasse sono di sinistra?

Paolo Pombeni - 23.07.2015

Potrebbe essere la solita polemica da ombrellone quella innescata dalle parole di Renzi per smentire che il PD e la sinistra siano il partito delle tasse. Il fatto che la sinistra antirenziana, interna ed esterna, sia subito intervenuta a raccoglierla ci fa però pensare che qualche riflessione al proposito possa avere una sua utilità.

Il tema ha una sua radice storica. L’incremento della tassazione è in buona parte avvenuto fra fine Ottocento ed inizi Novecento per finanziare lo sviluppo dello stato assistenziale. In Gran Bretagna, i conservatori che avversavano queste misure allora sostenute dai liberali proclamavano che ciò stava avvenendo perché l’allargamento dell’elettorato aveva portato in parlamento i rappresentanti delle classi popolari che spingevano per allargare una spesa pubblica che portava vantaggi a loro mentre i costi ricadevano non su di essi, ma solo sulla parte abbiente della popolazione. Insomma far decidere a questa gente la spesa pubblica era “come nominare il gatto guardiano della ciotola del latte”.

Fatte le debite proporzioni e i conseguenti distinguo, l’origine del binomio sinistra eguale incremento della tassazione è qui. La sinistra vuole uno “stato sociale” che ovviamente costa e deve chiedere i soldi ai contribuenti. Più stato sociale significa più tasse.

Anche una parte non piccola della sinistra ha introitato questo atteggiamento e dunque ritiene che abbassare le tasse significhi semplicemente tagliare lo stato sociale. Poi magari va addirittura oltre e pensa che lo stato sociale vada sempre più allargato e che dunque non si debba avere paura ad imporre nuove tasse. leggi tutto