Simboli e Riforme
Il dibattito sull’art.18 non è così surreale come sembra. O meglio: è surreale quel che si dice nel merito, ma il suo significato nascosto mette in luce gran parte del problema della attuale fase della politica italiana.
La parte surreale è discutere su un punto che tutti, favorevoli come contrari all’abolizione, riconoscono non avere grandi effetti concreti immediati. Da un lato è vero che abolirlo (o meglio riformarlo a fondo) non creerà molti posti da lavoro, dall’altro è altrettanto vero che è poco serio difenderlo solo per chi ce l’ha, come se gli altri, che sono sempre più la maggioranza, fossero figli di un dio minore (naturalmente tutti sanno che la propaganda dell’ “estendiamolo a tutti” è appunto propaganda e basta).
Il contenuto concreto è che si tratta di una battaglia a forte valenza simbolica, il che non significa con contenuto fumoso, ma con la capacità di segnare visibilmente un tornante.
Il problema dell’Italia in questo momento è la scarsa considerazione che il suo sistema politico, economico e sociale gode a livello internazionale. Un paese in cui da quarant’anni o giù di lì si discute di riforme, di cambio di passo e via dicendo e in cui l’unico cambio è stato quello di liquidare un sistema di partiti, certo ormai logorato ed inefficiente, per sostituirlo con un altro che non si è rivelato migliore, è difficile che venga stimato capace di rispondere alla crisi che attanaglia in varia misura tutto il sistema occidentale. Il presidente Napolitano sembra essere rimasto tra i pochi a farsi carico di una risposta a questa emergenza, ma sembra anche che predichi al deserto. leggi tutto
La Repubblica senza i partiti
Si sono versati i classici fiumi d’inchiostro sulla “repubblica dei partiti”, ma forse è venuto il momento di chiedersi quali prezzi paghiamo per la sua dissoluzione. Non perché rimpiangiamo i partiti dell’ultima fase: sarebbe da masochisti. Piuttosto perché i partiti, così come erano stati concepiti dal nostro disegno costituzionale originario, servivano a garantire alcuni nodi fondamentali per garantirne il funzionamento. La loro sostanziale scomparsa inceppa inevitabilmente quegli ingranaggi che dipendevano da loro.
Gli studiosi ogni tanto ci avvertono che sta avvenendo quello che negli USA si è realizzato da un secolo: fine dei partiti come grandi aggregazioni di identità sociale, come luoghi di costruzione del consenso attraverso canali di partecipazione al dibattito politico. Al loro posto “macchine politiche” che servono solo per accedere alle candidature per le tornate elettorali ai vari livelli. Vinte quelle, il rapporto dell’eletto col partito tende a svanire. leggi tutto
Il nodo della giustizia
La questione giustizia è rilevante, ma sarebbe un errore circoscriverla ad una diatriba da lasciare in mano non tanto ai “tecnici” (il cui sapere serve moltissimo, se non è animato da spirito di parte), ma al lobbysmo delle varie componenti interessate, che non sono esattamente poche.
Per ragionare in maniera costruttiva su questa tematica, bisogna partire da un dato che, se non ci inganniamo, viene lasciato molto in ombra: la natura assai ambigua del rapporto fra magistratura e governo. Da un lato infatti stiamo parlando di uno dei tre poteri dello stato: accanto al legislativo, all’esecutivo, appunto il giudiziario. Tuttavia, e qui sta l’altro lato, questo potere non è chiaramente “autonomo” come lo sono gli altri due.
Infatti, mentre parlamentari e membri del governo decidono in autonomia su loro stessi e non hanno vincoli di dipendenza, la magistratura è di fatto formata da “funzionari”. Certamente la sua indipendenza è tutelata da un organo specifico, il Consiglio Superiore della Magistratura, ma fino ad un certo punto e non senza appunto ambiguità. Nel caso del parlamento e del governo l’indipendenza dei loro membri è da un lato a termine e dall’altro non esime la loro azione dall’essere soggetta a verifiche anche pesanti: il governo può essere sfiduciato dal parlamento, i parlamentari possono esserlo dagli elettori. leggi tutto
Pasticcio all’emiliana
Il gioco di parole è troppo facile, ma la verità è proprio questa: quello che sta combinando il PD in Emilia Romagna, col sostegno di una direzione nazionale piuttosto sbandata è un vero e proprio pasticcio. La questione, diciamolo subito, non è l’indagine su Bonaccini e Righetti per le cosiddette “spese pazze” nell’ambito dell’utilizzo dei rimborsi spese alla Regione Emilia-Romagna. E’ l’insipienza generale con cui si è gestito il problema della successione al potere di Vasco Errani e del sistema che si è mosso intorno a lui.
Intendiamoci subito: qui al termine “sistema di potere” non diamo alcuna accezione pregiudizialmente negativa. Quando qui come in qualsiasi altra istituzione c’è un vertice che rimane tale per 15 anni è inevitabile che esso lasci quella che una volta si sarebbe chiamata una “impronta”, ma che è più corretto chiamare un “sistema”: un modo di gestire la sfera del potere politico costruendo equilibri, cooptando forze, gestendo reti di relazioni, scegliendo chi privilegiare e chi emarginare o semplicemente ignorare. Scandalizzarsi per questo è da farisei: tutti i sistemi politici funzionano, inevitabilmente, così, c’è solo da chiedersi se hanno funzionato bene o male. leggi tutto
Un leader alla prova
Se Renzi sia veramente un leader carismatico lo si potrà dire soltanto quando il suo ciclo si sarà svolto per un tempo congruo. Intanto si muove come tale e per ora non sbaglia le mosse. Le caratteristiche al momento ci sono tutte: si è fatto largo a dispetto dell’establishment precedente, ha una cerchia di fidi della prima ora, ha la rigida spregiudicatezza di chi non vuole ammettere debiti verso chi lo ha preceduto, ma soprattutto si affida ad una “narrazione” sul futuro.
Intendiamoci: ci avevano provato altri, come Craxi e Berlusconi, che però avevano due handicap. Non si erano davvero “fatti da sé” come politici (Craxi veniva da una filiera di partito, Berlusconi emergeva sulle macerie di un sistema già distrutto dalle vicende storiche) e la loro narrazione circa i “nemici” del loro progetto era poco credibile. Craxi infatti se la prendeva coi partiti esistenti, pur dovendo continuare a trattare con loro ed essendo inserito nel loro sistema. Berlusconi aveva riesumato il fantasma del “comunismo”, che non solo era un po’ obsoleto, ma soprattutto era divisivo, perché ricompattava una metà del paese contro di lui. leggi tutto
Gestire le riforme
Prendersela con Renzi per via degli annunci è un giochetto ipocrita: la politica moderna è tutta fondata sugli annunci e sulle promesse, a cui in genere si dà il più pomposo nome di “programmi”. E’ da fine Ottocento che si ritiene che le battaglie elettorali si combattano alla luce dei “programmi” (in origine si usava il termine inglese platform) con l’implicito corollario che poi, la volta successiva, in base alla realizzazione o meno di quei programmi si sarebbe rinnovata o negata la fiducia che si era data in precedenza.
Ovviamente questo è molto teorico, perché poi 1) i programmi sono spesso “narrazioni” e dunque si può fingere di aver realizzato anche ciò che non si è fatto; 2) ci sono ragioni più o meno vere a cui si può appellarsi come cause di forza maggiore per spiegare il fallimento dei progetti (l’opposizione degli avversari, le condizioni economiche mutate, gli equilibri internazionali, ecc. ecc.). leggi tutto
Mille giorni per mille riforme?
Conferenza stampa piuttosto rapida quella di ieri di Matteo Renzi, ma significativa per più di un aspetto. Innanzitutto la “composizione” del palco: lui, più la Boschi e Del Rio. Nel primo caso, la sottolineatura del ruolo di “gestione del confronto parlamentare” a cui viene delegata la ministra (che peraltro si conferma più ferrata del premier in materia, visto che Renzi si confonde alcune volte sul punto a cui sono i lavori alle Camere). Nel secondo caso vi è piuttosto la volontà di confermare il ruolo di “fratello maggiore” (Renzi dixit) del sottosegretario dopo i rumors di stampa che lo davano in crisi di rapporti col premier.
L’attribuzione a questo duo del ruolo di coordinatori della strategia dei “mille giorni” non è un fatto banale, anche se, va notato, alla Boschi va il fronte parlamentare e a Del Rio quello diciamo così dei provvedimenti sociali, cioè due funzioni di supporto che, al di là del ruolo di regista e direttore generale che ovviamente il premier riserva a sé stesso, non lascia intravvedere bene quali posizioni saranno riservate ai ministri. leggi tutto
Si inizia da scuola e giustizia
Dunque i mille giorni di Renzi sono al via: nel consiglio dei ministri di venerdì, che sembra sarà notturno, giusto prima che il premier voli a Bruxelles per il vertice europeo, inizierà il percorso delle riforme. Si parte da scuola e giustizia, twitta Renzi, anche se sui due dossier si è a stadi molto diversi: per la scuola siamo a “linee guida” ed abbiamo un ministro come la Giannini che non è esattamente il top del peso politico (ma il premier ha avocato il tema a sé); per la giustizia si è più avanti, con normative quantomeno già abbozzate e con un ministro, Orlando, che ha già fatto un buon lavoro di preparazione con i contesti di riferimento.
La critica che si fa al governo è che la riforma che in realtà la UE e il contesto internazionale attendono con maggior interesse è quella relativa al mercato del lavoro, dove invece sembra si vada più a rilento. Tuttavia gli osservatori più equilibrati riconoscono che le due riforme in campo hanno dalla loro ragioni molto solide da più di un punto di vista. leggi tutto
I partiti delle riforme (e la riforma dei partiti)
Riprende la vita politica dopo la pausa ferragostana e la questione in campo è, ovviamente, quella delle riforme. Renzi deve stringere, sia per sottrarsi all’accusa di essere uno che promette molto, ma conclude poco, sia per ottenere quella credibilità internazionale che gli permetta di trovare le sponde necessarie per evitare di finire vittima di una speculazione pronta a gettarsi sulle difficoltà economiche dell’Italia.
Per il Consiglio dei Ministri di venerdì 29 agosto sono annunciate grandi novità, ma il premier sa benissimo che quella è ancora la fase degli annunci. Perché i piani diventino operativi ci vogliono i tempi dei passaggi parlamentari, che non sono mai rapidi, dunque perché gli annunci siano almeno credibili bisogna che si crei una aspettativa di sicuro approdo legislativo nonostante le baruffe che potranno crearsi alle Camere. leggi tutto
Se la storia potesse avere un peso …
Tra le varie effervescenze agostane c’è adesso il dibattito attorno alla proposta dell’on. Fioroni di intitolare l’edizione di quest’anno della Festa dell’Unità ad Alcide De Gasperi. Un po’ perché la proposta è bizzarra, un po’ perché bisogna pur scrivere di qualcosa, i giornali hanno dato spazio alla faccenda. Ne è uscita l’immagine di un ceto politico ed intellettuale, almeno per quel che riguarda gli interpellati dai giornali, diciamo non proprio all’altezza dei tempi.
Ci si consenta di aprire con una notazione curiosa. Tutti hanno discusso della proposta Fioroni, che alla fine è pur sempre la trovata di un singolo, ma, se non ci siamo distratti, non è stato messo in rilievo un fatto ben più singolare: in alcuni giornali nazionali è apparsa una inserzione pubblicitaria piuttosto corposa in memoria di De Gasperi firmata e pagata dal gruppo parlamentare PD. A noi è sembrato qualcosa di ben più significativo.
Ciò su cui vale la pena di discutere non è la bizzarria di dedicare una kermesse che mischia l’intrattenimento gastronomico-musicale con un po’ di talk show della politica-spettacolo alla memoria di qualche illustre personaggio del passato, quanto la reazione che ciò ha suscitato. Perché in realtà i temi forti del contendere (si fa per dire) sono stati due: il primo se fosse più o meno ragionevole dedicare una festa “comunista” alla memoria di un avversario storico del comunismo; leggi tutto