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Non si può ridurre tutto a questioni di leadership

Paolo Pombeni - 31.03.2016
Fronte Anti-Renzi

Non è un gran momento creativo per la politica italiana che sembra impantanata solo a scontrarsi su questioni di leadership. Forse la parola è anche, come usa dirsi, troppo grossa, perché supporrebbe capacità di guida e non un semplice problema su chi «comanda». Tuttavia la questione sembra ridursi più o meno a questo.

Renzi ovviamente calamita tutte le opposizioni alla sua centralità politica, senza che questa possa venire messa in questione su qualche tema veramente di fondo. Lo si vede benissimo nella questione del referendum cosiddetto sulle trivelle. Diciamoci la verità, è condotto più che altro su prospettive di utopia ideologica, senza che sia dato verificare nessun elemento. La contaminazione terribile del mare non sembra visibile là dove le piattaforme già lavorano (e continueranno a lavorare comunque sino a scadenza delle concessioni). La storia sui danni agli allevamenti di cozze è risibile, a meno che non si ritenga che il paese possa supplire ai nostri deficit energetici vendendo tonnellate di cozze in giro per il mondo. Non parliamo dell’argomento avanzato dal presidente Emiliano sul diritto di chi abita le coste a decidere cosa si deve fare del «loro» mare: un principio che se accettato renderebbe semplicemente ingovernabile uno stato nazionale in cui ciascuno pretenderebbe di decidere da solo su ciò che gli è prossimo, pur continuando a chiedere prestazioni allo stato nazionale.

Il problema politico è molto delicato. Non si può andare avanti su ogni questione vedendo ombre di complotti di «poteri forti» e rifugiandosi dietro sogni su possibilità alternative già in fieri, ma ancora lontane dall’essere completamente in grado di cambiare il nostro equilibrio economico.

A fronte di questioni così delicate la mitologia del far scegliere direttamente alla gente è più che pericolosa, soprattutto in fasi come quella attuale in cui mancano quasi del tutto le mediazioni di agenzie responsabili in grado di orientare la formazione di opinioni razionali e condivise. Un tempo quelle agenzie erano i partiti, in qualche misura le chiese e gli intellettuali, ma oggi valli a cercare …

Così tutto si riduce ad una banale questione di schieramento pro o contro il leader di turno, nel nostro caso Renzi. L’imbarazzo di Bersani a prendere posizione, la aperta dichiarazione di Romano Prodi contro il fondamentalismo pseudo ecologista, venendo da due persone non sospettabili di renzismo dovrebbero indurre a qualche riflessione una minoranza PD a cui non pare vero cercare di cavalcare quella che si illude essere una inclinazione d’istinto della «pancia» dell’elettorato di sinistra. Quelli poi che alzano più del sopracciglio per il sostegno di Verdini a qualche legge, non trovano problematico che Lega e Cinque Stelle si accodino all’operazione nel segno di una crociata antirenziana che sarebbe degna di miglior causa.

Del resto questo sembra essere il trend del paese. Si assiste sotto banco al fenomeno di componenti del tradizionale moderatismo di centrodestra che, con tutte le cautele del caso, cercano di richiamare l’attenzione sul fatto che buttare giù Renzi facendo leva su dinamiche populiste non è che sia una grande prospettiva. I contorcimenti che quell’area politica sta esprimendo nel contesto delle amministrative a Roma è sintomo sin troppo evidente di una crisi che ha di nuovo per oggetto la determinazione di chi potrà guidare l’area una volta che si saranno conclusi i vari «test» che si susseguiranno.

Ci sono infatti nell’ordine: il referendum anti trivelle; la tornata di amministrative; il referendum confermativo delle riforme costituzionali. Tutta roba che, almeno per ora, non è che sia proprio in grado di galvanizzare l’opinione pubblica, ma che tuttavia la grande armata dell’antirenzismo conta possa essere una sequenza di indebolimenti se non di smacchi per la leadership del segretario-premier.

Sarà davvero così? Può essere, ma non c’è alcun indizio per darlo per sicuro, anzi quegli indizi di cui disponiamo andrebbero in senso contrario. Infatti la complessità della situazione internazionale sta al momento consolidando la leadership dell’attuale premier.

La situazione sempre più caotica della Libia e la prudente, ma responsabile condotta del governo italiano trovano riconoscimenti nei partner e per di più rendono difficile all’opposizione attaccarlo su questo terreno. La prospettiva di un aggravarsi della situazione sul fronte dell’immigrazione postula una azione concordata a livello europeo e, viste le cattive condizioni della UE, il ruolo di Renzi nel dialogo coi vertici più responsabili degli altri paesi non può che portarlo a guadagnarsi altri titoli di merito. Aggiungiamoci che la situazione economica è tutt’altro che ritornata su livelli di tranquillità e anche qui una presenza internazionale autorevole in termini di leadership diventa un requisito indispensabile per non accentuare la nostra posizione di anello piuttosto debole della catena europea.

Tutto questo rinforza oggettivamente Renzi, ma, paradossalmente, renderebbe ancor più disastrosa una sua sconfitta per operazione congiunta di assemblaggi confusi tra populismi di varia natura ed ideologismi ormai fuori mercato.