Pronti per il grande scontro?
Come interpretare gli ultimi avvenimenti, Grillo che si reinsedia al vertice del suo movimento e Renzi che opta per il 4 dicembre come data per lo svolgimento del referendum? I due eventi sono collegati più di quel che sembra, perché rientrano nella strategia del “grande duello” che è quella che tutti pensano sia la più adatta per arrivare una buona volta a decidere chi comanderà in Italia nel prossimo decennio.
Il M5S punta sempre più a candidarsi come il magma da cui nascerà la nuova stagione politica. Per questo Grillo ha deciso che solo lui può rappresentarlo davanti all’opinione pubblica, che non è fatta principalmente dai suoi militanti che sono interessati a discutere delle regole e del “uno vale uno”, ma da quello che ritiene essere un misto di rabbia e di sconforto per una politica che non riesce a far tornare il paese ai fasti dei decenni che furono. A questa gente non serve presentare programmi realistici, che non soddisferebbero la loro voglia di sentirsi dire che tutto si potrebbe risolvere facilmente solo che ci fosse onestà e roba simile. Non è neppure necessario giustificare le modestissime performance dei grillini al potere, i pasticci di Roma, tanto sono disposti a credere che è tutto frutto della grande corruzione politica e del complotto cosmico in cui siamo invischiati. leggi tutto
Una fase difficile
Il governo Renzi sta attraversando un periodo difficile. Con il clima generale è un bel problema, perché troppi puntano a farlo saltare, sebbene nessuno abbia chiaro in testa cosa fare dopo. La pericolosità della situazione sta proprio qui.
Il tema del referendum rimane caldo, anche se non si può dire che appassioni larghe fasce di opinione pubblica. I sostenitori delle due tesi si confrontano, ma la frammentazioni delle ragioni che supportano il sì come di quelle che supportano il no non contribuiscono a far maturare le opinioni. Dall’una e dall’altra parte si oscilla fra slogan populistici (bisogna tagliare le poltrone; la dittatura antidemocratica è alle porte) e ragionamenti complicati sul contenuto delle norme (il nuovo senato è o meno un autentico organo di rappresentazione dei territori?). Difficile in questo clima capire veramente cosa succederà nelle urne.
Ovviamente ciò incrementa il nervosismo tanto della maggioranza quanto delle opposizioni. L’andamento dell’economia che non è positivo non consente al governo di sfruttare l’argomento lanciato con troppo ottimismo della luce che si iniziava a vedere in fondo al tunnel, mentre sul versante opposto fornisce un’ottima occasione alle opposizioni per denunciare il fallimento di Renzi e dei suoi ministri. Il tutto sullo sfondo di una sessione di bilancio che inizierà fra poco leggi tutto
La lunga marcia?
Solo una decina di giorni fa tutti commentavano la nuova versione di Renzi passato da rottamatore a dialogante. Ora, dopo l’intervento di domenica, sembra che il presidente/segretario abbia ripreso pieno possesso delle armi della polemica politica. E’ una semplice oscillazione che risponde alle platee con cui si ha a che fare, per cui si fa polemica quando si devono scaldare le folle e si fa dialogo quando si deve acquisire credibilità davanti ai ceti sociali dirigenti?
Una spiegazione di questo tipo non è infondata, ma non dice tutta la verità. In un contesto in continuo movimento, la tentazione di inseguire le onde mutevoli della pubblica opinione è molto forte per qualsiasi leader politico. Aggiungiamoci che quando quel movimento è difficile da interpretare i leader cadono spesso prigionieri di schiere di cortigiani (pardon: adesso si chiamano spin doctor) che si contendono fra di loro i favori del capo criticando a vicenda i consigli dei loro concorrenti.
Adesso sembra dunque che prevalgano quelli che suggeriscono al premier che la battaglia per l’affermazione politica non si può vincere senza tornare a farne una questione di scelta fra angeli e diavoli. Renzi ha trovato in D’Alema la perfetta incarnazione per portare avanti questa dicotomia e non mancano quelli che intendono questa tattica come di derivazione berlusconiana. leggi tutto
Torna il teatrino della politica?
La definizione di “teatrino della politica” è stata a lungo popolare, poi è stata sostituita dalla mania per lo “storytelling” spesso tradotto come “narrazione”.Eppure è la forza evocativa della prima definizione richiamata quella che balza alla mente di fronte agli ultimi episodi che ci ha servito la telenovela della politica italiana.
Il redivivo D’Alema che arringa una piccola folla di reduci spiegando che sarà lui che rottamerà Renzi grazie alla vittoria del no al referendum è stato in sostanza oggetto di frizzi e lazzi da gran parte della stampa e dei commentatori. Non è un bel vedere, perché non fa mai piacere constatare che un personaggio che pure aveva statura e presenza politica si riduce a propinare slogan sul disastro a cui porterebbe una riforma costituzionale che non è poi tanto lontana da quella che lui aveva proposto qualche decennio or sono. Ancor più triste che un uomo che pure sa come funziona la politica si metta a sostenere che sta preparando lui una bozza di riforma, ovviamente molto seria, pronta all’uso per essere approvata subito dopo la bocciatura di quella intitolata al duo Boschi-Renzi. Non induce a lieti pensieri il fatto che D’Alema finisca in compagnia di altri novelli don Chisciotte che ci spiegano come loro hanno in mano il progetto di riforma adatto che, leggi tutto
Una stabilizzazione impossibile?
Il problema più grave che ha la politica italiana in questo momento è l’incapacità di trovare una qualche forma di stabilizzazione, almeno nel breve periodo, cioè sino alla scadenza naturale della legislatura nella primavera del 2018. Non si tratta di rincorrere l’utopia del vogliamoci tutti bene, che è senza senso, quanto di misurarsi con l’orizzonte turbolento che abbiamo davanti.
La stagnazione economica è un serio problema e non vale mettersi a discutere se qualche decimale in più del PIL ci autorizzi a proclamare che ci sono stati anni in cui andava peggio. Quella finisce per essere una magra consolazione, perché tutti sanno che la ripresa è figlia di un sentimento se non proprio di fiducia, almeno di atteggiamento positivo verso l’avvenire. Ed è proprio quello che oggi manca, sia a livello di opinione diffusa sia fra gli operatori economici, restii ad investire soldi (che pure ci sono: basti pensare ai depositi bancari e affini) in nuove iniziative di sviluppo.
Del resto il quadro di quello che una volta si definiva “lo spirito pubblico” non è dei migliori. Ogni giorno emergono comportamenti a dir poco sconcertanti a livello di società nel suo complesso. La tragedia del terremoto ha scoperchiato la realtà di amministrazioni che gestiscono in maniera a dir poco dilettantesca le risorse disponibili, leggi tutto
Una nuova fase politica?
Il terremoto non ha solo squassato un pezzo d’Italia: può darsi che abbia rimesso in moto una politica che rischiava di isterilirsi nel bizantinismo di un dibattito di corto respiro sul referendum costituzionale e sul significato che poteva assumere.
Il quadro che i prossimi mesi ci mettono davanti non è esattamente idilliaco. Quasi tutti gli istituti e i centri di ricerca concordano nel prevedere che continui la stagnazione economica e la stessa percezione dell’opinione pubblica va in quella direzione. Sul fronte internazionale le previsioni segnano peggioramento. La politica turca sempre più arrembante, il grande risiko che sembra muovere la strategia di Putin, la situazione libica che non trova soluzione, per non parlare dei molti focolai di tensione accesi qua e là nel mondo, ci mettono nell’incertezza sui possibili sviluppi dell’equilibrio internazionale. I riflessi di questo sulle dinamiche delle grandi migrazioni sono intuibili.
L’Europa entra in una delicata fase in dipendenza di scadenze elettorali l’anno prossimo in Francia e in Germania e anche questo non è un dato da sottovalutare. Significa una ulteriore complicazione nel gestire la già ingrippata macchina dell’Unione Europea. Aggiungiamoci l’appuntamento di novembre con le elezioni presidenziali americane.
In quest’ottica la politica italiana deve valutare quanto convenga proseguire sulla via di ridurre tutto alla sfida pro o contro Renzi, leggi tutto
La politica d’autunno
Anche se la ripresa vera e propria dell’attività politica tarderà ancora una decina di giorni si intravvedono le prime mosse su quelli che saranno i posizionamenti in vista di ciò che si preannuncia come la grande battaglia d’autunno. Al suo centro ci sarà, come ormai sanno tutti, il referendum sulla riforma costituzionale e il suo esito, ma le prospettive sono diverse da quel che si prospettava all’inizio dell’estate.
La situazione nel PD dovrà per forza di cose trovare un chiarimento. Renzi ha capito che trasformare il referendum in un plebiscito sulla sua persona non lo portava da nessuna parte e di conseguenza sembra avere cambiato strategia. Par di capire che si è messa da parte la prospettiva secondo la quale una vittoria del “no” avrebbe determinato da parte sua una drammatizzazione che doveva spingere alla fine della legislatura. Ovviamente la prima ragione per spiegare il cambiamento è che, come avevano notato vari commentatori, il potere di scioglimento è nelle mani del Capo dello Stato sentiti i presidenti di Camera e Senato (non esattamente due figure che lavorano in sintonia col premier). Ciò significa che in caso di vittoria dei contrari alla riforma le inevitabili dimissioni del governo in carica avrebbero semplicemente aperto una fase di ricerca di soluzioni alternative leggi tutto
Pausa d’estate?
Piena estate con affievolimento quasi totale della presenza della politica: un classico della nostra storia, pur con qualche eccezione. Tuttavia altrettanto classico era il fiorire di provocazioni, uscite estemporanee e cose simili tanto per vedere l’effetto che fa. Si poteva saggiare qualche reazione senza pagare pegno e approfittare del fatto che i giornali, che devono pur riempire pagine, sono più di bocca buona nel selezionare le notizie.
Quest’anno tutto è molto sottotono, almeno al momento. Si potrebbe discutere se si tratti di una strategia studiata nel tentativo di non stancare un’opinione pubblica che già non ama molto i chiacchiericci dei politici, oppure della presa d’atto che “esternare” non porta più di tanto un aumento di consensi. Forse sono presenti entrambe le cose.
Di fatto l’unica novità rilevante parrebbe essere quella dell’incarico a Stefano Parisi di rabberciare in qualche modo Forza Italia. Non si sa se sia veramente il preludio al varo di una revisione della grande alleanza di centrodestra oppure se siamo in presenza di una delle solite giravolte di Berlusconi che lancia e brucia qualche nuovo personaggio giusto per tenere viva la scena. Probabilmente la faccenda può prendere l’una o l’altra piega a seconda delle reazioni che si registreranno all’operazione Parisi. leggi tutto
Riforme costituzionali e transizioni politiche
C’è un intreccio fra le riforme costituzionali (spiegherò l’uso del plurale) che andranno alla prova del referendum e la transizione che sta affrontando ormai da qualche tempo il nostro sistema dei partiti. Le prime cercano di stabilizzare la seconda, mentre quelle determinano la resistenza a quei cambiamenti.
Si è usato il plurale perché la riforma Renzi-Boschi è in realtà il concentrato di alcuni interventi che non sono di per sé strettamente coordinati e che non si collocano tutti sullo stesso piano. Il cuore di questo intervento è nella riforma del sistema del bicameralismo paritario, che certo in parte si collega con l’introduzione di un nuovo sistema elettorale, ma che non può essere ridotto a questo.
La razionalità di fondo, non sappiamo quanto consapevolmente percepita, è di redistribuire la dialettica politica su due fronti senza per questo ridurla alla sola lotta per il mantenimento o la caduta del governo. Un senato privo del ruolo di dare o togliere la fiducia al governo diventerà, se solo la stupidità della classe politica non lo affosserà riempiendolo di personale inadatto al ruolo, una sede d controllo e di dialettica rispetto a varie istanze: la Camera per il suo potere di richiamarne le leggi e di formulare proposte su di esse; alcuni organi dello stato per poteri di intervento diretti nelle nomine (corte costituzionale) leggi tutto
La toppa e il buco
Peggio la toppa del buco: così suona un vecchio detto veneto ed è quanto c’è da chiedersi con la ripresa di fibrillazioni sullo (s)combinato disposto riforma elettorale – riforma costituzionale.
Per un po’ era parso prendesse quota l’ipotesi dello “spacchettamento”, poi era parso tramontasse, ma non si sa, perché ormai si vive di ipotesi buttate lì per vedere l’effetto che fa. Tecnicamente ci si è forse resi conto che la strategia di dividere il quesito da sottoporre agli elettori in tanti sottoquesiti non è che funzioni tanto bene. In primo luogo perché se si accetta il principio, astrattamente concepibile, di chiedere una pronuncia su ogni punto in cui si articola la riforma si dovrebbero fare molti quesiti e gli elettori ne uscirebbero frastornati. Anche in quel caso infatti la cosa più probabile è che su un lungo elenco di quesiti prevalga la presa di posizione generale (ed a priori) per il sì o per il no, sicché si sarebbe punto e a capo. A meno che qualcuno non consideri un possibile successo un voto in massa per la sola abolizione del CNEL.
La possibilità di contraddizioni è dietro l’angolo. Facciamo un esempio facile: si propongono quesiti distinti per decidere se il Senato deve avere o no gli stessi poteri della Camera e se il senato debba o no essere composto da rappresentanti dei consigli regionali. leggi tutto