Come si smonta un partito
Se fosse semplicemente un caso di studio sarebbe molto interessante, ma purtroppo è una faccenda che riguarda il futuro di questo paese. Stiamo parlando del “cupio dissolvi” che sta prendendo il PD a dispetto del fatto che tutti negano di essere preda di quella sindrome (ma, come si sa, in questi casi proprio la negazione ostinata della presenza della malattia è uno dei suoi sintomi).
Il tema fondamentale non è, a dispetto di tutto, né la linea politica né il programma da adottare per il futuro. Sul primo punto nessuno si sgancia dalle fumisterie del destra o sinistra, cosa vuole il nostro popolo, ci capisce o meno, e via discorrendo (ma, a volte, e via farneticando). Sul secondo tutti fanno più o meno l’elenco degli stessi problemi (disoccupazione, diseguaglianze, crescita economica, scuola, ecc. ecc. ecc.), ma nessuno mette veramente in campo una proposta molto precisa su alcuni interventi imprescindibili, fattibili e sostenibili nelle attuali contingenze.
I discorsi generici da qualunque parte vengano lasciano il tempo che trovano. Soprattutto non sono in grado di risultare veramente competitivi con le proposte “sociali” che ormai fanno tutti, incluso il centrodestra. Si veda l’ultimo proclama di Berlusconi che promette anche lui interventi sociali a man bassa senza dire dove mai troverà le risorse. leggi tutto
PD: più divisioni che visioni
C’era da aspettarselo: la direzione del PD è stata più una sfilata a pro dei rispettivi gruppi di riferimento che un tentativo di confrontarsi con i due temi forti del momento. Oggi si devono capire innanzitutto due cose. La prima è come sia possibile affrontare questo difficile passaggio storico evitando Scilla (il populismo fantasioso) e Cariddi (il populismo reazionario). La seconda è come inventarsi una nuova “forma partito” visto che quella tradizionale non sembra più in grado di offrire occasioni di inquadramento alle forze vive del paese.
Sul primo punto ci sono due variabili che si devono tenere in conto. Innanzitutto c’è il problema di escogitare un sistema elettorale che riesca a responsabilizzare i cittadini, senza tuttavia ricorrere a manipolazioni forzate. E’ quello che ha messo in luce la Corte Costituzionale, senza tuttavia che al momento si veda all’orizzonte una ipotesi di risposta. Questa infatti non può consistere semplicemente nell’inventarsi un qualche sistema elettorale che sulla carta prospetti magnifiche soluzioni. Si tratta piuttosto di trovare la via per costruire la necessaria coalizione che possa consentire l’approvazione di una legge elettorale capace di essere sufficientemente convincente per una larga fascia di elettorato e non semplicemente per i candidati che si aspettano di essere eletti o rieletti. leggi tutto
La Corte non fa supplenze
La pronuncia della Corte Costituzionale sul cosiddetto Italicum segna un momento importante anche se non produce il risultato che la classe politica più o meno apertamente si aspettava, né quello che era nelle mire dei vari ricorrenti e delle corti che avevano accolto le loro istanze.
La Consulta infatti si è sottratta alla richiesta che le veniva fatta di stabilire sia che essa era titolata a fare leggi, fosse pure come compito di supplenza in casi eccezionali , sia che la normativa elettorale sarebbe strettamente deducibile da una interpretazione delle norme costituzionali. E’ stato piuttosto affermato che quelle norme contengono due elementi che il legislatore è tenuto a rispettare: 1) la garanzia di alcuni limiti a tutela di valori che la democrazia giudica essenziali; 2) il raggiungimento di obiettivi che la Carta indica necessari per dare vita ad una democrazia compiuta.
Non sono aspetti banali, anche se andranno opportunamente valutati nel dettaglio (cosa che qui non è possibile). Il primo punto che risulta con forza, anche se non si può dire con completa chiarezza, è la tutela del sistema rappresentativo su cui si basa il costituzionalismo moderno. Qui però la Corte lascia capire che non si tratta di fare della rappresentanza un totem giacobino, a pro di leggi tutto
Come nella vecchia DC?
Si sono sprecate le intemerate giornalistiche, e non solo, contro Renzi che aveva fatto del PD, partito di sinistra, una DC in nuova versione. In quelle tutta l’argomentazione ruotava attorno ad una assai improbabile narrazione sul tradimento di una vocazione “di sinistra” (mitica) per optare a favore di un “moderatismo” centrista. In verità il parallelo PD-DC sembra in questi giorni particolarmente azzeccato, ma non per quelle ragioni intrise delle mitologie post-sessantottine, ma per come è ridotto il partito nato dalla fusione fredda fra superstiti della classe dirigente del vecchio PCI e formazioni nate dalla diaspora dei gruppi dirigenti di formazioni politiche che non si riconoscevano nell’egemonia del partito post-berlingueriano.
L’attuale PD ha oggi ereditato dalla cosiddetta “balena bianca” la natura di partito correntizio, tenuto insieme, non si sa fino a quando, dalle opportunità di governo, ma percorso da lotte intestine senza fine fra capi e capetti, ciascuno con la sua corte di seguaci, pochissimi (a essere ottimisti) con una reale proposta politica capace di confrontarsi con i molti problemi in campo.
Rileggendo in questi giorni il bel libro di Guido Formigoni su Aldo Moro (Il Mulino, 2016) impressiona notare la sorda lotta di potere che percorse il partito più importante della prima repubblica trascinandolo leggi tutto
La padella e la brace
Gran dibattito se convenga andare presto ad elezioni, massimo entro giugno, o far lavorare di più governo e legislatura, minimo fino a settembre, magari fino alla scadenza della legislatura l’anno prossimo. E’ la classica scelta fra la padella e la brace, perché la questione centrale è come si possa gestire una fase molto difficile con una lotta continua fra partiti e capi e capetti dei partiti, lotta che non può non riflettersi sul governo e sulla credibilità del nostro sistema e che in ogni caso non sembra possa cessare.
La congiuntura difficile dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti: sistema bancario in crisi (adesso anche Unicredit, seconda banca, è in difficoltà), disoccupazione che non si riesce a contenere, ripresa che non decolla, richiesta della UE di una manovra di bilancio che rispetti le regole comunitarie. E tacciamo dell’emergenza terremoto. Non bastasse, si presentano alcune condizioni internazionali di cui sarebbe opportuno tenere conto. Non ci sono solo le incognite dell’avvio della presidenza Trump e delle turbolenze per l’avvio della Brexit, che già non sarebbero poca cosa. Le due tornate elettorali in Francia e in Germania sono altrettanto problematiche perché costringono i sistemi politici di due paesi chiave della UE a tenere conto
La politica e i capponi di Renzo/i
Qualcuno si ricorderà della metafora suggerita dal Manzoni ne “I Promessi Sposi” quando descrive Renzo che va dall’avvocato Azzeccagarbugli portandogli in dono quattro capponi che tiene in mano stringendoli per le zampe legate insieme e a testa in giù, con le povere bestie “ le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”. Se Manzoni avesse in mente una riflessione generale sull’umanità o alludesse all’incapacità degli italiani di far causa comune per il loro futuro è materia di discussione. Può essere che siano vere entrambe le cose. Certo la metafora, nell’uno e nell’altro senso, è più che mai valida oggi.
La politica italiana è messa di fronte ad una situazione quanto mai complicata, ma le forze politiche che dovrebbero governarla assomigliano davvero ai famosi quattro capponi: sia perché stanno a testa in giù e sono nelle mani di una congiuntura piuttosto difficile, sia perché in queste condizioni pensano solo a beccarsi fra loro.
L’elenco delle nostre difficoltà è sempre quello e la cosa potrebbe risultare noiosa, non fosse che invece dovrebbe preoccupare proprio il fatto che non si riesce ad archiviarlo. Monte dei Paschi e le banche sono sempre lì, così la nostra debole situazione nel contesto UE, leggi tutto
Una fase complicata
Non è un momento facile per la politica italiana, sebbene guardando alla situazione da un altro angolo di osservazione la si potrebbe ritenere molto più tranquilla di quanto si prevedeva agli inizi di dicembre. Se infatti ci limitiamo a considerare l’avvio del governo Gentiloni, non possiamo far a meno di notare che esso non è, almeno per ora, né la fotocopia o l’avatar del governo Renzi, ma neppure un esecutivo fantasma messo lì solo per scaldare la sedia. Con tutti i limiti che gli impone la contingenza, Gentiloni e i suoi ministri chiave (su altri è opportuno stendere un velo pietoso) stanno assolvendo in maniera più che dignitosa il compito di gestire la “amministrazione” (e in qualche caso “il governo”) di una delicata fase di passaggio.
Infatti il tema centrale è proprio dato dalla precarietà in cui il paese è immerso circa la ridefinizione degli equilibri politici delle sue classi dirigenti: a cominciare da quelle parlamentari e governative, ma poi a cascata tutte le altre, perché in Italia tutto è connesso.
La prima delicatissima questione che verrà in campo, proprio quando i lettori avranno davanti questo articolo, è la posizione e il ruolo che verrà ad assumere la Corte Costituzionale. Una spericolata scelta delle classi politiche è stata quella di chiederle di scendere in campo dirimendo, leggi tutto
L’enigma Grillo
Se c’è una cosa che va riconosciuta a Grillo è un certo fiuto politico: sarà anche quello del demagogo, ma sempre di fiuto politico si tratta. Così all’inizio di un anno elettorale, con un panorama politico che cerca di ritrovare una sua stabilizzazione, il fondatore dei Cinque Stelle capisce che è di fronte ad un passaggio cruciale e si organizza per affrontarlo.
Come sempre lo fa in modo contorto, anteponendo i colpi di teatro a qualsiasi strategia politica meditata, senza riuscire a proporre un vero progetto che legittimi la sua ricerca di leadership sul paese, ma questo non significa che non agisca in modo da consolidare la sua posizione. Una analisi ravvicinata degli ultimi eventi può aiutarci a capire.
In primo luogo Grillo è tornato in campo in prima persona, consapevole che lui solo è il perno del sistema che ha messo in piedi. I suoi uomini lo imitano malamente, ma nessuno di loro ha la sua capacità istrionica o il suo fiuto nel cogliere gli andamenti della pubblica opinione. Solo lui fa veramente notizia e questo lo obbliga a fabbricarne una ogni giorno, altrimenti le notizie sul M5S finiscono per essere un danno, tanto deboli sono i suoi “portavoce” (quando, peggio, non siano fonte di notizie negative come nell’ormai stracitato caso di Roma). leggi tutto
Un anno decisivo?
I pronostici di inizio anno sono un genere letterario del giornalismo e diventano quasi obbligatori nei momenti di crisi. Prevedere è sempre un esercizio rischioso, ma lo è particolarmente nella sfera politica dove è impossibile pronosticare tutte le variabili con cui si dovranno fare i conti nel corso dei prossimi dodici mesi. E’ invece relativamente facile cercare di analizzare la situazione di partenza, cioè quali sono i problemi sul tappeto e come oggi si preparano, o non si preparano ad affrontarli le forze in campo.
La domanda che domina su tutte è quella che per certi aspetti ha meno a che fare con le questioni strutturali con cui saremo chiamati a misurarci. Ci si chiede infatti se e quando l’Italia andrà al voto.
Più o meno tutte le forze politiche pensano che sia un traguardo a cui si arriverà al massimo entro l’autunno a meno che non intervenga qualche fattore esterno ad impedire lo scioglimento anticipato della legislatura. Si dovrebbe però immaginare qualcosa di molto grave e dunque c’è da augurarsi non sia così, anche perché comunque la legislatura si chiuderà a febbraio 2018, dunque non è che sarebbe risolutivo anche in presenza di gravi turbamenti tirare avanti qualche mese in una situazione ormai evidente di rissa politica generalizzata. leggi tutto
Alla ricerca della pietra filosofale (politica)
Siamo all’ennesimo dibattito per la ricerca di una legge elettorale che rimetta in sesto il nostro disastrato sistema politico. Se ci è consentito, vorremmo dire che si tratta di un dibattito stucchevole che appassiona solo i politici di professione (per l’ovvia ragione che ne va del loro futuro personale), mentre coinvolge molto poco la gente normale che non si raccapezza in astruserie e tecnicismi di cui non comprende le ragioni. Il fatto è che ormai per la classe politica italiana, dalla crisi della prima repubblica in avanti, la questione elettorale è diventata quello che nel medioevo era il tormento per la ricerca della pietra dei filosofi a cui si attribuiva la capacità di trasformare per semplice contatto i metalli vili in oro.
In fondo tutti vorrebbero credere che esista un sistema mirabile grazie al quale si può perfettamente combinare rappresentatività e governabilità, stabilità e mobilità, in modo che il voto degli elettori ci consegni un paese emendato dalle pecche della nostra decadenza politica (che, naturalmente, ciascuno vede nell’impossibilità di diventare “lui” il perno decisore del sistema).
Spiegare che un tale sistema non esiste, né se lo si immagina a prescindere dai vincoli esistenti, né se cinicamente lo si riduce a “porcata” con cui battere gli avversari, leggi tutto