Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
Iscriviti al nostro Feed RSS

Riforme costituzionali e transizioni politiche

Paolo Pombeni - 27.07.2016
Parisi D'Alema

C’è un intreccio fra le riforme costituzionali (spiegherò l’uso del plurale) che andranno alla prova del referendum e la transizione che sta affrontando ormai da qualche tempo il nostro sistema dei partiti. Le prime cercano di stabilizzare la seconda, mentre quelle determinano la resistenza a quei cambiamenti.

Si è usato il plurale perché la riforma Renzi-Boschi è in realtà il concentrato di alcuni interventi che non sono di per sé strettamente coordinati e che non si collocano tutti sullo stesso piano. Il cuore di questo intervento è nella riforma del sistema del bicameralismo paritario, che certo in parte si collega con l’introduzione di un nuovo sistema elettorale, ma che non può essere ridotto a questo.

La razionalità di fondo, non sappiamo quanto consapevolmente percepita, è di redistribuire la dialettica politica su due fronti senza per questo ridurla alla sola lotta per il mantenimento  o la caduta del governo. Un senato privo del ruolo di dare o togliere la fiducia al governo diventerà, se solo la stupidità della classe politica non lo affosserà riempiendolo di personale inadatto al ruolo, una sede d controllo e di dialettica rispetto a varie istanze: la Camera per il suo potere di richiamarne le leggi e di formulare proposte su di esse; alcuni organi dello stato per poteri di intervento diretti nelle nomine (corte costituzionale) o indiretto (formazione della maggioranza nella elezione del Presidente della repubblica); alcuni ambiti che sono riservati alla sua valutazione (legislazione su materie regionali, su normative europee; valutazione della produttività della pubblica amministrazione).

Ad esercitare questi poteri saranno persone che vengono da filiere di scelta che potrebbero essere piuttosto diverse da quelle che attualmente portano all’esercizio della rappresentanza nelle Camere. Non sappiamo ancora esattamente come si configureranno i percorsi di scelta dei futuri senatori, ma certamente inaugurano uno schema nuovo:  sia per la loro dipendenza da competizioni a base regionale (che sappiamo sono governate ormai da logiche variegate e comunque non nel controllo meccanico dei partiti nazionali), sia per il fatto che le designazioni dei senatori seguiranno le datazioni delle elezioni regionali che non si svolgono tutte nello stesso anno. Dunque notevoli elementi di mobilità nell’introduzione di una nuova “classe politica” che sarà concorrente, quanto meno in senso parziale, con quella espressione delle dinamiche dei partiti e movimenti nazionale che si affrontano nelle elezioni per la Camera. Al tempo stesso una classe politica che non potrà avere come obiettivo il far cadere il governo, magari per guadagnarsi qualche poltrona di ministro.

Certamente a complicare il quadro c’è ormai la scelta di una legge elettorale per la Camera che prevede un premio di maggioranza a chi domina la contesa (e questo elemento sembra si voglia mantenere in quasi tutte le proposte di revisione), ma ciò implica che la lotta per tenere in piedi o per far cadere il governo venga ristretta anche attraverso questo strumento.

Ecco spiegato cosa veramente preoccupa quella parte della classe politica attuale (coi suoi addentellati nelle classi dirigenti ad essa collegati) circa lo scenario che andrà ad aprirsi se la riforma costituzionale verrà validata dal referendum. Abbiamo sotto i nostri occhi come tutto il sistema politico sia scosso da sommovimenti ed assestamenti. Non è certo solo il PD che vive la perenne lotta fra i suoi gruppi dirigenti, ben oltre lo schema bipolare dei pro o contro Renzi. Il centrodestra è in fase di avvio di riorganizzazione con la scelta di Berlusconi di favorire perlomeno in fase iniziale l’esperimento di Stefano Parisi che vuole reinventare un centro di tipo neoliberale, lontano dalle suggestioni populiste di Salvini e compagni. Si registra di conseguenza nella Lega un certo sommovimento e il suo attuale segretario sta riducendosi ad un ruolo da showman ormai con scarsa rilevanza politica.

L’estrema sinistra sembra scomparsa dai radar, mentre i Cinque Stelle stanno occupando tutto lo spazio dello scontento sociale e della voglia di alternativa, perché sono in grado di presentarsi come una forza in ascesa e soprattutto in grado di vincere. Che ciò comporti per loro delle fibrillazioni interne e delle revisioni di alcune posizioni acquisite nel loro sistema politico è la riprova di quanto la transizione incida su tutto il panorama politico.

In parallelo ci sarebbero da registrare i sobbalzi e i movimenti nel panorama sfrangiato delle forze centriste sempre più spiazzate da una evoluzione politica che le priva di potere di ricatto e di conseguenza sempre più alla ricerca di qualcosa che le ricostruisca in quella posizione.

Se dunque si tiene presente questo panorama della transizione, che peraltro andrebbe esteso a tutto un parallelo sommovimento che sta interessando i ceti dirigenti sociali, economici, intellettuali, si capisce bene come preoccupino delle riforme costituzionali che mettono il marchio sul cambiamento in atto e gli aprono spazi di intervento. Quel che andrebbe ricordato in parallelo è che quando è in corso una transizione non la si blocca, né la si governa tenendo fermo un quadro pensato per il mondo che ci si sta lasciando alle spalle. Così si può solo complicarla soggiacendo all’anarchismo che è il rischio ricorrente di tutte le prime fasi di una transizione.