Un governo di transizione?
E’ troppo semplicistico liquidare il governo Gentiloni come “fotocopia” o come “avatar” di quello Renzi. La situazione è ben più complessa e proviamo ad analizzarla.
Il primo dato è prendere consapevolezza che è stata rifiutata dalla maggioranza delle forze politiche qualsiasi ipotesi di un governo istituzionale di tregua. Basandosi su una analisi tutta da verificare, quella che vorrebbe interpretare il risultato referendario come bocciatura irreversibile del renzismo, coloro che più o meno apertamente si sono intestati quel risultato hanno ritenuto che fosse conveniente costringere la compagine renziana a continuare a logorarsi al governo. Di qui la sostanziale preclusione ad avere una soluzione che consegnasse il passato alla storia varando una compagine che apparisse e possibilmente fosse al di sopra dei conflitti politici attuali, in attesa che fossero le urne a decidere la nuova geografia politica del potere. Aggiungiamoci subito che questa soluzione non andava bene neppure al premier disarcionato malamente dal risultato referendario.
Si doveva di conseguenza varare un governo politico che avesse a sostegno una maggioranza parlamentare: impresa molto complicata quando si era in presenza del partito di maggioranza relativa dilaniato da lotte interne e perennemente sull’orlo di una crisi di nervi.
Al tempo stesso questo governo doveva apparire come una costruzione solida e non come un tappabuchi tanto per far passare il tempo necessario per tornare alle urne. leggi tutto
E adesso?
Che in democrazia il voto popolare debba sempre essere rispettato come determinante è una ovvietà. Ritenere che sia un metro infallibile per giudicare la bontà o meno di una causa è una sciocchezza smentita dalla storia: vox populi, vox Dei è un aforisma da cui guardarsi. Ma su questo la riflessione è stata più che latitante, preferendo, per spiegarsi il grande successo dei contrari alla riforma costituzionale, rincorrere le spiegazioni più banali: quelle in politichese puntate sulla “antipatia” di Renzi, e quelle sociologiche che hanno attribuito la preponderanza del sì alle zone prospere e quella del no alle zone a più forte depressione economica.
Ci permettiamo di chiamare in campo qualche altro elemento, perché, se davvero il nostro paese vuole uscire da questa prova con qualche guadagno, è opportuno che si lasci alle spalle l’orgia di anticultura che ha connotato la passata campagna politico-elettorale.
Un primo dato da tenere in conto potrebbe essere la singolare posizione di una parte della sinistra che si è buttata a magnificare il consenso popolare al rigetto della riforma marcata Renzi, sostenendo che l’attuale segretario del PD non aveva capito da che parte stava il popolo, giudicato ovviamente sano. Singolare che quando quello stesso popolo votava massicciamente per Berlusconi avesse passato il suo tempo a parlare di una opinione pubblica drogata e manipolata. leggi tutto
Passata la tempesta
Anche se scriviamo questo articolo prima del fatidico 4 dicembre, esso sarà letto anche dopo, quando l’esito del voto referendario sarà noto e si inizierà, speriamolo, a ragionare su come disintossicare il paese dalle droghe e dai veleni che gli sono stati iniettati in questi lunghi mesi di scontri che definire “politici” sarebbe troppo generoso.
Ci permettiamo di richiamare l’attenzione sulle precondizioni che hanno indebolito il sistema italiano rendendolo sin troppo recettivo alla seduzione delle droghe messe in libera vendita in occasione del referendum. Temiamo che senza una presa di coscienza di queste debolezze strutturali non ci sarà ricostruzione possibile: e quella ricostruzione sarà necessaria qualunque sia l’esito della battaglia.
Va di moda cavarsela sempre con attacchi al “populismo” come se si trattasse di un virus importato dall’esterno. Forse è il caso di ricordare che la delegittimazione del nostro sistema ha una storia lunga, costantemente tenuta viva da un complesso di forze culturali che hanno costruito gli stereotipi su cui è attecchito quel complesso di richiami di pancia il cui successo comincia ad impensierire, per fortuna, chi ama ancora ragionare di politica.
Cominciamo dalla questione della “casta”. Dipingere la classe politica come un complesso di corrotti e intrallazzatori non è una invenzione dei grillini. leggi tutto
La politica degli aruspici
L’aruspice, ci spiegano i dizionari, era nell’antica Roma il sacerdote incaricato di esaminare le viscere degli animali sacrificati, in origine per verificarne la purezza, poi per trarre indizi sul futuro. Ci sembra che qualcosa di simile stia accadendo nella politica italiana e non solo: ovviamente non sacrifichiamo più animali agli dei, ma in senso figurato ci diamo da fare per trovare un sostituto alle viscere da esaminare per trarre indizi sul futuro e interpretare la volontà misteriosa di quel nuovo dio che è il sentimento popolare.
Le moderne viscere su cui si esercitano i politici-aruspici sono i sondaggi, le zuffe mediatiche in TV e sui giornali, le analisi che offrono i cosiddetti spin doctor delle più varie scuole. Non sappiamo se siano metodologie che danno risultati migliori di quelli che gli antichi aruspici ricavavano dall’esame delle viscere delle vittime sacrificali. Sappiamo che la moda ha effetti non poco distorsivi.
Oggi sembra che a dominare sia la tesi che l’unica cosa che conta è solleticare la pancia del paese secondo uno slogan che potrebbe essere questo: a populista, populista e mezzo. E’ la scelta che sta cavalcando Renzi, ma è anche quella verso cui si sta dirigendo Berlusconi. Gli altri non sono da meno, leggi tutto
Il futuro che l’Italia non può permettersi
Che la politica sia diventata un circo Barnum autoreferenziale non è una gran scoperta, visto che lo si sapeva da tempo. Tuttavia l’impressione è che in questa fase si stiano passando i famosi limiti. La ragione è che i vari protagonisti dell’ultima fase di questa guerra senza quartiere a tutto pensano meno che alla banale questione che il 5 dicembre sarà “un altro giorno” come si diceva nella scena finale di un notissimo film, cioè che l’Italia dovrà continuare a confrontarsi con i grandi problemi che le pesano sulle spalle. Chiunque sarà il vincitore.
Fra quelli che si sono buttati a fare gli emuli di Trump, quelli che rilanciano sovranismo e antieuropeismo, quelli che sono convinti che comunque vincerà sempre l’italica tendenza al tenere i piedi nel maggior numero di scarpe possibili, c’è un certo campionario di irresponsabilità. Perché bisognerebbe tenere conto di due banali fatti. Se vincesse il sì non per questo saranno immediatamente disponibili i meccanismi nuovi che la riforma mette a disposizione sulla Carta (perdonate il gioco di parole): per rodare e mettere a punto quelli ci vorrà del tempo. Se vincesse il no non avremmo comunque una rilegittimazione dei meccanismi istituzionali di cui oggi disponiamo, perché la maggior parte dei sostenitori di quella partita leggi tutto
Verso il D-Day?
Inutile girarci attorno: non il solo Renzi, ma tutti gli attori della sfera politica italiana hanno deciso che il 4 dicembre sarà il D-Day della seconda repubblica, quella che non ha saputo essere altro che una confusa premessa al cambio di stagione della lunga fase della prima. Curiosamente il referendum costituzionale assomiglia moltissimo a quello del 1946 nella scelta fra monarchia e repubblica.
Lo negano quasi tutti, accettando la narrazione infondata che allora non ci furono spaccature profonde nel paese, ma non fu così. Anche in quel caso la battaglia fu fra chi pensava che le vecchie egemonie si sarebbero conservate scegliendo la continuità della casa regnante e chi credeva che ormai fosse il tempo di aprirsi ad equilibri nuovi, pur fondati sui partiti di massa che anche all’epoca non è che incontrassero proprio i favori generali del pubblico (qualcuno si ricorderà pure del fenomeno del qualunquismo, i cui slogan non sono diversi e lontani da tanta retorica oggi circolante). Naturalmente il contesto era diverso, perché incideva e non poco l’esperienza traumatica della guerra e la vista delle macerie provocate da classi dirigenti che, mettiamola in termini soft, non si erano rivelate all’altezza dei tempi, ma i discorsi opposti sulla catastrofe che sarebbe arrivata con la vittoria della parte avversa abbondarono anche allora. leggi tutto
Sussulti di buon senso?
Ci voleva un terremoto devastante per richiamare la politica italiana ad un po’ di buon senso? Certo non si poteva lasciar cadere l’appello del presidente Mattarella a mettere da parte le polemiche furenti e talora a capocchia sul referendum costituzionale per ritrovare una necessaria unità nazionale di fronte all’enormità della ricostruzione necessaria. In un primo momento è sembrato che tutti si riallineassero, ma ben presto si è capito che non era esattamente così.
Tanto Brunetta quanto Salvini non hanno rinunciato alla solita polemica. Il primo chiedendo che Renzi riconosca i suoi errori e sia più umile (verrebbe da commentare: da che pulpito!), il secondo tirando in ballo la solita storia per cui non bisogna investire sugli immigrati ma sugli italiani (cosa c’entrasse lo sa solo lui). Grillo è stato più abile, perché si è limitato ad assicurare a Renzi il suo appoggio incondizionato contro l’Europa. Anche questa è una posizione discutibile, ma coglie meglio i sentimenti del paese che di fronte a tragedie come quella in corso non apprezza chi cerca di specularci sopra. Una dimostrazione in più che i Cinque Stelle stanno anche iniziando a fare politica e capiscono che la loro posizione attuale di unica alternativa al PD li deve portare ad interpretare un “sentimento nazionale” leggi tutto
Una partita che si sta complicando
Che il referendum costituzionale non sarebbe stato una passeggiata lo si poteva anche immaginare. Era però lecito sperare che tutto fosse contenuto in termini almeno relativamente ragionevoli. Qualche sbavatura sul versante degli irriducibili ci stava. Un’ansia generalizzata di trasformare questa prova in un duello all’ultimo sangue fra la vecchia guardia e un fronte innovatore che troppi vorrebbero schiacciato sul destino personale di Renzi non è una prova di salute da parte del sistema Italia.
Ne abbiamo sentite di tutti i colori e alcune affermazioni tentano di far concorrenza agli autori delle satire televisive: come definire diversamente Berlusconi che si presenta come timoroso di una dittatura dietro l’angolo, o Bersani che preferisce l’alleanza con Grillo a quella con Verdini?
Una modesta riflessione su quel che è accaduto ci ricorderebbe che tutte le riforme che Berlusconi ha cercato di far passare avevano in mente il rafforzamento del peso del premier, sino al punto da sostenere l’introduzione di un sistema presidenziale (cosa che continuano a fare molti sostenitori del no, lui incluso, come prospettiva per il dopo referendum). Una altrettanto modesta consapevolezza delle regole delle alleanze politiche spinge a chiedersi perché mai si dovrebbe preferire l’alleanza con uno che ha la forza per espropriarti della tua leadership leggi tutto
La grande commedia
Non sta bene scrivere: noi l’avevamo detto. Ma è così. Quando si tramuta la politica in una commedia dell’arte, poi è difficile uscire dal ruolo che impone la maschera che si indossa. Arlecchino non può che essere un furbo bugiardo e Pantalone un vecchio avaro e brontolone.
La riunione della direzione PD ha risposto in pieno ai canoni di quelle rappresentazioni. Certo i giornalisti si danno da fare per cogliere qualche sfumatura, qualche impennata, qualche battuta fuori copione, ma alla fine il registro della musica resta quello di sempre. Renzi non poteva mollare, l’opposizione interna nemmeno, i pontieri non sapevano dove ancorare le loro passerelle.
La sostanza della situazione è che diventa sempre più chiaro che il 4 dicembre ci si aspetta di giocare un round decisivo nella partita fra gli orizzonti tradizionali e gli orizzonti nuovi della politica italiana. Non siamo tra quelli che pensano che i nuovi orizzonti siano di per sé orizzonti di gloria: quello si vedrà dopo, se quel round sarà vinto. Quel che appare difficile da contestare è che i difensori delle cittadelle tradizionali non riescono a produrre una visione attrattiva, perché alla fine devono solo propagandare l’arrivo di sventure ipotetiche, grandi o piccole che possano essere. leggi tutto
La politica come gioco d’azzardo?
Imperversa la campagna sul referendum costituzionale e l’atmosfera si carica sempre più di tensione. L’affermazione secondo cui si vorrebbe discutere “nel merito” è una pura cortina fumogena, non solo perché di fatto in pochi la prendono sul serio, ma perché il merito, come si sarebbe detto una volta, è politico.
Detto in parole povere, a nessuno sfugge che il tema centrale finisce per essere lo scontro sulla disponibilità o meno del paese a scommettere su un cambiamento di stagione in termini di equilibri politici e sociali. Il nuovo ordinamento dei poteri proposto dalla riforma Renzi-Boschi segna un cambio di panorama: da un lato perché se approvato attiverebbe meccanismi di selezione della classe politica e di distribuzione dei poteri che costringeranno tutte le forze in campo a ristrutturarsi (inclusi Renzi e i suoi, anche se non sembrano rendersene pienamente conto); dal lato opposto perché l’eventuale bocciatura della riforma porterebbe con sé la delegittimazione di coloro che l’hanno promossa e sostenuta, e dunque una fase di ristrutturazione conservatrice del sistema.
E’ questa contingenza che rende così bollente la questione della legge elettorale. L’Italicum non ha di per sé quell’intima connessione che si immagina con la riforma, perché, tanto per cominciare, potrebbe persino dare la maggioranza parlamentare ad una componente come il M5S che con questa riforma non è affatto d’accordo. leggi tutto