La politica come gioco d’azzardo?

Imperversa la campagna sul referendum costituzionale e l’atmosfera si carica sempre più di tensione. L’affermazione secondo cui si vorrebbe discutere “nel merito” è una pura cortina fumogena, non solo perché di fatto in pochi la prendono sul serio, ma perché il merito, come si sarebbe detto una volta, è politico.
Detto in parole povere, a nessuno sfugge che il tema centrale finisce per essere lo scontro sulla disponibilità o meno del paese a scommettere su un cambiamento di stagione in termini di equilibri politici e sociali. Il nuovo ordinamento dei poteri proposto dalla riforma Renzi-Boschi segna un cambio di panorama: da un lato perché se approvato attiverebbe meccanismi di selezione della classe politica e di distribuzione dei poteri che costringeranno tutte le forze in campo a ristrutturarsi (inclusi Renzi e i suoi, anche se non sembrano rendersene pienamente conto); dal lato opposto perché l’eventuale bocciatura della riforma porterebbe con sé la delegittimazione di coloro che l’hanno promossa e sostenuta, e dunque una fase di ristrutturazione conservatrice del sistema.
E’ questa contingenza che rende così bollente la questione della legge elettorale. L’Italicum non ha di per sé quell’intima connessione che si immagina con la riforma, perché, tanto per cominciare, potrebbe persino dare la maggioranza parlamentare ad una componente come il M5S che con questa riforma non è affatto d’accordo. Non è fantapolitica immaginare che in quel caso, con il non difficile appoggio di altre forze attualmente schierate per il no, sarebbe possibile varare a breve una nuova controriforma istituzionale (o più semplicemente piegare quella attuale in direzioni favorevoli ai nuovi vincitori).
E’ un ragionamento che si sta facendo strada, anche se non se ne parla molto in questi termini, e che spinge in direzione di un cambiamento preventivo della attuale legge elettorale. Non sarebbe impresa difficile, se la politica non fosse ormai ridotta ad un gioco d’azzardo la cui posta è la posizione mediatica dei vari attori e neppure lontanamente l’interesse del paese.
Renzi è nella posizione più difficile: non può difendere a spada tratta l’Italicum (l’impressione è che su questo tema si fidi un po’ troppo dei “tecnici” dei sistemi elettorali) perché è l’arma maggiore in mano a quelli che gridano contro i pericoli autoritari; non può neppure disconoscerlo del tutto perché darebbe spazio a chi lo accusa di essere quello che ci ha provato, ma che alla prova dei fatti ha dovuto fare marcia indietro. Facile via di fuga diventa dunque affidarsi alla volontà del Parlamento, cioè lasciare che la marea di interessi contrapposti che lì stanno produca il risultato di bloccare tutto in un gran polverone.
In definitiva questo va bene anche alla ammucchiata degli oppositori degli equilibri attuali, che non sono capaci di trovare un accordo su un sistema elettorale condiviso, per la semplice ragione che non ne esiste uno che possa dar garanzia a tutti gli interessi confliggenti di cui sono portatori. In astratto un sistema proporzionale potrebbe apparire come favorevole a tutti, ma poi si capisce benissimo che frammentare il parlamento in una miriade di partitini, ben pochi dei quali avrebbero una legittimazione che vada oltre una dimensione clientelare, significherebbe consegnare il paese all’ingovernabilità. Si tenga conto che l’Italia non è il Belgio, dove si può avere instabilità politica a lungo, perché c’è un sistema amministrativo che tutto sommato regge (sembra che ce la facciano persino in Spagna). Il nostro è un sistema sfasciato da questo punto di vista e nell’instabilità e nel ribaltone politico succede di tutto. Roma docet, si sarebbe detto una volta. Adesso non si usa più, ma il rinvio spiega benissimo la situazione in cui verremmo a trovarci.
E allora? Paradossalmente sembra convenire a tutti un congelamento della situazione, che tenga accesi i fari sulla diatriba referendaria in attesa di vedere cosa potrà capitare dopo. Qui il gioco d’azzardo si complica. La scommessa del governo è che una gestione “creativa” della manovra finanziaria (e un po’ di paura nelle conseguenze che produrrebbe l’instabilità) porti alla fine ad un consolidamento di fiducia che si trasmetta al voto referendario. La scommessa delle opposizioni è che la situazione economica continui a peggiorare in modo che il voto referendario dia l’avvio alla rottamazione degli attuali equilibri politici.
Sono per la verità entrambi conti fatti senza l’oste, cioè senza considerare la tenuta dell’opinione pubblica. In entrambi i casi infatti sarà necessaria un’opera di consolidamento e di approfondimento di quel che si otterrà: rendere operante il nuovo sistema politico o rimettere in piedi con diversi equilibri quello vecchio sono operazioni che richiedono una forte presa sull’opinione pubblica e una sua convinta collaborazione. Condizioni difficili da ottenere se si continua a spingere la gente a guardare alla politica come ad una stucchevole partita d’azzardo condotta solo nell’interesse di chi siede attorno al tavolo da gioco.
di Paolo Pombeni
di Arnaldo Testi *