Alla corte di Grillo?
Vanno osservate con attenzione le aperture, più o meno esplicite, che si vanno facendo da vari ambienti verso il Movimento Cinque Stelle. In parte non è fenomeno recente, perché una rete come La7 da tempo ha aperto spazi tanto direttamente con esponenti Cinque Stelle quanto meno direttamente con giornalisti del quotidiano che li accredita. Tuttavia negli ultimi tempi ci sono stati altri episodi, il più noto dei quali è quello relativo al direttore del quotidiano della CEI, ma un po’ meno apertamente se ne sono notati altri.
Non è cosa che debba stupire più di tanto, perché ovviamente una forza politica stimata stabilmente al 30% dei consensi elettorali e che ha conseguito alcuni successi rilevanti deve per forza di cose trovare attenzione e valutazione. Tuttavia in questo caso c’è un dato in più che merita di essere messo in rilievo: la natura sfuggente per non dire ambigua di questa forza consente di prenderla in considerazione per così dire senza sporcarsi le mani. Ad essa ciascuno può attribuire quel significato che più gli aggrada e relegare i punti della sua proposta per lui meno convenienti ad elementi marginali, magari considerandoli frutto di un certo folclorismo e di tanta improvvisazione che ancora è presente in una forza “giovane” e che pertanto può essere perdonata. leggi tutto
Alternativa Berlusconi?
Le riflessioni sul tripolarismo vanno di moda. Ancora oggi per molti disegnano uno scenario di ingovernabilità che dopo le prossime elezioni ci costringerà rapidamente a tornare alle urne. Iniziano ad ingrossarsi però le fila di quelli che pensano ad una soluzione di sblocco con il prevalere di una coalizione di centro destra grazie alle abilità (taumaturgiche?) di Silvio Berlusconi.
Il ragionamento che si fa è più o meno questo, in uno scenario che vuole ragionare per classici blocchi evitando le coalizioni trasversali imprudentemente marchiate come “inciuci”. In assenza di informazioni certe su come sarà la futura legge elettorale, ci sono due ipotesi: la prima è che alla fine si introduca un premio a chi guadagna almeno il 40% dei suffragi (coalizione o lista si vedrà); la seconda è che si rimanga ad un proporzionale sostanzialmente puro. Il Movimento Cinque Stelle in questo quadro è quello messo peggio nonostante al momento sia accreditato dai sondaggi come il partito con la più alta percentuale di consensi. Nel caso di un premio a chi supera il 40% dei voti si giudica improbabile che possa far un salto nei consensi di almeno 10 punti. Nel caso di un proporzionale classico, può risultare il partito più votato, ma siccome si dice indisponibile a coalizzarsi, leggi tutto
Le difficoltà della politica italiana
Sappiamo tutti che ormai gran parte dei media guardano alla lotta politica come fosse uno dei tanti concorsi da sottoporre al televoto, cioè alla consacrazione di chi possa essere più “personaggio” e come tale risultare più “simpatico” (o, diciamola tutta, più utile alla sorda lotta fra gruppi di potere che sta portando l’Italia in una situazione molto difficile). Se si leggevano le cronache della assemblea del PD che doveva validare le candidature alle primarie se ne aveva una netta riprova.
Dire che non si è capito quale confronto politico presentassero è un eufemismo, perché tutto si è concentrato su battute che cercavano di muovere la pancia dei militanti sul discorso piuttosto fumoso con cui si voleva stabilire se il partito avesse abbandonato il “nostro popolo” (Orlando) o se il nostro popolo avesse abbandonato il partito per andare più avanti (Renzi). Qualsiasi persona abituata a ragionare di politica sa che con questi discorsi non si risolverà alcuno dei nostri problemi. Il guaio è che lo sanno anche i due contendenti, che però ritengono di non poter mettere veramente i loro concittadini di fronte ad una realtà difficile.
La cosa curiosa è che quella realtà è già nota a tutti: il paese non ha speranza di andare avanti così, leggi tutto
La politica dei picconatori
Se qualcuno prestasse interesse solo al cicaleccio della classe politica sembrerebbe che il principale problema che ha l’Italia sia Renzi, che si deve decidere se beatificare come unico orizzonte disponibile o bruciare sul rogo (virtuale si spera) come perfido potenziale dittatore che inquina la vita del paese. Chi sta tra la gente non si meraviglia che quasi la metà degli elettori continui ad allontanarsi da questo modo di far politica le cui motivazioni sono più che oscure.
Un debito pubblico che è al 132% sembra non impensierire, così come poca eco suscitano le nuove oscillazioni dello spread che ogni tanto sembra avvicinarsi ai 200 punti (e si dice possa anche arrivare a superarli). Qualche attenzione in più è riservata ai dati della disoccupazione specie giovanile, ma solo per qualche lamentatio di maniera, perché grandi sollevazioni per questa ragione non se ne vedono. Se subiremo o meno un procedimento di infrazione da parte della UE sembra dipendere più che altro dalla determinazione o meno dei nostri ministri di battere pugni sui tavoli (tanto non ci saranno grandi conseguenze, ci viene suggerito).
Il dibattito pubblico è in gran parte dominato dalle zuffe interne ai partiti e da quelle che vanno conducendo fra di loro. Se su queste ultime ci si raccapezza un po’ meglio, leggi tutto
Tafazzi fra i quadri del PD?
L’osservatore che non tifa per nessuno dei contendenti rimane sconvolto a vedere le reazioni di molti quadri del PD per l’esito delle votazioni congressuali nei circoli del partito, tanto da chiedersi se non sia il mitico Tafazzi, quel personaggio che predilige farsi male da solo, il modello a cui essi si ispirano.
I risultati dei circoli possono ovviamente piacere o meno, ma è doveroso chiedersi cosa sia successo anziché perdere tempo a strologare su complotti, forzature e quant’altro. Dovrebbe essere elementare che a non molti mesi dalle elezioni nazionali (ed a breve ad una tornata di amministrative) si facesse una riflessione sul danno che si procura al proprio partito descrivendolo come un’accolita più o meno di venduti e/o sprovveduti, da cui i migliori se ne sono andati e in cui vigono le più spregiudicate tecniche di manipolazione.
Francamente non si vede su cosa possano basarsi queste analisi. Non che nei partiti manchino anche giochi spregiudicati, difficoltà di permanenza per le anime belle e via dicendo, ma è una realtà antica che è esistita da tempo, da cui hanno tratto beneficio anche coloro che se ne sono andati sbattendo la porta (a tutt’oggi senza avere dato giustificazioni più convincenti dell’antipatia per Renzi). Dunque non leggi tutto
Partiti di lotta e di governo?
Lo stereotipo del partito di lotta e di governo viene fatto risalire agli anni Settanta e alla leadership di Berlinguer che voleva avvicinare quantomeno il PCI all’area governativa senza che questo mettesse in crisi la sua immagine di formazione in lotta contro il “sistema”. In verità si tratta di quello che una volta si chiamava “doppiezza” comunista: ai tempi della fondazione del sistema repubblicano e dei governi di larga coalizione, quando Togliatti voleva l’accordo con la DC senza rinunciare al controllo delle proteste di piazza. Si potrebbe risalire ancora più indietro, per esempio alla partecipazione del partito comunista francese ai governi del Fronte Popolare nel 1936, perché sempre si presenta a sinistra il tema di come far convivere la spinta a qualche radicalismo rivoluzionario con la necessità di praticare qualche forma di gradualismo una volta che si entri nella famosa stanza dei bottoni.
Anche qui, per essere realisti, bisogna aggiungere che il tema non va circoscritto ai partiti di sinistra. A suo modo il problema ce l’aveva anche la DC, che dovette più di un volta far convivere le richieste del massimalismo clericale (che portava voti) con l’esigenza di mostrare responsabilità nella gestione dei problemi concreti del paese (ciò che la legittimava rispetto alle classi dirigenti del paese). leggi tutto
Il partito del governo
La grande campagna elettorale in vista delle elezioni del 2018 non conosce tregue, ma che riesca ad infiammare un pubblico che vada oltre le tifoserie dei vari candidati appare quantomeno dubbio. Ci sono naturalmente passaggi intermedi dove si amplieranno gli spazi di raccolta del consenso, ma è tutto da vedere. Non per caso c’è una attesa per vedere quanto mobiliteranno le primarie PD, che sono la prova che più potrebbe, almeno sulla carta, far intuire se e quanto l’opinione pubblica si faccia coinvolgere nello scontro in atto.
Ben più importanti saranno le amministrative, anche se non bisogna dimenticare che sono molto condizionate da fattori di contesto locale. Però verranno compulsate per capire che aria tiri soprattutto per i partiti anti-sistema, cioè i Cinque Stelle e i Leghisti, anche se non è sempre detto che i segnali che si potrebbero cogliere in quella occasione vengano confermati in elezioni che arriveranno più di nove mesi dopo. Soprattutto in un quadro generale in cui non è semplice prevedere cosa ci riserverà il futuro (pensiamo anche solo a questioni come la crisi economica, i flussi di migranti, la questione sicurezza) è molto rischioso esercitarsi in previsioni sulla tenuta o meno delle forze attualmente presenti in parlamento e di quelle che si vanno organizzando fuori. leggi tutto
Renzi e il problema del partito
Ci sono modi diversi di analizzare la situazione attuale in cui versa Matteo Renzi, ma di conseguenza in cui versano anche i suoi avversari. A noi sembra si stia sottovalutando la questione del partito, che non può essere ridotta al folklore degli scontri mediatici.
Nell’analisi della politologia tradizionale, quella che per intenderci faceva capo a Maurice Duverger, c’erano classificazioni canoniche: i partiti si distinguevano in partiti di massa e partiti di quadri, mentre la cerchia di chi faceva riferimento ad un partito era distinta in elettori (coloro che si limitavano a votarlo), simpatizzanti (coloro che dichiaravano pubblicamente la propria scelta elettorale) e militanti (coloro che iscrivendosi formalmente al partito partecipavano alla formazione della sua volontà politica).
Basta ripercorrere queste classificazioni per capire come sia mutata la “forma partito” con cui Renzi deve fare i conti. Innanzitutto il PD secondo un approccio tradizionale dovrebbe essere considerato un partito di massa, mentre ci pare abbastanza evidente che sia ormai un partito di quadri. I nostalgici della “ditta” non si arrendono ed evocano “il nostro popolo” che fa volontariato alle feste di partito, ma ci vuole fantasia per considerare questa pur apprezzabilissima componente come una “massa”, soprattutto con una massa a cui si indirizzano e leggi tutto
La politica della corrida e quella del sopire e troncare
Che succede nella politica italiana? Forse abbiamo esaurito le definizioni e parlare di schizofrenia significa semplicemente tornare su un tema già affrontato in passato. Tuttavia è difficile trovare una definizione migliore nel momento in cui tutto sembra essere immerso nella convivenza di un clima di veleni e di scontri all’ultimo sangue, mentre al contempo sul versante governativo si procede secondo la famosa battuta del business as usual.
La novità relativa sembra consistere nell’avere fissato l’orizzonte temporale per la convivenza dei due contesti: la fine naturale della legislatura. Il premier Gentiloni l’ha annunciato e significativamente l’ha fatto “alla Renzi”, cioè nel contesto di un programma televisivo della domenica pomeriggio, con buona pace di quelli che ancora si affannano a discettare sulla centralità del parlamento. Ha mantenuto il basso profilo, perché in sostanza ha fatto sapere che c’è tanto da fare per tirare avanti la baracca, verità indubbia, ma non ha neppure provato a suscitare un qualche entusiasmo annunciando un progetto pilota su cui chiamare a raccolta il paese.
Sembra di capire che quello è un terreno che Gentiloni lascia in mano alla politica che si prepara al “dopo”. Peccato che prima di quel dopo ci sia da definire la manovra di bilancio, che tutti sanno non potrà essere di ordinaria amministrazione, leggi tutto
Coazione a ripetere
La scissione nel partito democratico farà parte di quelle cose molto difficili da spiegare se si prescinde dagli aspetti psicologici che tengono insieme i raggruppamenti politici.
Dal punto di vista dell’ideologia non si vede bene cosa distinguerebbe l’orizzonte del PD da quella dei “Democratici e progressisti” (DP). Uno dei promotori della scissione, l’on. Speranza, ha detto che consiste nel fatto che il nuovo partito vuole mettere il lavoro al primo posto. Detta così è una affermazione che si ritrova tranquillamente anche nelle prese di posizione del PD, e, per la verità, anche in quelle di partiti del centro destra o nel M5S. E’ piuttosto difficile immaginare che in tempi di democrazia di massa ci sia un partito che afferma di disinteressarsi al problema del lavoro.
Naturalmente si può sostenere che c’è modo e modo di farlo, e ciò è indubbiamente vero, ma è altrettanto vero che DP non ha spiegato al momento in quale modo esso sarebbe in grado di proporre politiche di maggiore successo, né perché queste eventuali ricette se buone dovrebbero essere rigettate dal PD.
Lasciamo ovviamente fuori le lagne su chi è di destra e chi è di sinistra, perché sono autoaffermazioni di legittimità che non hanno alcun senso. Se davvero ci fosse una ricetta semplice ed efficace leggi tutto