Ultimo Aggiornamento:
17 aprile 2024
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Prove di forza in Siria

Khan Shaykhun bombardata

Il 4 aprile nei pressi della cittadina di Khan Shaykhun venne sferrato un attacco con armi chimiche che causò almeno 84 morti e molti altri feriti. La località si trova nella provincia di Idlib nel nord-ovest della Siria, dove si concentra il grosso delle forze ribelli. L'attacco avvenne nel contesto di una dura campagna di bombardamenti in tutta la zona, compresa la distruzione di un ospedale a Ma'arrat al Nu'man, a una ventina di chilometri di distanza che avrebbe potuto salvare alcuni dei feriti.

Dopo la ri-conquista di Aleppo da parte delle forze lealiste a Damasco nel dicembre 2016, la provincia è sotto costante pressione militare, con l'aviazione siriana e russa che bombarda le roccaforti ribelli con l'obiettivo di minarne la coesione e indurli a negoziare degli accordi: questi comportano il ritiro dei ribelli armati, dei loro familiari e il controllo delle forze di sicurezza del governo, o dei suoi alleati. Nei fatti, è un ritiro quasi incondizionato che permette di evitare la sanguinosa battaglia finale, porta a porta, di dividere il fronte dei ribelli e della popolazione, il tutto in cambio della sopravvivenza di questi ultimi. Il risultato è la concentrazione senza precedenti di popolazione e ribelli armati nella provincia rurale e settentrionale del Paese, stretti tra le offensive del Governo e la chiusura del confine a nord da parte della Turchia. Qui, le forze jihadiste, da al-Qaida a quelle più prettamente siriane svolgono funzioni di leadership e coordinamento grazie alle maggiori capacità militari e disponibilità di risorse una volta che i patron esteri, anzitutto la Turchia, hanno ridotto progressivamente il loro appoggio ai cosiddetti "moderati" dall'estate del 2015 in poi.

Sulla base delle testimonianze, i sintomi di attacco col gas nervino sarin sono comparsi subito dopo un bombardamento aereo, a prova dunque della responsabilità del governo di Damasco. Quest'ultimo nega qualsiasi responsabilità e, come il Cremlino, accusa i ribelli di aver costruito un deposito di armi chimiche, poi colpito dall'aviazione. Sebbene le Nazioni Unite abbiano verificato come anche i ribelli abbiano usato armi chimiche in Siria, lo stesso riguarda il governo di Damasco: le forze armate siriane hanno utilizzato armi non-convenzionali in altre occasioni per avanzare nel terreno, o quando i ribelli minacciavano i centri nevralgici del governo, come nell'agosto del 2013 nei sobborghi di Damasco. Tuttavia, in questa occasione, sulla base delle informazioni attualmente a disposizione, Khan Shaykhun non costituiva un obiettivo così rilevante dal punto di vista strategico da rischiare un attacco chimico le cui conseguenze erano imprevedibili e avrebbero smentito l'accordo del settembre 2013 sullo smantellamento dell'arsenale chimico-batteriologico della Siria, di cui la Russia era primo garante. L'unica ratio può essere quella politica: ossia, dimostrare ai ribelli e alla popolazione la determinazione del governo a sconfiggerli con qualsiasi mezzo, e dunque a costringerli alla resa, questa volta, incondizionata; minare il processo politico in corso a Ginevra tra governo e opposizioni che, per quanto lento, difficile e limitato nei risultati, è entrato nel vivo del tema della "transizione" in queste ultime settimane; infine, e non da ultimo, minare il riavvicinamento in corso tra Mosca e Washington per una soluzione politica del conflitto tramite un evento inaccettabile per qualsiasi partner internazionale.

Il successivo attacco militare da parte degli Stati Uniti d'America, il 7 aprile ha colpito la base aerea di al-Shayrat a sud-est di Homs, da cui sarebbero partito l'attacco "chimico" secondo le fonti, secretate, di Washington. L'attacco missilistico è stato limitato e anzitutto simbolico. Infatti, l'aeroporto colpito ha ripreso comunque funzione dopo 24 ore e, per il momento, non ha modificato i rapporti di forza sul terreno della guerra in Siria: le forze lealiste sono comunque in vantaggio, la Russia è il loro garante politico e diplomatico, la guerra contro i ribelli procede nel nord e nel sud del Paese mentre ad est, lungo l'Eufrate prosegue quella contro l'Organizzazione dello stato islamico con il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti d'America. Per quanto simbolico, tuttavia, l'intervento statunitense segnala la volontà di Washington di pesare sul dossier siriano e non lasciare carta bianca alla Russia nella sua conduzione ed eventuale risoluzione: la stessa base di al-Shayrat era utilizzata anche dall'aviazione russa in Siria.

A breve termine, dunque, le conseguenze dell'attacco chimico e di quello missilistico statunitense sembrano aver riportato il quadro del conflitto sui binari dello scontro frontale, e irriducibile: governo contro ribelli, Iran, Hizb'allah e Russia contro Paesi del Golfo, Turchia, USA e NATO. Le dichiarazioni dell'Amministrazione Trump sulla rimozione del Presidente Bashar al-Asad, su possibili nuovi attacchi e sulla responsabilità politica della Russia per la crisi sembrano ribaltare le mosse di collaborazione, rese pubbliche la settimana precedente dalla stessa Casa Bianca. L'attacco, nelle sue tempistiche e modalità "a basso costo", rispondono in parte alla situazione politica interna agli USA: differenziare l'Amministrazione Trump rispetto al predecessore Obama sul tema delle famigerate "linee rosse"; recuperare posizioni nel dossier siriano rispetto a Mosca tramite uno show di potenza militare, quest'ultimo coerente con gli orientamenti strategici dei nuovi responsabili militari, o ex, per la sicurezza nazionale USA. Tuttavia, è plausibile pensare che, per quanto drammatico, l'attacco con armi chimiche a Khan Shaykhun e quello successivo statunitense non modifichino in modo strategico lo sviluppo del conflitto in Siria. Al momento sulla difensiva, la Russia e l'Iran continuano a difendere il governo siriano contro i ribelli e i Paesi Nato ma, una volta trovato un accordo di transizione politica con le opposizioni rimanenti, potranno anche fare a meno della figura di Bashar al-Asad. Gli Stati Uniti d'America continuano a concentrarsi sull'Eufrate contro l'Organizzazione dello stato islamico perché per Washington il fronte siriano è funzionale al recupero dell'Iraq, ben più importante per loro; e continuano a complicare le operazioni russe in Siria in modo da diminuire l'eventuale legittimità politica che Mosca desidera sfruttare in Medio Oriente, in Nord Africa, in Asia e nei confronti della stessa Europa. I Paesi europei non intervengono militarmente in Siria sia perché non ne hanno i mezzi sia perché divisi sulle relazioni da tenere con Mosca: il G7 del 10 aprile dei Ministri degli Esteri a Lucca ha segnato la vittoria della "cautela" sostanziale di Italia e Germania contro ogni ipotesi di sanzione contro Mosca, sostenuta invece da USA e Regno Unito. Il Segretario di stato Rex Tillerson, in visita a Mosca l'11 aprile ha dunque dalla sua parte un intervento unilaterale e la richiesta unanime di una missione investigativa delle Nazioni Unite su quanto successo a Khan Shaykhun, e le relative responsabilità. E proprio su questo punto, le diplomazie russe, statunitensi e internazionali potrebbero convergere. Tuttavia, viste le difficoltà di accesso al terreno, i risultati potrebbero anche attendere la fine politica, e magari negoziata, del conflitto. Dopodiché, i conti verranno saldati all'interno di ogni alleanza.