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Passaggi difficili
Mattarella sta usando troppa pazienza? Chi si pone questa domanda non conosca come funzionano i passaggi difficili della politica. Non si sa ancora in che senso si stia facendo la storia, come piace affermare a Di Maio, ma, pur senza troppa enfasi, indubbiamente ci sarà un giro di boa.
Vediamo il quadro. Innanzitutto ci si sta misurando con la possibilità di un significativo ricambio di classe politica. Può piacere o non piacere, ma al contrario di quel che accadde nel 1994 gli uomini e le donne che stanno cercando di mettere insieme una formula inedita di governo non vengono dalla classe politica che ha presenze al vertice non diciamo nella prima, ma nemmeno nella seconda repubblica. Eppure nel complesso è una compagine che ha raccolto un largo consenso popolare, erodendo a morte il consenso dei partiti-pilastro dell’ultimo ventennio.
Ciò significa che se questi nuovi soggetti non riusciranno a consolidare il loro ruolo è probabile che il loro crollo di credibilità crei un vuoto che genera sconquassi. E’ questa la vera preoccupazione di chi osserva con un minimo di freddezza la situazione dall’esterno, pur senza avere, nella maggioranza dei casi, simpatia per i nuovi venuti. Il ragionamento che si fa è più o meno questo: leggi tutto
Le democrazie e il nuovo "cleavage"
Nei sistemi democratici si è ormai creata una nuova contrapposizione, un "cleavage" che supera - ma in parte potrebbe anche riassumere - le quattro fratture classiche dell'elettorato delineate a suo tempo da Stein Rokkan: fra Stato-Chiesa, centro-periferia, borghesia-classe operaia, élites urbane-élite rurali. Le "nouveau clivage", come lo definisce Jérôme Forquet nel suo recentissimo volume (Ed. Cerf, Paris, 2018), è il protagonista di tre consultazioni popolari storiche come quella del 2016 sulla Brexit, l'elezione di Trump negli Usa, la vittoria di Macron in Francia. In questi casi, ma anche in altre elezioni europee, come per esempio le austriache, è emersa una distanza fra quelle che potremmo definire due "agglomerazioni elettorali": la prima, formata dagli sconfitti della mondializzazione e da chi teme l'aumento dei flussi migratori; la seconda, costituita dagli abitanti delle metropoli "globalizzate" e dai ceti che un tempo si sarebbero definiti "affluenti". Sebbene per certi aspetti questo nuovo "cleavage" sembri riportarci a vecchie contrapposizioni fra classi e ceti, la questione non è semplice. Lo si potrebbe constatare anche esaminando i dati delle recenti elezioni italiane (che Fourquet non ha incluso nel suo studio), sebbene nel nostro paese ci siano peculiarità che rendono meno netta la demarcazione che invece si nota nelle tre consultazioni esaminate dallo studioso francese. leggi tutto
Una crisi di sistema
E’ accaduto quel che tutte le persone di buon senso speravano non accadesse: un gruppo di capi partito ha deciso di mettere in questione anche l’istituzione di garanzia e snodo del sistema, cioè la presidenza della repubblica. Si fa presto a dire che la storia darà un giudizio severo dell’irresponsabilità di queste persone che si baloccano con richiami alla democrazia senza sapere che cosa essa sia e come si governi. Purtroppo le conseguenze di questa irresponsabilità ricadranno su tutto il paese e non è una consolazione scrivere che in un certo senso il paese se l’è cercata facendo prevalere la voglia di dare un calcio ad una vecchia classe dirigente che non aveva saputo trasmettergli la fiducia necessaria in anni di difficile crisi.
Quel che si deve valutare è che l’assennata proposta del presidente Mattarella di chiedere che si metta in servizio un governo “neutrale” per consentire al paese di decidere del suo futuro con una ragionevole riflessione è stata rifiutata da capi partito smaniosi solo di sfruttare quello che credono possa essere il vento favorevole delle sfide spettacolari. Il prezzo però non sarà solo la perdita di importanti scadenze e magari un nuovo sussulto per la nostra economia (e non si tratta leggi tutto
Il voto del Friuli-Venezia Giulia
La discussione circa l'opportunità di attribuire valore di "test politico nazionale" a consultazioni locali ha occupato per due settimane le pagine dei giornali: prima col Molise, poi col Friuli-Venezia Giulia. Forse bisognerebbe chiarire alcuni punti sul tema. Il principale riguarda il differente approccio degli elettori nei confronti di consultazioni di diverso ordine. Un conto è scegliere il rappresentante al Parlamento nazionale, un conto il presidente della regione e il governo locale, un altro conto - infine - il sindaco e i consiglieri comunali. Sono dimensioni diverse sia a livello decisionale, sia a livello politico. Si può dire, anche guardando la differente composizione delle coalizioni (e la moltiplicazione delle liste) che il tentativo di ricondurre ad unità i raggruppamenti è complesso, quando sono molto eterogenei e soprattutto quando sono costituiti da liste civiche o "del sindaco" o “del presidente” presenti su una scheda (per regione o comune) ma non sulle altre (per la Camera, ad esempio). Volendo tentare a tutti i costi una comparazione - pur sempre ardita e poco consigliabile - si potrebbe far riferimento dunque alle coalizioni, ma con moltissima cautela. Il secondo punto riguarda il sistema elettorale: quello per le politiche non ha il voto disgiunto e neppure le preferenze, ma ha il collegio uninominale, leggi tutto
Una politica senza leadership
Definire confusa l’attuale fase politica è un eufemismo. Impantanati nel populismo sparso a piene mani nella lunghissima campagna elettorale che non abbiamo ancora alle spalle, i partiti non riescono a trovare una ragionevole via d’uscita dai risultati prodotti da una legge elettorale cervellotica, rispetto alla quale nessuno si è preso alcuna responsabilità per averla fatta passare. Matteo Renzi nel suo show al programma di Fazio ha rivelato di essere succube di quel populismo che vorrebbe denunciare negli altri, quando ha continuato a ripetere la favoletta dei vincitori e dei vinti e delle responsabilità di fare il governo che dovrebbero toccare ai primi mentre i secondi devono fare l’opposizione.
E’ curioso che nessuno ricordi che in democrazia gli elettori votano perché ogni deputato concorra a rappresentarli nel formare l’indirizzo del governo del paese: se lo farà entrando in una maggioranza che esprime un esecutivo, o in un lavoro di critica dialettica a quanto farà un esecutivo di cui non fa parte, o in altri modi (non è detto che non si possa a volte concordare e a volte dissentire) non è determinato dalla conta dei voti nelle urne, ma dal contesto della politica parlamentare. Varrebbe la pena di ricordare poi che quella dovrebbe avere un leggi tutto
Appunti sulla crisi di governo
Questa lunga crisi di governo sta mettendo alla prova, oltre alle capacità di ascolto e mediazione del Capo dello Stato, anche la pazienza degli elettori. Tuttavia, è stata ed è l'occasione per portare alla luce alcuni aspetti poco valutati dall'opinione pubblica. Il primo è il ruolo del Quirinale. Ogni presidente ha il suo stile, ma il compito del Presidente della Repubblica è - in casi come questo - unico e insostituibile: si tratta di essere al tempo stesso notaio, arbitro, tessitore, facilitatore di intese, difensore delle istituzioni (e, di conseguenza, attivo nel sollecitare le forze politiche ad assicurare il buon funzionamento del sistema). Prima delle elezioni - e in questi giorni - qualcuno ha talvolta voluto strattonare l'arbitro, cercare di indurlo a prendere decisioni, non suggerendole ma anticipandole e pretendendole. Un buon arbitro deve sopportare, ascoltare, se necessario far valere la propria autorevolezza e infine la propria autorità, nell'interesse del Paese. Anche se non eletto direttamente dal popolo, il Capo dello Stato non ha bisogno di mettere la spada di milioni di voti sul piatto della bilancia: è una cosa che possono provare a fare, col dovuto garbo istituzionale, i vincitori, sempre che i numeri siano davvero tali da permettere loro di realizzare i desideri e le promesse fatte leggi tutto
Chi semina vento …
Chi semina vento raccoglie tempesta, recita un tradizionale detto popolare. Le prove sulla saggezza di questa asserzione non mancano e diremmo che anche nelle circostanze attuali se ne hanno conferme.
Partiamo da una osservazione forse estemporanea, ma probabilmente no. Si dice che Silvio Berlusconi abbia manifestato irritazione perché varie trasmissioni delle sue TV sono campioni nella diffusione della mentalità populista. Verrebbe da commentare: meglio tardi che mai. Si scopre però che questi talk show saranno forse ridimensionati, ma con cautela, perché sarebbe controproducente offrirsi agli attacchi inevitabili di chi vi vedrebbe una censura contro gli umori del popolo. Berlusconi del resto dovrebbe ricordarsi che quanto a cavalcare gli animal spirits della gente non è stato secondo a nessuno. Certo gli è successo – ma era inevitabile - come all’apprendista stregone che non è stato capace di tenere sotto controllo gli spiriti che ha evocato.
Il fatto è che il leader e fondatore di Forza Italia non è stato solo in questa corsa. La sinistra, che fa la schizzinosa quando sono meccanismi usati dagli altri, ha una storia lunga in questo settore. La sua presunzione di rappresentare il “partito dei puri” contro i corrotti, fossero i democristiani, i socialisti, o i nuovi partiti sorti dalle ceneri della seconda repubblica, leggi tutto
Crisi, si chiude la "finestra" elettorale di giugno
Il percorso intrapreso in questi giorni dal Capo dello Stato per cercare di sbloccare la crisi sta chiudendo la "finestra" delle elezioni anticipate a giugno. Per votare il 24 - ultima data disponibile prima dell’"esodo" estivo di milioni di italiani - si dovrebbero sciogliere le Camere fra i 45 e i 70 giorni prima del voto, cioè fra il 15 aprile (che è già alle nostre spalle) e il 10 maggio. Considerando la mole di adempimenti, anche restringere l'intervallo a 55 giorni (sciogliendo il 30 aprile) sembra un azzardo, quindi esce di scena una delle ipotesi. È un grosso problema per i partiti, poiché non avere la carta di riserva del "voto subito" apre la strada, in casi estremi, ad un Esecutivo "balneare" che porti il Paese alle urne a fine settembre (con scioglimento delle Camere, perciò, ad agosto). Ma quest'ultima ipotesi potrebbe essere a sua volta poco praticabile, perché il nuovo Parlamento si insedierebbe a ottobre, ci sarebbero altre consultazioni (difficile, infatti, che dal voto-bis emerga una maggioranza netta) e si arriverebbe senza un governo nella pienezza delle funzioni all'appuntamento con le scadenze della legge di stabilità. Ce lo possiamo permettere? Quindi, non solo l'alternativa ad un accordo politico non è rappresentata dal voto a giugno, ma probabilmente è costituita da un leggi tutto
Il sentiero stretto del Quirinale
Fase di stallo quella della politica. Già, ma in attesa di cosa e perché? Queste le domande da farsi, trovando poco credibile ridurre tutto alle impuntature capricciose dei vari personaggi politici (che non mancano, ma che sono solo il contorno).
La risposta sarebbe persino banale: tutto dipende dal fatto che nessuno ha davvero vinto, ma nessuno può ammetterlo. Di conseguenza non è possibile al momento, in attesa di qualcosa che dall’esterno costringa tutti a far finta di trovare un accordo solo per piegarsi a ragioni di salvezza nazionale, avviare una mediazione. Rimane invece che tutti ragionano nei termini di una partita in cui si è combattuta una prima battaglia importante, ma non si è arrivati alla fine della guerra: si dovrà dunque attrezzarsi per la battaglia finale, quella della rivincita per alcuni, o del consolidamento della vittoria per altri.
Il rinvio attuale all’esito delle elezioni regionali in Molise e Friuli è solo un assaggio della convinzione che “la guerra continua” e che dunque ogni battaglia serve per consolidare posizioni e fornire premesse sull’esito finale dello scontro. Non che consideriamo la cosa come una prospettiva intelligente, ma questo è, e conviene prenderne atto, capendo che tutti agiscono in vista di una legislatura che prevedono breve e leggi tutto
I limiti della tecnica, il ruolo della politica
Dopo il voto del 4 marzo, nel corso della crisi di governo, si è ricominciato a parlare di riforme elettorali. L'assunto di base è che per assicurare governabilità al Paese è necessario che un partito (o una coalizione omogenea) consegua la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere. Se l’ingegneria elettorale - come vedremo - non è una panacea, anche l'obiettivo sembra poco centrato. Come abbiamo visto nello scorso intervento su Mentepolitica, dedicato alle crisi di governo e alla loro durata, la permanenza in carica di un Esecutivo non corrisponde necessariamente (alcune volte, quando "si tira a campare", non corrisponde affatto) ad una maggiore efficacia delle politiche. Inoltre, la storia (anche della Seconda Repubblica) dimostra che persino con un numero di seggi ben superiore alla maggioranza minima si possono susseguire tre o quattro governi (più o meno basati sulla stessa coalizione di partiti) nel giro di una legislatura. Dunque, il premio (esplicito, come quota fissa di seggi in più o implicito, come meccanismo di sovrarappresentazione dovuto, per esempio, all'assegnazione di pochissimi seggi per circoscrizione senza recupero dei resti) non assicura un governo di cinque anni; quest'ultimo, poi, non garantisce una maggior efficacia delle politiche dell'Esecutivo. In pratica, sembra che il meccanismo (il premio, la durata in leggi tutto