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Argomenti

Verso il test regionale del 2019

Luca Tentoni - 12.01.2019

Fino a qualche tempo fa, le elezioni regionali (quelle delle regioni a statuto ordinario, s'intende) erano concentrate negli anni che finivano col cinque (1975, 1985, 1995...) o con lo zero (1970, 1980, 1990...). Ora sono disperse e, aggiungendosi ai rinnovi dei consigli delle regioni a statuto speciale, finiscono per costituire importanti test elettorali annuali. Nel 2019 si voterà in Abruzzo (10 febbraio), Sardegna (24 febbraio), Basilicata (26 maggio), Calabria ed Emilia-Romagna: tutte regioni guidate da "governatori" del centrosinistra (e nelle quali - come è facile prevedere - il Pd non riuscirà a "fare il pieno" come la scorsa volta). Fra la fine del 2017 e il 2018, invece, si è votato in Sicilia, Molise, Lombardia, Lazio, Val d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia e nelle province di Trento e Bolzano: in tutto, sette regioni (tre ordinarie e quattro speciali) contro le sei del 2019 (cinque ordinarie, una speciale). Il corpo elettorale della tornata 2018 è stato di poco inferiore ai venti milioni di aventi diritto. Quello che ci attende è un test compiuto su un campione di popolazione più ristretto, ma comunque significativo. Lo scopo di questa riflessione è cercare di vedere se, nel confronto fra il voto regionale del 2018 (più la Sicilia 2017) e quello politico del 4 marzo dello stesso anno ci sono differenze rilevanti e se ci sono comportamenti strutturali dell'elettorato, in relazione leggi tutto

La politica dell’immaginario

Paolo Pombeni - 09.01.2019

Superata la boa del varo della legge finanziaria, arrivano al pettine tutti i nodi di una politica che è un incredibile impasto di immaginario e cinismo. Difficile che potesse andare diversamente.

I Cinque Stelle si misurano con la differenza siderale che passa fra una politica da rappresentare su un palcoscenico, reale, mediatico o digitale che sia, ed una da realizzare nel concreto delle situazioni storiche. Un po’ di cultura non guasterebbe, ma se non c’è bisogna limitarsi a prenderne atto. Quasi tutte le proposte dei pentastellati hanno in mente un mondo immaginario in cui basta volere le cose buone (o presunte tali) perché possano dare a cascata buoni frutti. L’idea che la natura umana sia un po’ più complicata non li sfiora, al massimo prevedono pene severissime per chi si permettesse di non comportarsi secondo la loro visione. Che poi queste pene, sempre per via del principio di realtà, non solo siano difficili da applicare, ma anche poco dissuasive non importa. Avessero letto a scuola “I Promessi Sposi” saprebbero come minimo che esiste il precedente delle “grida” seicentesche su cui opportunamente attirava l’attenzione il Manzoni.

Il massimo livello dell’immaginario si è raggiunto con la proposta di riforma costituzionale per l’introduzione di un leggi tutto

L'"altra Italia" di Mattarella

Luca Tentoni - 05.01.2019

Il discorso di fine anno del Capo dello Stato ha stupito molti ascoltatori e commentatori per le argomentazioni e i toni "controcorrente" usati da Mattarella. Alcuni si aspettavano un cenno di risposta alle ingiurie, alle accuse immotivate che gli sono state mosse durante la gestione della più complessa crisi di governo del Dopoguerra. Se il presidente avesse replicato, avrebbe finito per rinfocolare polemiche, per accentuare attriti. In pratica, avrebbe dovuto rinnegare quel messaggio di unione, di ricerca dello stare insieme e di ricostruire le ragioni della comunità che invece ha affermato nel discorso di fine anno. Ha invece marcato la diversità di una comunicazione tradizionale ma non formale. Ha per un momento fatto tornare in primo piano il Paese che non vive di odio e di costruzione di paure e di nemici, ma l'Italia che ogni giorno si riscopre unita per superare le difficoltà e mettere le proprie grandi risorse umane, relazionali ed economiche a disposizione degli ultimi, dei dimenticati. Il filo del discorso di Mattarella è lineare. Lo si ritrova in tutti i principali momenti del messaggio agli italiani: l'accenno alla semplicità dell'appuntamento di fine anno che stride con la compulsiva attività dei politici (e di molti altri) che ormai leggi tutto

Euro ed UE: un anno di tregua

Gianpaolo Rossini - 22.12.2018

Il sofferto via libera della Commissione Ue alla manovra finanziaria italiana per il 2019 è arrivato dopo estenuanti trattative e con costi molto alti per il bel paese. Il peso maggiore finora pagato è quello dovuto allo spread salito da circa 120 punti prima delle elezioni del 4 marzo agli oltre 320 dei giorni di maggiore tensione della trattativa con le autorità europee a novembre. Si tratta di un aggravio dei conti pubblici che si aggira intorno ai 3 miliardi l’anno ma che potrebbe salire a cifre ben più alte, se lo spread non ritornasse verso quota 100 abbastanza velocemente. La manovra ha comunque dimostrato che il governo non intende né oggi né in futuro rompere con UE ed euro. Ed è forse questo il segnale un po’ rasserenante per i cittadini italiani e per i “mercati”. Questi ultimi, non dimentichiamolo, non sono un’entità globale lontana e minacciosa, come qualcuno nel governo crede, ma sono cuciti anche nei portafogli degli italiani. Le cui scelte di investimento finanziario, o più semplicemente di risparmio, hanno un peso non indifferente nella determinazione dello spread. Lo abbiamo visto in occasione di una asta di BTP di alcune settimane fa riservata ai risparmiatori italiani il cui insuccesso ha dato un segnale particolarmente negativo ai leggi tutto

Il meraviglioso mondo giallo-verde

Paolo Pombeni - 19.12.2018

Come previsto da più parti, noi inclusi, alla fine di mesi di scontro con Bruxelles si è ripiegato su una manovra che prevede un punticino in più di quel che aveva proposto inizialmente il ministro Tria che aveva chiaro il quadro di quel che si poteva negoziare con la Commissione Europea: lui aveva previsto 1,9%, si chiuderà al 2,04 (in cui lo 0,4 è un trucchetto comunicativo per fingere che non si è ceduto del tutto). Non torniamo a ribadire che la faccenda ci è costata più di un miliardo in interventi sui nostri titoli di debito pubblico, perché ormai lo sanno tutti.

Non ci stupiamo che nonostante tutto Salvini e Di Maio facciano buon viso a cattivo gioco: è quel che più o meno i politici fanno sempre. Le incognite a questo punto sono due: cosa succederà in parlamento e cosa succederà quando la gente farà i conti con il risultato pratico di questa manovra, che viene presentata come meravigliosa.

Il primo punto è ambiguo. Detto banalmente, il governo presenta la manovra come un programma che si deve prendere a scatola chiusa: non c’è spazio per una discussione in commissione al Senato, bisogna fare in fretta e poi votare in Aula dove si metterà la fiducia. leggi tutto

I capponi di Renzi

Stefano Zan * - 15.12.2018

La cosa più singolare delle dinamiche congressuali del PD è che si ha la netta sensazione che l’unico che si è reso pienamente conto che il renzismo è finito sia lo stesso Renzi.

Per renzismo intendo quel progetto innovativo di modernizzazione del partito e della società italiana che Renzi ha incarnato negli ultimi anni. Che si fosse d’accordo o meno quel progetto ha rappresentato una sfida importante per la politica italiana e innegabilmente ha prodotto anche risultati positivi considerando la pesante crisi economica in cui si è trovato ad operare.

Piaccia o non piaccia e per una molteplicità di ragioni, quel progetto è fallito, come hanno decretato gli elettori, e non è più riproponibile. E non c’è dubbio che una parte non marginale delle ragioni del fallimento sia dovuta alla conflittualità interna del partito e alla pesante opposizione che la minoranza interna ha esercitato in tutti i modi fino ad arrivare alla scissione.

Renzi ne ha preso atto mentre buona parte del partito gioca ancora con gli occhi rivolti al passato.

Il PD, attraverso il congresso, dovrebbe “inventarsi” un nuovo progetto, una nuova visione, una nuova strategia, non solo in ragione del proprio fallimento ma anche in ragione dello straordinario successo degli altri che oggi guidano leggi tutto

Forse nel governo si arriverà al dunque

Paolo Pombeni - 12.12.2018

Se la rottura dell’alleanza di governo fra Lega e Cinque Stelle rimane molto problematica non lo è meno la convivenza. Perché ce la si può anche cavare per un po’ con rinvii, gioco delle parti, fumoserie retoriche, ma poi viene il momento che qualcuno o qualcosa presenta il conto.

La costrizione a rivedere una manovra economica che tutte le persone un minimo informate sapevano essere insostenibile può solo fino ad un certo punto essere nascosta nelle nebbie delle acrobazie sui numeri e sulle scadenze: anche se forse la massa dei cittadini può non avere compreso del tutto che facendo scivolare in avanti il reddito di cittadinanza o rendendo problematica l’adesione immediata alla famosa quota 100 per i pensionamenti se ne depotenziano gli impatti sul bilancio dello stato, rimane che l’avvicinarsi della scadenza delle elezioni europee costringe i due azionisti del governo a chiarire le loro posizioni.

Salvini sembra avere già fatto una scelta abbastanza precisa: continuare sul terreno propagandistico mescolando l’agitazione dei consueti argomenti contro il pericolo dell’immigrazione irregolare, contro i burocrati europei e a favore di un certo tradizionalismo e contemporaneamente offrirsi come un riferimento indispensabile per frenare le pulsioni avventuriste sull’economia intesa in senso ampio (dalle grandi opere alle tasse leggi tutto

I testimoni dei "passi perduti"

Luca Tentoni - 08.12.2018

In democrazia, il ruolo della stampa è essenziale. Quello del giornalismo politico e parlamentare lo è, se possibile, ancora di più. Spiegare - da analisti o editorialisti - o raccontare - da cronisti - ciò che avviene nelle stanze del potere è un modo per dare all'opinione pubblica le informazioni necessarie per giudicare i propri rappresentanti nelle istituzioni. Dal resoconto di una banale seduta d'Aula o di Commissione (che talvolta può rivestire un'importanza fondamentale per una categoria di persone interessata al testo che si discute) al "retroscena" (ormai diventato un genere a parte, a volte un po' romanzesco), il giornalismo politico-parlamentare offre al lettore molti strumenti e informazioni utili. Ciò che si è spesso sottovalutato, però, è che gli articoli, così come i libri di memorie dei giornalisti parlamentari di lungo corso, finiscono per diventare materiale per gli storici. Episodi della "quotidianità politica", dei rapporti umani dei personaggi di primo piano, possono spiegare decisioni, reazioni, prese di posizione. Inoltre, persino le "veline" (ciclostilati di 4-5 pagine che tracciavano le linee principali della giornata politica: la più importante era quella di Vittorio Orefice, durante la Prima repubblica) sono reperti da analizzare, non solo per il contenuto, ma per lo stile, per la selezione degli eventi e la trattazione degli argomenti. leggi tutto

Il populismo, i nodi e le bandierine

Paolo Pombeni - 05.12.2018

Sono venuti al pettine i nodi della situazione politica che voleva promuovere il governo giallo-verde? Per certi aspetti sì e per altri no. È tipico di qualsiasi contesto populista e di questa specificità si fatica a rendersi conto.

La prima fase è stata quella delle “bandierine”, cioè di una sfilata infinita di prese di posizione intorno a slogan la cui sostenibilità quanto a traduzione in misure concrete non era mai stata studiata. Tuttavia l’importante per i due partiti al governo era far sapere forte e chiaro che loro avrebbero provato ad andare all’assalto alla baionetta delle trincee dell’odiato sistema. L’impresa si è risolta in una strage degli assalitori? Non importa, cade la carne da cannone come da manuale, i generali sbandierano l’eroismo di aver gettato il cuore oltre l’ostacolo.

Poi è arrivata la seconda fase, che è quella in cui si deve valutare se vale la pena di rinunciare a tutto quel che si è guadagnato (le poltrone governative) per il gran gesto di immolarsi sul campo di battaglia. Anche qui come nella più classica di queste storie si è riscoperta la virtù della ritirata strategica, che però tale è se viene sempre spacciata appunto come strategica, cioè, nell’immaginario che si vende al popolo, arretro per prendere nuovo slancio nell’attacco. leggi tutto

La "vox populi" del 4 marzo

Luca Tentoni - 01.12.2018

Al termine della rassegna dedicata in queste settimane da Mentepolitica ai volumi che hanno spiegato il voto del 4 marzo, ci occupiamo di "Vox populi" (Il Mulino), il libro dell'Itanes sul "voto ad alta voce" del 2018. Per introdurre l'argomento, tuttavia, ci sembra opportuno un richiamo alla campagna elettorale che ha preceduto l'appuntamento con le urne. Lo spunto più interessante ci giunge dal saggio di Giovanni Diamanti ("Una campagna-lampo al tempo della campagna permanente") per il volume "Una nuova Italia" (di Cavallaro, Diamanti e Pregliasco, edito da Castelvecchi). Secondo Diamanti, la campagna elettorale del 2018 è stata caratterizzata da "poche innovazioni, pochi colpi di scena, poca originalità. È stata un'agenda mediatica dominata, ancora una volta, dalle tematiche dell'immigrazione e della sicurezza", come vedremo approfondendo gli esiti del voto e le motivazioni. Su questi argomenti, "il centrosinistra sceglie di non inseguire il centrodestra, non solo perché gli elettori, fra due proposte simili, scelgono sempre l'originale, ma perché su questi temi la credibilità del centrodestra è nettamente superiore"; sull'economia, invece, "il centrosinistra e il M5S sono più competitivi, ma il Pd non ha trovato il tempo e la forza di imporre i propri temi, un problema dovuto anche a errori nella definizione delle priorità" oltre che - aggiungiamo noi - leggi tutto