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Appunti sulle elezioni europee, a otto mesi dal voto
Alla fine di maggio del 2019, gli italiani saranno chiamati per la nona volta ad eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo, ma forse sarà la prima occasione, a quaranta anni dal voto del ‘79, per esprimere davvero un'opinione sull'Europa. È vero che in passato ci furono momenti di grande coinvolgimento, come appunto il voto del 10 giugno 1979 (una settimana dopo le elezioni politiche: fu la prima prova di partecipazione popolare - con un'affluenza dell'86,1% sul territorio nazionale - alla vita di quella che allora era la CEE) e quello del 18 giugno 1989 (col contemporaneo referendum consultivo pro-Europa, che ebbe un sì plebiscitario), ma è anche vero che gli italiani hanno sempre utilizzato le "europee" per esperimenti politici (voti "in libera uscita": nel 1979 verso Pli e Radicali, nel 1984 verso il Pci in memoria di Berlinguer, nel 1989 verso i Verdi e la Lega lombarda, nel 1994 portando Forza Italia al 30%, nel 1999 premiando i Democratici di Prodi e la lista Bonino, nel 2009 rafforzando l'Idv dipietrista e nel 2014 facendo arrivare il Pd di Renzi al 40,8%), considerandole appuntamenti poco importanti. Lo scarso interesse verso il voto europeo è stato testimoniato dal crollo della partecipazione popolare, più marcato rispetto a quello delle politiche: nel 1979, il 3 giugno, l'affluenza alle urne per il rinnovo della Camera dei leggi tutto
Una politica che ribolle
Le inevitabili fibrillazioni intorno alla preparazione della legge di bilancio mettono sotto i riflettori la fase magmatica della nostra politica. Non ci sono situazioni stabilizzate perché non si capisce bene cosa riservi il futuro: nessuno è veramente in grado di fare previsioni. In questa situazione tutti vagano alla cieca, menando fendenti all’aria con il rischio, anzi quasi la certezza di finire per colpire sé stessi e i propri amici.
La questione essenziale per i partiti vincitori della competizione dello scorso 4 marzo è di trovare il modo di accreditarsi definitivamente come il futuro del paese, almeno nel breve periodo (poi si vedrà). È ormai chiaro che non possono farlo semplicemente mettendo sul tavolo le loro fantasmagoriche promesse elettorali, ma lo è altrettanto che non possono tranquillamente archiviarle. Hanno bisogno di convincere che si farà tutto, ma nei tempi dovuti. Ed è qui che nascono i problemi.
Per accreditarsi come coloro che hanno iniziato un percorso di cambiamento che porteranno a termine nel corso della legislatura avrebbero bisogno di credibilità come uomini di governo e qui casca l’asino. La situazione è piuttosto diversa fra Lega e Cinque Stelle, ma punti di contatto ne esistono.
La Lega ha indubbiamente alle spalle esperienze di governo in regioni importanti dove ha leggi tutto
Un paese bloccato
Altro che governo del cambiamento: oggi l’Italia è un paese bloccato nelle sue contraddizioni che gli impediscono di prendere in mano il problema del suo futuro. Vediamo qualche elemento di questo contesto.
La prima considerazione da fare è che siamo in una situazione in cui manca qualsiasi effettiva possibilità di instaurare una dialettica fra maggioranza di governo e opposizioni. L’attuale esecutivo sa benissimo che non può essere battuto in parlamento, perché ciò presupporrebbe una convergenza fra forze politiche diverse le quali non hanno alcuna compatibilità che consenta loro di unirsi. Non ci sarebbero neppure i numeri, ma se ci fosse la possibilità di un fronte alternativo potrebbe accadere che si staccassero componenti della attuale maggioranza in modo da consentire l’alternativa. In fondo è così che si fanno le rivoluzioni parlamentari. Oggi per qualsiasi componente di M5S o Lega staccarsi dalla casa madre per passare con le opposizioni sarebbe un suicidio. Del resto il PD perde ogni giorno di più attrattività, l’estrema sinistra è un fantasma senza corpo, Forza Italia è una formazione che ormai Berlusconi ha costretto ancora più di prima ad agire unicamente al servizio della conservazione di qualche suo interesse personale (vedi il recente caso della nomina del vertice Rai).
Tuttavia questa condizione leggi tutto
La "centralità" di Salvini
Probabilmente questo è il momento politico più favorevole al leader leghista Salvini. Da un lato, la maggioranza di governo supera il 60% dei consensi (o, meglio, delle intenzioni di voto espresse nei sondaggi); dall'altro, una parte dell'opposizione (Forza Italia e Fratelli d'Italia) si prepara a quella che potremmo definire una "non belligeranza" nei confronti dei provvedimenti dell'Esecutivo (ma solo di quelli di marca leghista). Nel frattempo, quel che resta dell'opposizione parlamentare ha consensi e seggi di scarso peso (Leu, Più Europa) oppure versa in una profonda crisi d'identità (il Pd, sul quale non si può neppure formulare un pronostico di sopravvivenza senza scissione di qui a un anno). Il ministro dell'Interno non potrebbe desiderare di meglio. Di fatto, mediaticamente è lui il capo del governo, anche se la realtà è più articolata. Partito col 17% dei voti delle politiche contro il 32% del M5S%, si ritrova "socio di maggioranza" (con un vantaggio che nei sondaggi oscilla fra l'1 e il 3%) dell'Esecutivo gialloverde (mentre i Cinquestelle restano sotto il dato del 4 marzo, con una flessione stimabile intorno al milione di voti). Inoltre, è dominus incontrastato dell'area di centrodestra, che oggi vale circa un 43-44% (30-31% Lega, 13% Fi-FdI-Altri) e che forse si va ricomponendo anche in Parlamento, in una sorta di leggi tutto
La "socializzazione televisiva" del Paese (1954-1969)
Oggi l'esposizione ai mezzi di comunicazione di massa è continua e "facile", perché è a portata di mano, nel nostro cellulare, sul computer o in uno degli apparecchi televisivi di casa. C'è stato un tempo, però, del quale oggi si parla e si scrive pochissimo, in cui - alla sera - c'erano contadini capaci di prendere una sedia e portarla per alcuni chilometri, fino al bar del paese più vicino, pur di andare a vedere la Tv. In quel periodo, in talune zone d'Italia (Sardegna, Sicilia, Puglia, Basilicata e Calabria fino a tutto il 1956) il segnale della Rai non arrivava neppure. La distanza fra i possessori di apparecchi televisivi in casa, di fruitori in ambito condominiale o amicale, di spettatori nei bar (previo pagamento di una consumazione anche minima) non era solo dovuta al costo del voluminoso "nuovo caminetto" degli italiani (e neppure a quello dell'abbonamento, molto più costoso di oggi), ma a differenze sociali, economiche, territoriali, culturali. Le reazioni di fronte ai programmi della Rai del periodo nascente (1954-1969) non sono state mai univoche, ma hanno avuto una stretta relazione con la classe sociale degli spettatori, con i loro gusti. In quel tempo si è "unita l'Italia", hanno detto alcuni. Forse è più corretto affermare che leggi tutto
Il governo della gazzarra
Che l’attuale governo sia un governo che fa “gazzarra” l’ha dichiarato il governatore della Liguria Toti che non può essere considerato un suo nemico. D’accordo, la definizione si riferiva alla specifica problematica della ricostruzione del ponte Morandi, ma è facilmente estendibile allo spettacolo che l’esecutivo, o meglio alcuni dei suoi membri offrono quotidianamente.
La gestione della vicenda dell’Ilva, le invettive di Salvini contro la magistratura non eletta poi ritirate con un funambolico testa-coda, la telenovela sulla chiusura domenicale degli esercizi commerciali, le solite tirate in materia di immigrazione e connesse reazioni internazionali, il pastrocchio sui vaccini, l’annuncio di affidare ad un personaggio di show televisivi il controllo sui concorsi universitari, sono solo alcuni episodi di un elenco che sarebbe facile espandere. Eppure nonostante questi fuochi d’artificio non sembra crollare il consenso del paese verso la maggioranza giallo-verde e, cosa forse ancor più rilevante, al momento la situazione economica tiene.
Qualche interrogativo su questi fenomeni andrebbe pur avanzato. Proviamo a ragionarci, senza pretendere di aprire chissà quali nuove prospettive.
Il consenso tiene perché la maggior parte dell’elettorato è indifferente a quanto fa il governo nel dettaglio. Innanzitutto teniamo conto che, a stare alle rilevazioni, almeno un 30-35% dell’elettorato continua a voler star fuori dalla competizione politica. leggi tutto
Le "bolle" della comunicazione
Pressoché ignorata per gran parte della Prima Repubblica, la comunicazione politica è diventata una delle principali protagoniste della Seconda. Negli ultimi anni, tuttavia, dalla "propaganda" più o meno sofisticata, si è passati ad un approccio doppiamente "personalizzato": in alto, verso la figura del leader, che ha rapidamente oscurato - se non sostituito - quella del partito; in basso, verso i fruitori dei messaggi politici, divisi e classificati da algoritmi in tante classi di "clienti da soddisfare" ma soprattutto da catturare, grazie a tecniche discorsive ed emotive "su misura". L'avvento dei social network non ha creato una tendenza che era già in atto, ma certo ha contribuito ad aumentare e a potenziare enormemente l'impatto della propaganda, la diffusione di informazioni di parte e di notizie spesso al limite fra il verosimile, il fantasioso e l'artatamente falso. Di questo scenario si occupano - da angolature diverse - due recentissimi volumi, uno di Anna Maria Lorusso per Laterza ("Postverità") e uno di Giuseppe Riva per Il Mulino ("Fake news"). La questione della post-verità, sostiene Lorusso "è semiotica, perché ha a che fare con i modi in cui, attraverso le pratiche discorsive, costruiamo la verità (...). Non possiamo pensare il problema delle verità al di fuori delle pratiche discorsive che la producono, leggi tutto
Una frenata retorica
Non vorremmo essere troppo precipitosi, ma forse si assiste ad una frenata del profluvio di intemerate da comizio elettorale. Matteo Salvini ha detto di volersi muovere rispettando nella sostanza gli impegni internazionali dell’Italia, ma soprattutto ha aggiunto che l’ambizioso programma di (costose) riforme va inteso come un programma di legislatura, non come una strategia del tutto e subito. La borsa ha immediatamente risposto positivamente e lo spread è un poco sceso.
D’accordo, non c’è da prestare troppa attenzione alle oscillazioni della borsa che, almeno quando si tratta come in questo caso di movimenti contenuti, sono tranquillamente manipolabili: bisognerà vedere quanto e come dura nelle prossime settimane. Però qualcosa potrebbe voler dire il nuovo realismo sfoderato da Salvini, per quanto con una rappresentazione beffarda e di sufficienza tanto per non contraddire il suo personaggio.
Le interpretazioni possibili sono più d’una, sebbene si debba andare per intuizioni. Soprattutto la svolta è arrivata ancora una volta in solitaria dal “Capitano”, perché giusto il giorno prima il pasdaran leghista Borghi aveva ripetuto il solito ritornello del “chi se ne frega dell’Europa” in risposta al monito alla cautela del ministro Tria, che continuava a voler rassicurare mercati, investitori internazionali e cancellerie della tenuta del sistema-Italia. leggi tutto
L'"altro 11 settembre" e il ruolo della Dc
Per le generazioni meno giovani, la data dell'11 settembre è stata legata a lungo ad un evento molto diverso dall'attacco alle Torri Gemelle di New York (2001): il colpo di Stato in Cile (1973). Gli effetti della tragica fine dell'esperienza di Allende e della "via cilena al socialismo" si avvertirono in particolare in America Latina, ma arrivarono con forza ad interessare anche l'Italia, che nel 1973 era ancora circondata, nel sud dell'Europa, da paesi retti da regimi di destra o dai militari (Spagna, Portogallo, Grecia). Il clima di destabilizzazione e l'ipotesi che - dopo la "suggestione greca" del 1970-1972 - vi fosse il pericolo di una "deriva cilena" fu subito ben presente ai leader politici dei due principali partiti italiani. La Dc e il Pci, infatti, stavano percorrendo il tratto preliminare di un lungo cammino che li avrebbe portati al governo Andreotti della "non sfiducia" (1976), ma erano ancora in una fase nella quale il contesto internazionale (gli USA di Nixon e Kissinger ostili alla politica di Moro; l'URSS che si apprestava a contrastare in ogni modo il nascente "eurocomunismo" di Berlinguer), la posizione di ambienti contrari al "compromesso storico" (non solo in settori imprenditoriali e nella destra, ma anche nella stessa Democrazia cristiana) e la crisi economica leggi tutto
L'incerto destino delle forze tradizionali
La crisi delle “famiglie politiche” tradizionali in Italia e in molti paesi dell'UE non consegnerà la maggioranza del prossimo Europarlamento ai partiti sovranisti, però - com'è stato dimostrato da alcune proiezioni - rafforzerà decisamente il ruolo dei soggetti "anti sistema". In Italia, l'opposizione (dalla quale escludiamo FdI, non solo per l'astensione nei confronti del governo Conte, ma per la consonanza che ha su molti temi con la Lega e con i movimenti della destra sovranista europea) è divisa e disorientata. Forza Italia è costretta a subire l'offensiva di Salvini (che sta sottraendo al partito del Cavaliere molti voti e sembra in grado di intaccare, alla lunga, gli stessi gruppi parlamentari azzurri), ma non può rispondere competendo sullo stesso terreno. Nè, d'altro canto, Berlusconi può puntare tutto sul PPE e sulla "ex nemica" Merkel (la quale, in patria, non sta vivendo un momento facile) e neppure su quella che era una caratteristica forte dell'elettorato italiano, l'europeismo (che però nel centrodestra è sempre stato più flebile che nel centro e nel centrosinistra). Altrove, le cose non vanno meglio: i modelli della sinistra potrebbero essere Corbyn e Sanchez, come a suo tempo lo fu Tsipras (senza contare Podemos o La France Insoumise, ancora meno avvicinabili alla realtà italiana), leggi tutto