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Chi semina vento …
Chi semina vento raccoglie tempesta, recita un tradizionale detto popolare. Le prove sulla saggezza di questa asserzione non mancano e diremmo che anche nelle circostanze attuali se ne hanno conferme.
Partiamo da una osservazione forse estemporanea, ma probabilmente no. Si dice che Silvio Berlusconi abbia manifestato irritazione perché varie trasmissioni delle sue TV sono campioni nella diffusione della mentalità populista. Verrebbe da commentare: meglio tardi che mai. Si scopre però che questi talk show saranno forse ridimensionati, ma con cautela, perché sarebbe controproducente offrirsi agli attacchi inevitabili di chi vi vedrebbe una censura contro gli umori del popolo. Berlusconi del resto dovrebbe ricordarsi che quanto a cavalcare gli animal spirits della gente non è stato secondo a nessuno. Certo gli è successo – ma era inevitabile - come all’apprendista stregone che non è stato capace di tenere sotto controllo gli spiriti che ha evocato.
Il fatto è che il leader e fondatore di Forza Italia non è stato solo in questa corsa. La sinistra, che fa la schizzinosa quando sono meccanismi usati dagli altri, ha una storia lunga in questo settore. La sua presunzione di rappresentare il “partito dei puri” contro i corrotti, fossero i democristiani, i socialisti, o i nuovi partiti sorti dalle ceneri della seconda repubblica, leggi tutto
Crisi, si chiude la "finestra" elettorale di giugno
Il percorso intrapreso in questi giorni dal Capo dello Stato per cercare di sbloccare la crisi sta chiudendo la "finestra" delle elezioni anticipate a giugno. Per votare il 24 - ultima data disponibile prima dell’"esodo" estivo di milioni di italiani - si dovrebbero sciogliere le Camere fra i 45 e i 70 giorni prima del voto, cioè fra il 15 aprile (che è già alle nostre spalle) e il 10 maggio. Considerando la mole di adempimenti, anche restringere l'intervallo a 55 giorni (sciogliendo il 30 aprile) sembra un azzardo, quindi esce di scena una delle ipotesi. È un grosso problema per i partiti, poiché non avere la carta di riserva del "voto subito" apre la strada, in casi estremi, ad un Esecutivo "balneare" che porti il Paese alle urne a fine settembre (con scioglimento delle Camere, perciò, ad agosto). Ma quest'ultima ipotesi potrebbe essere a sua volta poco praticabile, perché il nuovo Parlamento si insedierebbe a ottobre, ci sarebbero altre consultazioni (difficile, infatti, che dal voto-bis emerga una maggioranza netta) e si arriverebbe senza un governo nella pienezza delle funzioni all'appuntamento con le scadenze della legge di stabilità. Ce lo possiamo permettere? Quindi, non solo l'alternativa ad un accordo politico non è rappresentata dal voto a giugno, ma probabilmente è costituita da un leggi tutto
Il sentiero stretto del Quirinale
Fase di stallo quella della politica. Già, ma in attesa di cosa e perché? Queste le domande da farsi, trovando poco credibile ridurre tutto alle impuntature capricciose dei vari personaggi politici (che non mancano, ma che sono solo il contorno).
La risposta sarebbe persino banale: tutto dipende dal fatto che nessuno ha davvero vinto, ma nessuno può ammetterlo. Di conseguenza non è possibile al momento, in attesa di qualcosa che dall’esterno costringa tutti a far finta di trovare un accordo solo per piegarsi a ragioni di salvezza nazionale, avviare una mediazione. Rimane invece che tutti ragionano nei termini di una partita in cui si è combattuta una prima battaglia importante, ma non si è arrivati alla fine della guerra: si dovrà dunque attrezzarsi per la battaglia finale, quella della rivincita per alcuni, o del consolidamento della vittoria per altri.
Il rinvio attuale all’esito delle elezioni regionali in Molise e Friuli è solo un assaggio della convinzione che “la guerra continua” e che dunque ogni battaglia serve per consolidare posizioni e fornire premesse sull’esito finale dello scontro. Non che consideriamo la cosa come una prospettiva intelligente, ma questo è, e conviene prenderne atto, capendo che tutti agiscono in vista di una legislatura che prevedono breve e leggi tutto
I limiti della tecnica, il ruolo della politica
Dopo il voto del 4 marzo, nel corso della crisi di governo, si è ricominciato a parlare di riforme elettorali. L'assunto di base è che per assicurare governabilità al Paese è necessario che un partito (o una coalizione omogenea) consegua la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere. Se l’ingegneria elettorale - come vedremo - non è una panacea, anche l'obiettivo sembra poco centrato. Come abbiamo visto nello scorso intervento su Mentepolitica, dedicato alle crisi di governo e alla loro durata, la permanenza in carica di un Esecutivo non corrisponde necessariamente (alcune volte, quando "si tira a campare", non corrisponde affatto) ad una maggiore efficacia delle politiche. Inoltre, la storia (anche della Seconda Repubblica) dimostra che persino con un numero di seggi ben superiore alla maggioranza minima si possono susseguire tre o quattro governi (più o meno basati sulla stessa coalizione di partiti) nel giro di una legislatura. Dunque, il premio (esplicito, come quota fissa di seggi in più o implicito, come meccanismo di sovrarappresentazione dovuto, per esempio, all'assegnazione di pochissimi seggi per circoscrizione senza recupero dei resti) non assicura un governo di cinque anni; quest'ultimo, poi, non garantisce una maggior efficacia delle politiche dell'Esecutivo. In pratica, sembra che il meccanismo (il premio, la durata in leggi tutto
La politica del Babau
Perdonate se la prendiamo alla leggera, ma l’attuale andazzo delle schermaglie politiche ci fa venire in mente la strategia che si segue, sbagliando (pedagogisti e psicologi criticano), per convincere i bambini a non fare qualcosa: attento, se ti comporti così viene il babau e ti mangia.
Nel caso della politica il babau è alternativamente la minaccia che i due autoproclamati vincitori fanno di cambiare cavallo o di rimandare il paese alle urne. Il cambio di cavallo suppone che si disponga di un altro destriero su cui salire senza finire disarcionati. Il ritorno alle urne non dipende solo dai “vincitori”, perché ci vuole quanto meno il consenso del Presidente della Repubblica. In entrambi i casi non sembra che al momento ci siano le condizioni perché le minacce vengano prese sul serio, e questo spiega lo stallo almeno momentaneo.
Si dice che tutto sommato si punti a far passare il tempo perché maturino le condizioni per una soluzione, sia essa un’ipotesi di accordo per formare una maggioranza, sia essa il consenso su un periodo di tregua per riportare il paese alle urne, ma in maniera ordinata e col minor numero possibile di traumi. Il vero problema che abbiamo di fronte oggi è se sia leggi tutto
Italia: dal 1946, quasi sei anni senza governo
Dal primo luglio 1946 ad oggi, l'Italia ha avuto 65 crisi di governo, durate in media 33,23 giorni (contando anche quella in corso, con dati aggiornati all'8 aprile riprendendo uno studio pubblicato dall'autore di questo articolo prima nel 1989 sulla Voce Repubblicana e poi - con l'aggiunta di un testo di Guglielmo Negri - nel 1992, col titolo "L'instabilità governativa nell'Italia repubblicana"). In pratica, il Paese ha avuto un governo "in ordinaria amministrazione" per 2160 giorni (5 anni e 11 mesi: poco più di una legislatura, dunque). L'8,25% della nostra storia è trascorso fra consultazioni, incarichi esplorativi, elezioni anticipate, ricerca di nuovi assetti politici. I nostri governi hanno avuto una durata media di 402,75 giorni (dei quali 369,52 nella pienezza dei poteri), però la media non permette di distinguere fra Prima e Seconda Repubblica. In quest'ultima abbiamo avuto 14 governi contro i 51 della Prima, per complessivi 8723 giorni contro 17456 (durata media dei governi: 1946-1994, 342,27 giorni, 33,24 dei quali di crisi; 1994-2018, 623,07 giorni, 33,21 dei quali di ordinaria amministrazione). In parole povere, nella Seconda Repubblica abbiamo avuto governi molto più longevi (in media, 22 mesi e mezzo contro gli 11 mesi e 10 giorni della Prima Repubblica) ma crisi altrettanto lunghe. Non tutte le formule politiche degli ultimi ventiquattro anni, però, hanno avuto lo stesso "rendimento" sul piano della durata: il centrosinistra ha leggi tutto
Un’attesa non troppo snervante?
Ciò che colpisce nella marcia verso il nuovo governo è lo scarso pathos con cui in sostanza è vissuta dalla pubblica opinione. In astratto ci sarebbero tutte le caratteristiche per definire questo passaggio come epocale, a partire dall’arrivo alla ribalta di una nuova classe politica che rappresenta pur sempre un terzo dei consensi elettorali espressi la quale si unisce ad un’altra componente, non esattamente esordiente, ma che esce dalla relativa marginalità geografica in cui aveva le sue radici. Anche il crollo di quello che era stato l’assemblaggio delle componenti critiche della prima repubblica e che bene o male era stato un perno della seconda repubblica rappresenta pur sempre una svolta che dovrebbe suggerire qualche preoccupazione.
Invece quel che si vede è una sorta di bomaccia delle Antille, per prendere a prestito una immagine letteraria. Certo i giornali e le TV ricamano sulle schermaglie dei partiti e danno palcoscenico a tutti, compresi personaggi minori che parlano solo in virtù di legami che stabiliscono con giornalisti o conduttori compiacenti. Chi vive nella vita reale non coglie però significativi rimbalzi di queste trame nella psicologia collettiva: gli italiani attendono, non si sa se pazienti o distratti, di vedere come andrà a finire la bagarre in atto fra i professionisti della politica. leggi tutto
Il ruolo del Colle, la responsabilità dei partiti
Il voto è l'espressione di una sovranità popolare "che è al vertice della nostra vita democratica e che si esprime, anzitutto, nelle libere elezioni" le quali aprono "una pagina bianca: a scriverla saranno gli elettori e, successivamente, i partiti e il Parlamento". Sono parole pronunciate il 31 dicembre scorso dal Capo dello Stato, in un discorso che - riletto oggi - appare insieme profetico e programmatico. In quelle pagine - e nell'azione del Presidente, che in questi anni ha confermato il suo ruolo di arbitro nelle contese politiche - c'è tutto il senso della responsabilità che i partiti, coadiuvati dal Quirinale, si assumeranno già nei prossimi giorni, con le consultazioni per la formazione di un nuovo governo. In questa prima fase, Mattarella eserciterà un ruolo di paziente ascolto, cercando di cogliere le sfumature, le possibili convergenze, gli spiragli per poter proseguire nel suo difficile percorso. Il suo sarà un compito "maieutico": dovrà far emergere le potenziali convergenze, non creare ciò che non esiste o che non è nella disponibilità dei partiti e dei leader. Un conto è la cosiddetta "moral suasion" del Quirinale, un altro conto è fare pressione. Sbaglia chi pensa che nello stile dell'attuale presidente ci siano vocazioni "cesaristiche" e che, dunque, possa "tirare la giacca" a qualcuno leggi tutto
Grandi manovre e piccole tattiche
Dunque eccoci alla prova del budino: le elezioni hanno messo in luce che ci sono vincitori e vinti e adesso ai vincitori tocca mostrare che sono capaci di mettere a reddito i consensi che hanno ricevuto nelle urne. Impresa non facile perché per farlo i vincitori della gara elettorale avrebbero bisogno di qualcosa che dalla conta delle schede non è uscito, cioè una maggioranza di governo attribuita ad una delle forze che l’avevano chiesta ai cittadini accorsi a compilare le schede.
E’ dunque venuta l’ora della fantasia politica indispensabile per uscire dall’impasse in cui il sistema è stato cacciato da una legge elettorale mal congeniata e peggio gestita. L’operazione è tutt’altro che facile perché è condizionata da una campagna combattuta a suon di slogan e di scomuniche reciproche. Chi pensava che tanto quelle erano parole al vento, sarà costretto a ricredersi, non perché riteniamo che i partiti ci credessero davvero, ma perché chi li ha votati farà poi fatica ad accettare che invece della nuova politica della trasparenza continui la vecchia dell’accomodamento alle circostanze.
Eppure le due tendenze hanno convissuto, almeno nelle dinamiche che hanno portato all’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Qui i Cinque Stelle hanno voluto a tutti costi piantare la leggi tutto
Partiti, l'era della precarietà
Sebbene in misura ridotta rispetto al passaggio fra il 2008 e il 2013, anche le elezioni del 4 marzo scorso hanno fatto registrare una volatilità elettorale superiore al 25%. Un italiano su quattro (nella stima più prudente) ha cambiato voto rispetto alle politiche precedenti. Nel 2013 la volatilità si era attestata poco sotto il 40%. È una caratteristica tipica della Seconda Repubblica: nata dopo il terremoto elettorale del 1992 (soprattutto al Nord) e del 1994 (generalizzato ma più incisivo al Sud), l'epoca caratterizzata dallo scontro fra due (1996, 2001, 2006, 2008) o tre poli (1994, 2013, 2018) ha avuto un periodo centrale di stabilizzazione, anche se con una carsica tendenza al movimento che non è mai del tutto scomparsa. È vero: la Prima repubblica non aveva rapporti di forza del tutto cristallizzati, perché la Dc ha oscillato fra il 35,2% del 1946 e il 48,5% del 1948, per scendere al 40,1% nel 1953, risalire al 42,4% nel 1958, per poi finalmente assestarsi sul 38-39% nel periodo 1963-1979; così il Pci, che nel '76 è passato dal 27,2% al 34,4% e nel '79 è ridisceso al 30,4%. Quel che però sembrava eccezionale e strabiliante nei primi quarantacinque anni di Repubblica è diventato ordinaria amministrazione dal 1992 in poi. Prima ci fu un crollo della Dc (dal 34,3% al 29,7%) nell'anno in cui la Lega salì dallo 0,5% all'8,7% (1992). Poi, però, quella abitudine "sedentaria" dell'elettore medio si è trasformata in una mobilità che leggi tutto