Ultimo Aggiornamento:
07 settembre 2024
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Argomenti

Una repubblica fondata sul lavoro

Paolo Pombeni - 01.05.2019

In un intreccio continuo di ritualità festive, alcune più solenni e certificate, altre più inventate per vari usi (molto spesso commerciali), si sta perdendo il senso delle “celebrazioni” che dovrebbero essere atti collettivi fra degli officianti che rappresentano qualche cosa e un popolo che si fa coinvolgere e trasformare in quella rappresentazione. È inutile strapparsi le vesti per la perdita del senso di sacralità della maggior parte delle festività che giudichiamo importanti e in senso tecnico significative (lo si è appena fatto a proposito del 25 aprile). Il coinvolgimento non si può imporre per legge e troppo spesso coloro che si appropriano di questo sentimento finiscono per farne una cosa settaria poco capace di attrarre a sé chi per varie ragioni non riesce ad esserne partecipe.

Il problema profondo è che per le feste civili come per quelle religiose è necessaria un’opera di acculturazione continua che renda comprensibili e condivisibili i valori che si vogliono rappresentare e onorare evitando di trasformarli in retoriche celebrative.

Per ragioni di calendario vogliamo applicare questa riflessione al Primo Maggio, festa del lavoro, ricorrenza comune a molti paesi, ma di particolare significato nel nostro che si definisce nella sua Carta fondamentale “una repubblica fondata sul lavoro”. leggi tutto

La "quadriglia" repubblicana

Luca Tentoni - 27.04.2019

Il sistema politico italiano è passato, già all'inizio di questo decennio, dalla polarizzazione intorno a due leader (Berlusconi e Prodi, ma più in generale i capi di centrodestra e centrosinistra) alla riunione dell'elettorato intorno a tre o quattro personalità (e partiti) principali. Nel 2013, M5S, Pd, Pdl e Scelta civica hanno ottenuto l'80,9% dei voti per la Camera: in pratica una percentuale non distante dalla media dell'82,2% che Dc, Pci, Psi e Msi ebbero nel decennio 1979-1989 (politiche ed europee). In pratica, meno di un votante su cinque sceglie, da allora, altri partiti. O, meglio, già dal 2008-2009: però, alle politiche del 2008 c'erano due liste (Pd e Pdl) figlie dell'accorpamento di più soggetti esistenti (ecco perché i primi quattro raccolsero l'84,5% contro il 74,5% delle politiche di due anni prima). Tuttavia, l'idea della "vocazione maggioritaria" (con i due alleati - Lega per il Pdl, Idv per il Pd - a fare da scelta di riserva per l'elettorato di coalizione desideroso di cambiare voto "restando in famiglia") non sarebbe bastata per mutare a lungo il comportamento dell'elettorato. Già alle europee del 2009, infatti, col crollo del Pd (compensato solo in parte dal successo dipietrista) i primi quattro ebbero il 79,6%. Però qualcosa era successo: gli italiani ricominciavano a preferire i leggi tutto

Giochi proibiti pre-elettorali

Paolo Pombeni - 24.04.2019

Dunque alla fine il Consiglio dei ministri si è tenuto, sia pure con grande ritardo e si è trovato un escamotage per evitare una crisi che nessuno dei due azionisti vuole, ma che hanno interesse a minacciare in continuazione.

Prima di spiegare questo apparente arcano, consideriamo il ruolo del premier Conte (premier, si fa per dire), che ha contribuito certamente ad azzeccare il garbuglio per consentire ai suoi rissosi azionisti di trovare una scappatoia momentanea. La capacità di mediazione è una virtù in politica: Angela Merkel c’ha costruito la sua fortuna, tanto che alcuni commentatori tedeschi hanno coniato un nuovo verbo col suo nome (merkeln = qualcosa come “merkellare”) per designare questo modo di agire. Non crediamo però che si tratti dello stesso tipo di mediazioni in cui si è esercitato Conte, che assomigliano più alle furberie tecniche di un avvocato che deve mascherare la realtà con le parole, ma non vogliamo spingerci fino a coniare il neologismo “contezzare” per caratterizzare questo modo di procedere.

Ma veniamo alla strategia (parola grossa) che potrebbe spiegare questo scontro frontale fra Salvini e Di Maio gestito però in modo tale da provare a non sfociare in quella rottura che parrebbe obbligata. Tutti sanno che sono entrambi a caccia leggi tutto

Il sistema dei partiti e l'accelerazione delle stagioni politiche

Luca Tentoni - 20.04.2019

Le elezioni europee, con la loro cadenza quinquennale, ci costringono - nostro malgrado - a fare i conti con un passato che teoricamente è prossimo, ma che in politica (nella politica italiana degli anni Dieci) è invece remoto. Nel 2014, il raffronto fra un Pd improvvisamente arrivato al 40,8% dei voti e quello del 2009 (26,1%) - nato da venti mesi ma già in crisi - era improponibile. Fra le due elezioni era trascorsa la stagione difficile del partito, poi il rilancio alle amministrative del 2011-'12, quindi il sostegno al governo Monti, poi la "non vittoria" alle politiche del 2013 e tre "primarie" (due vinte da Bersani nel 2009 e nel 2012, la terza da Renzi nel 2013), passando per la tormentata rielezione di Napolitano, il breve percorso del governo Letta e l'arrivo a Palazzo Chigi dell'ex sindaco di Firenze. Altrettanto inadeguato era il confronto fra la rinata Forza Italia berlusconiana del 2014, al 16,8% dei voti e quel Pdl che nel 2009 era all’apice della forza elettorale (35,3%) e del consenso. Oltre alle numerose e note vicende personali e giudiziarie del Cavaliere, si era assistito alla liquefazione di milioni di consensi conquistati prima da Forza Italia e An, poi dal Pdl nel primo quindicennio della Seconda Repubblica, passando da una fase durante la quale il centrodestra sembrava forte leggi tutto

Pasticcio libico, versione italiana

Paolo Pombeni - 17.04.2019

Chi venisse accusato di sottovalutare la crisi libica si offenderebbe: tutti si dicono estremamente preoccupati, ben consapevoli della portata del problema, e tutti fanno capire di avere dei piani per affrontare l’emergenza. Quali non è ovviamente dato di sapere, a meno che non ci si voglia fidar di qualche parola al vento. Sta di fatto che anche questa emergenza è una occasione per fare propaganda elettorale, non certo il miglior modo per rispondere ad una grave crisi alle porte di casa nostra.

Al solito si sta finendo per ridurre tutto alla possibilità che si presenti una emergenza migranti, che le drammatiche condizioni in Libia trasformerebbero ipso facto in rifugiati. Si sarà visto che su queste paure hanno subito speculato le parti in causa: Haftar per primo, perché il suo tentativo di conquistarsi la Tripolitania sperava venisse accettato visto che riteneva di potersi presentare come colui che era in grado di mettere ordine nel caos libico di cui profittano i trafficanti di esseri umani. Poi è arrivato Serraj, che si è affrettato a dare una intervista alla stampa italiana in cui sventolava la minaccia di 800mila persone pronte a salpare verso le nostre coste giusto per ottenere sostegno alla sua causa. leggi tutto

L'eterna questione della riforma elettorale

Luca Tentoni - 13.04.2019

Non è escluso che, vedendo i risultati delle elezioni europee, qualcuno abbia la malaugurata idea di ricominciare a invocare la riforma della legge elettorale per le Camere. È molto probabile, però, che non se ne faccia nulla: nonostante il sistema vigente sia a dir poco discutibile, non cambiarlo potrebbe rappresentare il male minore. L'idea di risolvere problemi (di offerta partitica, di sistema, di rapporti di forza) evocando l'azione salvifica della legge elettorale è un modo per sostituire la politica con la tecnica, salvo poi naturalmente lamentarsene quando l'effetto dei nuovi meccanismi si rivela ben diverso da quello atteso (per l'eterogenesi dei fini che colpisce sempre, dal 1993 in poi). È vero che nel 2018 il "Rosatellum" non ha prodotto maggioranze, costringendo il Capo dello Stato ad una lunga negoziazione (tipica, tuttavia, di tutti i regimi parlamentari, dove il governo non è, come si dice troppo spesso sbagliando, "eletto dal popolo"), ma è anche vero che l'abito non fa il monaco. Basti pensare all'altrettanto pessima legge elettorale approntata da Calderoli nel 2005 (il "Porcellum": la definizione è dell'autore leghista, con variante in latino maccheronico aggiunta da Sartori) che fu fatta per impedire la vittoria di Prodi nel 2006: l'obiettivo fu fallito alla Camera e quasi raggiunto al Senato, ma secondo alcune proiezioni leggi tutto

Ali, mezze ali, centro: i dilemmi della politica

Paolo Pombeni - 10.04.2019

Il nuovo fantasma che si aggira per l’Europa, ma particolarmente in Italia, è suscitato dalle previsioni sul futuro assetto della politica: andremo verso una radicalizzazione bipolare, o risorgerà il bisogno di un ponte moderato fra i due estremi? Non è che il dibattito sia proprio vivacissimo, ma c’è, perché ognuna delle soluzioni ha i suoi fan tra gli intellettuali, che in realtà tifano per sé stessi: quelli che si sono fatti una fortuna sostenendo posizioni “radicali” puntano sul bipolarismo estremo, quelli che si sono barcamenati fra i contendenti di questi anni sperano che risorga uno spazio per i “moderati”.

La questione è un ever green del dibattito politico occidentale. Senza scomodare la vecchia distinzione fra destra e sinistra che non è sempre chiarissimo a cosa si riferisca di preciso, possiamo partire dalla tradizionale dicotomia fra conservazione e progresso. Peraltro una distinzione subito messa in discussione secondo un modello elementare che paragonava la politica ad una macchina, la quale aveva bisogno tanto di un motore che la mandasse avanti quanto di un apparato frenante che fermasse la sua corsa quando diventava pericolosa. Si aveva così subito la soluzione equilibrata che risedeva nel favorire in politica una dialettica virtuosa fra conservazione e progresso, ovvero fra i leggi tutto

Quo usque tandem?

Stefano Zan * - 06.04.2019

Fino ad oggi le elezioni europee sono state elezioni “tranquille” che non prevedevano grandi stravolgimenti né a livello comunitario né, tantomeno, a livello nazionale.

Questa volta le cose sono diverse perché alle elezioni del 26 maggio si gioca una partita che può avere effetti rilevanti sia in Europa che nel nostro Paese.

In Europa si tratta di certificare con un voto vero e non con un sondaggio il peso dei partiti e dei paesi sovranisti rispetto ai partiti filo europei. Una sfida importante che per la prima volta rischia di mettere in discussione l’assetto di potere dell’Unione rispetto ai decenni passati.

Anche in Italia si tratta di certificare con un voto che coinvolge tutti gli elettori, i rapporti di forza tra i principali partiti di governo e non. La Lega è davvero sopra il 30%? I 5 Stelle sono davvero sotto il 20%? il PD è davvero intorno al 25%? Un conto infatti sono i sondaggi altro conto sono i dati reali.

Nel frattempo il sistema italiano, che si sta avvitando in una recessione economica sempre più pesante, è sostanzialmente paralizzato da una convinzione largamente diffusa, ancorché non suffragata da nessuna evidenza empirica, e cioè che ai due partiti di governo non convenga andare alle elezioni dopo aver leggi tutto

Tiro alla fune

Paolo Pombeni - 03.04.2019

Avete presente il gioco del tiro alla fune? Serve per mettere alla prova i muscoli di due squadre, senza che chi perde si faccia male, perché viene semplicemente “trascinato” ad oltrepassare un certo confine. Bene, al momento è il giochetto che sembrano prediligere i due azionisti di maggioranza del governo in carica. Ognuno tira la fune con tutta la forza (propagandistica) che ha, e fino ad ora ciascuno va un po’ avanti e un po’ indietro a seconda dei momenti senza però che nessuno soccomba del tutto e superi il famoso paletto di confine.

Dovrebbe servire per infiammare le reciproche tifoserie che seguono la gara dagli spalti, ma il gioco è più pericoloso di quel che sembra, perché prevede strattoni dati a sorpresa per cogliere l’avversario impreparato e trucchetti vari con cui cercare di guadagnare vantaggi: tutte cose che, nel mondo reale, hanno conseguenze e ricadute.

La concentrazione di Lega e M5S sul tiro alla fune in vista delle urne europee del 26 maggio (ma, in contemporanea, di urne per regionali, comunali e un paio di suppletive, è bene ricordarsene) impedisce al governo di affrontare i problemi in corso e quelli che si affacciano all’orizzonte (anche molto gravi secondo non pochi analisti autorevoli). La questione principale è quella economica. leggi tutto

Il rapporto dell'Istat sul senso civico degli italiani

Francesco Provinciali * - 30.03.2019

L’ISTAT ha pubblicato il 20 marzo u.s. un interessante rapporto sul “senso civico” degli italiani, frutto di una indagine svolta nel biennio 2016/2018. Un tema quanto mai attuale considerato che si percepisce un cambiamento negli stili di vita individuali e collettivi determinati da un rimescolamento dei valori che stanno alla base dei nostri comportamenti, dalle trasformazioni indotte da nuove regole e prassi, dal palese salto generazionale in ordine ad abitudini e occupazioni quotidiane e dai mutamenti culturali, sociali ed economici che stanno attraversando la nostra comunità nazionale con marcata intensità.

L’ISTAT precisa che “per senso civico dei cittadini ci si riferisce a quell’insieme di comportamenti e atteggiamenti che attengono al rispetto degli altri e delle regole di vita in una comunità.

In via generale “la contrapposizione tra intransigenti e tolleranti si osserva anche, a parità di età, tra uomini e donne: queste ultime sono più severe sull’inammissibilità di alcuni comportamenti che riguardano la quotidianità. Il divario di genere si attenua tra le persone di 65 anni e più, età in cui l’intransigenza aumenta anche tra gli uomini”.  Dall’indagine risulta che “nel 2018, l’84% delle persone di 18 anni e più (di cui l’87,3% donne e l’80,4% uomini) dichiara di non gettare in alcun caso carte leggi tutto