Ultimo Aggiornamento:
30 novembre 2024
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Argomenti

Crisi, partiti e ruolo del Quirinale: le differenze fra il 2011 e il 2019

Luca Tentoni - 22.06.2019

La difficile trattativa fra il governo italiano e l'Ue per evitare la procedura di infrazione comporta dei rischi: il principale è che si arrivi ad un punto di non ritorno, nel quale la prospettiva di ritrovarsi, come nel 2011, a subire forti tensioni sui titoli di Stato, non è affatto improbabile. L'auspicio di tutti è che si trovi una soluzione rapida e indolore, ma se così non fosse, il primo a dover affrontare la situazione sarebbe il Capo dello Stato. Se il compito di Napolitano fu difficile, nel 2011, quello di Mattarella potrebbe essere arduo. Otto anni fa, il logoramento del governo Berlusconi era nei fatti, dovuto non solo a fattori economici e finanziari, ma allo sfaldamento della Cdl e alle vicende personali del presidente del Consiglio. Se, con lo spread alle stelle, Napolitano avesse sciolto le Camere, probabilmente il centrosinistra di Bersani avrebbe colto una facile vittoria. Allora, infatti, il M5s era ancora in una fase intermedia di crescita (nel 2013, invece, sarebbe diventato il primo partito sul territorio nazionale, alla Camera - o, più precisamente, il secondo dopo il Pd, considerando anche i voti della circoscrizione Estero). A destra, la scissione di Fini sembrava avere più consensi di quelli raccolti due anni dopo con Casini e Monti. leggi tutto

Fibrillazioni da Transizione di Sistema?

Paolo Pombeni - 19.06.2019

Continuiamo a vivere in una fase di turbolenza diffusa. Dovrebbe essere finita la campagna elettorale continua, ma così non è per una ragione banale: non si può ancora escludere che sarà riaperta a breve per scioglimento anticipato della legislatura. L’impressione che si ricava da quanto è successo è che la geografia del potere dei partiti sia in forte movimento. Non un movimento che va davvero in una direzione precisa, ma qualcosa di sussultorio che sposta continuamente simpatie ed adesioni, non solo in termini di voti ma anche in termini di scelte di schieramento delle classi dirigenti, senza che sia possibile capire quando finirà questo sciame sismico e soprattutto quale sarà il paesaggio che ci lascerà in eredità.

A destra certamente al momento la Lega sembra avanzare senza ostacoli verso l’occupazione stabile della leadership di sistema, ma ci sono due fenomeni che potrebbero diventare interessanti. Il primo e più importante è la crescita costante di Fratelli d’Italia, che potrebbe essere il segnale che una parte almeno del mondo della destra si prepara ad una alleanza con Salvini da un punto di forza. C’è da tenere conto di un consueto meccanismo della politica italiana: quando si crede di aver individuato un vincitore, piuttosto di accorrere nelle leggi tutto

Coalizioni "a responsabilità limitata"

Luca Tentoni - 15.06.2019

Dopo il "vertice" di maggioranza (una pratica non nuova, anche se il governo vuole essere "del cambiamento") la navigazione dell'Esecutivo procede, anche se in acque non certo calme. La crisi può attendere, le elezioni pure. Del resto, a ben vedere, il contratto non rappresenta solo una garanzia esplicita per i contraenti, quella visibile che è rappresentata dall'elenco di temi e di "paletti". C'è anche una garanzia implicita, molto più forte: una controassicurazione che riprende la natura e la prassi dei governi di coalizione (anche di quelli della Seconda Repubblica) e deresponsabilizza i contraenti e i principali esponenti (partiti e leader). A parte i due "nemici" sempre evocati da chi guida il Paese, non volendo assumersi la responsabilità di ciò che non va bene (le colpe vanno ai governi precedenti e, da qualche anno, ai "poteri forti" o agli alleati o alla minoranza del partito che "purtroppo" ti ostacola, impedendo di realizzare paradisi in terra del tutto illusori), il "contratto" fornisce ai soci lo stesso salvacondotto deresponsabilizzante dei vecchi "accordi di coalizione". Così, se non si può realizzare una politica, è colpa del contratto, cioè della necessità di convivere con forze diverse. Naturalmente, non bisogna pensare che il "decisionismo" sia la risposta: anzi, leggi tutto

Il richiamo della foresta

Paolo Pombeni - 12.06.2019

Tutti a interrogarsi su cosa abbia determinato la virata del premier Conte verso un’immagine da severo uomo delle istituzioni, fino a spingere qualcuno a parlare di un novello Monti forgiato in qualche officina dei ceti dirigenti (al Quirinale?). Su quella china si è immaginato una specie di commissariamento del governo con la triade Conte-Tria-Moavero per marginalizzare i due azionisti della maggioranza. Che ci sia una certa inclinazione in quelli che i polemisti anti-establishment chiamano “i giornaloni” ad accreditare questa possibilità può anche essere, ma temiamo sia più la ricerca di una speranza di sottrarsi al destino della preminenza di Salvini, che non l’analisi di quanto sta realmente succedendo.

A noi sembra che nella nuova situazione che si è delineata dopo la recente orgia elettorale più banalmente ciascuno risponda ad una sorta di richiamo della propria foresta di provenienza. Sono costretti a farlo da un contesto che non consente per ora il passaggio chiarificatore della crisi di governo, la quale però resta sullo sfondo come ciò con cui prima o poi si dovranno fare i conti.

Ecco dunque che il presidente Conte pensa al dopo, quando difficilmente potrà avere ancora un ruolo politico e dovrà tornare al suo mestiere, cioè a quello del leggi tutto

L'arcobaleno euroscettico

Luca Tentoni - 05.06.2019

I protagonisti principali della campagna elettorale per le europee sono stati gli "euroscettici". Temuti, amati, odiati, forse un po' sopravvalutati (nei grandi paesi hanno vinto solo in Italia e Gran Bretagna, mentre in Francia la Le Pen ha ottenuto il primo posto ma con una percentuale minore rispetto al 2014). Gli euroscettici e gli eurocritici si sono comunque ritagliati uno spazio, anche se non governeranno le istituzioni dell'Ue per i prossimi cinque anni. Molti di questi partiti sono populisti, "perché tutti i populisti sono euroscettici, ma non tutti gli euroscettici sono populisti". Ce lo ricorda Carlo Muzzi, autore di un recentissimo volume per Le Monnier ("Euroscettici - Quali sono e cosa vogliono i movimenti contrari all'Unione europea"). Il libro, che si apre con la prefazione di Cas Mudde, non vuole cercare di offrire una definizione del fenomeno populista (anche se delinea in qualche modo il campo ed offre strumenti interpretativi) ma ha l'obiettivo di dare la parola ad alcuni esponenti dei partiti che - con sfumature e obiettivi diversissimi fra loro - sono critici o molto critici con l'Ue. Muzzi ha incontrato e intervistato nove leader, fra i quali il britannico Nigel Farage, la greca Afroditi Theopeftatou (Syriza), il francese lepenista Louis Aliot ed leggi tutto

L’agonia dei 5Stelle

Stefano Zan * - 01.06.2019

In un qualsiasi partito del mondo che in un anno perde il 50% dei voti, pari a sei milioni di elettori, per prima cosa il leader rimette il suo mandato. Dopo di che si apre un confronto interno che con il tempo porta all’individuazione di una nuova linea politica e di un nuovo leader.

Di Maio però non lo ha fatto e non poteva farlo per diverse ragioni.

Intanto non è un leader ma un capo politico nominato dai due leader esterni (Grillo e Casaleggio) e a loro risponde in prima istanza.

Poi non saprebbe a chi rassegnare le sue dimissioni perché il partito non esiste, non ha organi istituzionali (direzione, assemblea, congresso) e quindi al massimo può rimettere il mandato alla piattaforma Rousseau che formalmente lo ha incoronato.

Infine non ha tempo perché la questione cruciale è se restare e a quali condizioni al governo, decisione che deve essere presa in tempo reale.

Ma il problema principale è quello della linea politica, della strategia di medio lungo termine che nel caso dei 5 Stelle è così inesistente da non aver prodotto al suo interno alcuna possibile alternativa. Ad oggi la linea dei 5Stelle è stata semplicemente la sommatoria di singoli provvedimenti (e il blocco di altri) leggi tutto

Il cambiamento non si risolve in una notte

Paolo Pombeni - 29.05.2019

Dunque finalmente le urne hanno parlato e dovremmo avere un quadro di cosa ci aspetta dopo mesi di battaglie fra i partiti senza esclusione di colpi. La realtà però è più sfuggente, se non vogliamo limitarci a registrare i successi che ci sono stati in questa lotta di tutti contro tutti.

Da questo punto di vista è semplice fare il quadro. Salvini ha stravinto, ma anche la Meloni con FdI ha avuto un risultato di gran lunga superiore alle previsioni. Il PD ha recuperato bene se si considera il trend non favorevole alle tradizionali forze socialiste, ha riconquistato città importanti come Milano e Roma, ma è lontano dalle cifre di quando era il dominus della politica italiana. Malissimo sono andati i Cinque Stelle che non hanno capito che non si vive solo di artifici verbali dopo che si è stati messi alla prova del governo. Sostanzialmente male è andato Berlusconi che ha dovuto constatare che la sua immagine non trascina più e di conseguenza FI è diventata un partito marginale.

Fuori di questi non c’è storia, a dimostrazione che se si mette una soglia di sbarramento ragionevole e si impediscono i giochetti delle finte coalizioni elettorali non c’è spazio per le ambizioni dei numerosi piccoli gruppi leggi tutto

Lo scrutinio permanente

Luca Tentoni - 25.05.2019

Il voto del 26 maggio non esaurisce il continuo ciclo elettorale che ormai caratterizza la politica italiana. Fino al 1970, gli unici appuntamenti nazionali con le urne erano riservati alle elezioni per il rinnovo di Camera e Senato, che si tenevano regolarmente ogni cinque anni (1948, 1953, 1958, 1963, 1968). C'erano poi le elezioni comunali e provinciali, alle quali veniva attribuito un valore non trascurabile in rapporto al quadro politico generale, come dimostrano l'"operazione Sturzo" (fallita) del 1952 in vista delle comunali di Roma (che determinò la rottura insanabile fra De Gasperi e il Pontefice Pio XII) e l'attenzione che molti studiosi dell'epoca (fra tutti, Celso Ghini, mai ricordato abbastanza, autore di elaborazioni di gran pregio e precisione per il Pci) cominciavano a dedicare ai "test" locali. Con un'affluenza intorno o superiore al 90%, il popolo italiano andava alle urne ogni cinque anni per un esercizio di democrazia che assumeva un grande valore anche sul piano simbolico. Le strategie dei partiti erano basate sulla durata della legislatura, sia pure - come si diceva - tenendo conto delle "piccole elezioni di medio termine" in città e province. Dal 1970 con l'elezione dei consigli regionali (15 regioni a statuto ordinario), dal 1972 con le prime elezioni politiche anticipate (seguite da altri quattro scioglimenti anticipati: 1976, 1979, 1983, 1987), dal 1974 col leggi tutto

Un post-elezioni che dovrà fare i conti con la realtà

Paolo Pombeni - 22.05.2019

Che dopo la tornata elettorale del prossimo 26 maggio si dovranno fare i conti con la realtà lo dicono tutti, ma in genere si allude al problema economico che si presenterà con la stesura della legge di bilancio. Ci sono dai 23 ai 30 miliardi da trovare per evitare che il deficit superi la linea di guardia fissata dall’Europa (che peraltro in questo caso è ragionevole) e non viene detto dove si potranno trovare se non aumentando le tasse, vuoi quelle indirette come l’IVA, vuoi avventurandosi in quelle dirette come sarebbe la famosa “patrimoniale”.

Tutto vero indubbiamente, ma, ci si perdoni il gioco di parole, non è tutto. L’incognita maggiore riguarda l’equilibrio del sistema politico italiano, che è, lo si voglia o no, la pre-condizione perché da un lato si possa “fare politica” e dall’altro ci sia abbastanza fiducia perché si mantengano e possibilmente crescano gli investimenti economici. Purtroppo al momento non sembra che questa incognita verrà sciolta con i risultati delle prossime urne.

A meno di impennate dell’ultima ora non sembra essere alle viste un esito elettorale che incoroni un vincitore. Diciamo subito che già di loro le elezioni europee sono poco adatte alla bisogna: tutti ricordano l’irrilevanza finale del 40% raccolto da Renzi la volta precedente. leggi tutto

Orario di votazione: una modesta proposta

Luca Tentoni - 18.05.2019

Il 26 maggio saranno chiamati al voto - in Italia e negli Stati non appartenenti all'Unione europea - 49.413.168 elettori, ai quali si aggiungeranno gli italiani che risiedono in altri paesi dell'Ue (1.659.874). Le operazioni di scrutinio non saranno rapide e neppure facili. Infatti, in Piemonte si voterà anche per il Consiglio regionale (3.621.796 elettori) e in ben 3.658 centri (221 oltre i 15mila abitanti, 3.437 sotto i 15 mila) si rinnoverà il consiglio comunale (altri 16.108.752 elettori chiamati alle urne). In pratica, in 826 comuni si voterà per le europee, le regionali, le comunali; in altri 2.832 per le europee e le comunali; nei restanti 4.257 (53,7%) si andrà alle urne solo per le europee. Si voterà dalle 7 alle 23. I risultati saranno disponibili durante la notte, se non (quelli definitivi) nel corso del giorno seguente. A titolo di provocazione (ma non troppo) ci permettiamo di avanzare una modesta proposta per il futuro (in primo luogo per le elezioni politiche). In primo luogo, chiudere i seggi alle 23 oppure prolungare (come si è fatto in passato) il voto fino alle 15 del lunedì è eccessivo: in molti altri paesi europei le urne chiudono prima. Lo si è visto in Spagna, dove già verso mezzanotte i risultati delle elezioni politiche erano già pressoché definitivi. L'election day, inoltre, se da un lato leggi tutto