Ultimo Aggiornamento:
04 maggio 2024
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Argomenti

Le tante lezioni dalla sentenza di Lipsia sui Diesel

Gianpaolo Rossini - 03.03.2018

Il tribunale amministrativo federale di Lipsia ha riconosciuto ai comuni tedeschi la potestà di tenere fuori dai loro perimetri le auto a gasolio. Il ricorso era venuto dai Land Baden Württemberg e Nord Reno Westfalia che ritenevano la materia di esclusiva competenza federale. La sentenza di Lipsia è un importante punto a favore di chi, come chi scrive, si batte da tempo contro i diesel e segna quasi certamente la parola fine per questo tipo di propulsione, almeno per le auto. E’ infatti una decisione di peso istituzionaleche arriva dopo una lunga storia di illusioni, errori, corruzione, miopia da parte di imprese ed autorità nazionali ed europee. E tante sono le lezioni da trarre, alcune delle quali hannoimplicazioni per il nostro sistema democratico. 

La prima lezione riguarda una certa arroganza europea per avere insistito in una tecnologia, quella del diesel, che il resto del mondo ha rifiutato o visto con scarsa simpatia da decenni complice il carico di inquinanti prodotto dai motori diesel a dispetto del buon rendimento energetico. Germania, Francia e Italia hanno testardamente insistito ad investire negli ultimi 25 anni nei motori diesel usati come una scorciatoia a buon mercato per ridurre la eccessiva CO2 dell’impronta umana, presunta causa del cambiamento climatico. leggi tutto

Dopo le sparate elettorali

Paolo Pombeni - 28.02.2018

Si sa che specie negli ultimi giorni prima del voto tutti i partiti si arroccano sulle loro posizioni identitarie, timorosi di offrire il fianco alle incursioni degli avversari. Non mancano i giochi spregiudicati (per non dire sporchi) tipo il parlar bene di Minniti da parte di esponenti del centrodestra per sostenere dall’esterno la tesi che il PD non è più di sinistra, o lasciar intendere che la Bonino può diventare un elemento ponte col centrodestra, in modo da renderla sospetta agli elettori di centrosinistra e suscitare zizzania con Renzi, che già si preoccupa per l’ipotesi che quella lista superi il 3% non contribuendo così ad aumentare i seggi del PD.

Ci limitiamo a questi due esempi, anche se tutti stanno facendo cose simili. Naturalmente la contromossa contro le sparate iperboliche è la strategia del realismo ostentato, che è quanto sta facendo Gentiloni. E’ la vecchia tecnica con cui De Gasperi e Adenauer nel primo dopoguerra riuscirono a raccogliere un consenso maggioritario, ma allora si veniva dall’indigestione delle trombonate di fascismo e nazismo e tutti avevano toccato con mano dove si era andati a finire.

Non sappiamo se questa volta la strategia funzionerà, soprattutto perché l’astensionismo sottrae elettorato alle componenti più riflessive: è infatti tutto da leggi tutto

Elezioni, la Tv ha ancora il suo peso

Luca Tentoni - 24.02.2018

Quella che si va concludendo è stata una campagna elettorale che ha visto la scomparsa dei manifesti dai muri delle città. Non sappiamo se il 2018 sarà ricordato per uno stravolgimento del quadro politico, ma lo sarà di certo per aver rappresentato l'ennesimo passo verso il tramonto della comunicazione politica tradizionale, quella alla quale la Seconda Repubblica, già nel 1994 (ma, ancor prima, l'ingresso del marketing negli anni Ottanta) aveva assestato un duro colpo. In quei cartelloni spogli sta il segno di un cambiamento profondo, che però non va necessariamente e completamente ad avvantaggiare la comunicazione via web e social network. Va ricordato, infatti, che un'ampia fascia di popolazione non più giovanissima non ha molta familiarità con il computer, però fa registrare ancora buoni tassi di affluenza alle urne. Considerando che questa coorte elettorale è più numerosa di quella dei giovani (e che questi ultimi, soprattutto fra i 22-23 e i 30 anni, sono stati nel recente passato meno attratti dal voto rispetto agli altri italiani) possiamo dire che è ancora la televisione il miglior mezzo per raggiungere le "pantere grigie". I leader politici lo sanno molto bene: le loro presenze nei "talk show" si moltiplicano fino alla saturazione, perchè il comizio televisivo, anche se un po' leggi tutto

Grande coalizione e unità nazionale: riflessioni necessarie

Paolo Pombeni - 21.02.2018

Ha detto Gentiloni che tra governo di grande coalizione e governo di unità nazionale ci sono sottili differenze che tanto sottili non sono. Non ha spiegato di più, ma ha ragione. Vediamo di capire le differenze e soprattutto di interrogarci su cosa potrebbe significare un governo di unità nazionale e quali scenari potrebbe aprire nel contesto attuale.

La grande coalizione è una alleanza governativa che mette insieme due o più componenti che nella storia di un paese si sono presentate in competizione per la leadership dell’esecutivo. Il caso classico è l’alleanza in Germania fra CDU/CSU e SPD. Il governo di unità nazionale è quello a sostegno del quale si schierano tutti o quasi tutti i gruppi rappresentati in parlamento in nome di un superiore interesse del paese che è, o si ritiene che sia messo in grave pericolo. L’esempio classico è quello dei governi in tempo di guerra (nella Francia del 1914 venne chiamata una “unione sacra”).

La sottigliezza della distinzione sta nel fatto che anche le grandi coalizioni vengono presentate come alleanze eccezionali giustificate da emergenze, meno drammatiche di quelle di una guerra, ma comunque rilevanti. Tuttavia esse di per sé possono affermarsi, come è oggi il caso in Germania, lasciando vivere un sistema parlamentare in leggi tutto

Il "non voto" e il Sud alla prova del 4 marzo

Luca Tentoni - 17.02.2018

C'è una forza - probabilmente la più grande, in Italia - che può cambiare l'esito del voto del 4 marzo: l'esercito estremamente eterogeneo formato da chi, il giorno delle elezioni, non va a votare oppure annulla la scheda o la riconsegna bianca. Sono ben 12,9 milioni di italiani a fare questa scelta (che talvolta, va detto, è compiuta per necessità o per impedimento). Nel 2013 i non votanti, alla Camera, sono stati 11 milioni e 635 mila, ai quali possiamo aggiungere il milione e 265 mila che è andato ai seggi ma non ha scelto alcun partito (395 mila schede bianche, 870mila nulle). Quest'ultimo gruppo aveva dimensioni, per intenderci, di poco superiori a Sel e di poco inferiori alla Lega nord. Un milione e quasi 300mila italiani che va a votare, aumentando la percentuale della partecipazione, ma poi opta per una scelta "apartitica" (alcuni di essi - va precisato - la compiono per errore, perché fra le schede nulle ci sono anche quelle nelle quali l'elettore ha messo qualche segno di troppo). Fatto è che questo 27,5% nazionale di "non voto" (27,8% nei capoluoghi) sembra destinato a crescere. Dal maggiore o minore incremento dell'astensione può dipendere il futuro di alcuni partiti che hanno un elettorato deluso e incerto e di altri che hanno un elettorato deluso leggi tutto

La trappola delle coalizioni

Paolo Pombeni - 14.02.2018

Chi ha costruito il cosiddetto Rosatellum ha fatto male i conti: diventa sempre più evidente. Si è trattato dei classici apprendisti stregoni che hanno evocato spiriti che non sono poi stati capaci di tenere sotto controllo: avessero non diciamo letto la famosa poesia di Goethe, ma almeno visto il cartone con Topolino in quel ruolo forse sarebbe stati indotti a riflettere prima di buttarsi nella loro avventura.

Oggi ad essere diventato palese è un altro inghippo, quello delle coalizioni, immaginato nell’ingenua prospettiva di azzoppare i Cinque Stelle, mentre si sta rivelando una trappola per tutti i partiti, sebbene con modalità diverse. Innanzitutto andava tenuto conto che una formazione come M5S è inossidabile e resiste a qualsiasi attacco, perché si basa su elettori che l’hanno scelta a prescindere, sostanzialmente “per fede”. Dunque inutile pensare che le campagne di stampa che mettono in luce debolezze oggettive e anche peggio dei pentastellati possano allontanare più che qualche conversione marginale dell’ultimo momento.

Se dunque non serve contro i Cinque Stelle, a cosa serve la coalizione? La risposta è banale: si voleva offrire un canale di raccolta dell’italica tendenza alla frammentazione politica ottenendo che fosse quanto più piccolo possibile il numero dei voti o dispersi (si doveva pur inserire leggi tutto

Il voto dei giovani

Luca Tentoni - 10.02.2018

Negli anni Settanta, il voto dei giovani era considerato decisivo, sia per l'orientamento degli elettori fra i 21 e i 25 anni (non compiuti) o fra i 18 e i 25 (dopo l'abbassamento della maggiore età, avvenuto nel 1975), sia per la numerosità di quelle coorti. I giovani erano tanti, figli del dopoguerra, cresciuti durante gli anni Sessanta, mediamente più istruiti dei genitori e di tutte le generazioni precedenti; il loro peso elettorale non era inferiore a quello dei votanti della "terza età". Oggi la situazione è molto diversa. I giovani sono pochi, hanno una grande indecisione se andare a votare o meno, dunque politicamente pesano molto meno degli "over 60" (o 70). Le loro aspettative socio-economiche, inoltre, sono ben diverse dai coetanei degli anni Sessanta e Settanta: il futuro che si presenta è molto meno roseo, così come il presente (nonostante un livello d'istruzione ancora superiore rispetto ai ventenni di quaranta anni fa). Insomma, il voto dei giovani adulti non "fa più paura" ai partiti, il che alimenta, nei ragazzi che si sentono "esclusi" un ulteriore sentimento di abbandono da parte della politica, di inutilità della partecipazione elettorale. Secondo un recente studio Demopolis, il 47% dei giovani fra i 18 e i 25 anni non sembra intenzionato ad andare ai seggi. Il 4 marzo prossimo. leggi tutto

Il voto "dell'ultimo minuto"

Luca Tentoni - 03.02.2018

C'è, da parecchi anni, un fattore in grado di cambiare rapporti di forza fra partiti e coalizioni consolidati per settimane e mesi. È il voto "dell'ultimo minuto", quello degli italiani che decidono di andare ai seggi e di scegliere un partito solo dopo la chiusura della campagna elettorale, cioè il sabato o, addirittura, la domenica. Non si tratta di una sparuta minoranza: secondo quanto stimato da Ilvo Diamanti in un suo libro del 2013 ("Un salto nel voto", pagine 24-27, Laterza) fra il 2006 e il 2013 la percentuale degli elettori che ha deciso il voto il sabato o la domenica è stata pari all'8,4% nel 2005, al 9,4% nel 2008, per salire al 13,2% del 2013. È vero: l'elettorato "di appartenenza", soprattutto dopo il 2008, si è drasticamente ridotto, anche se gli interpellati che ancora nel 2013 dicevano di non avere mai avuto dubbi su quale partito votare erano ancora il 54,1% (contro il 65,7-66,6% del 2006-2008). Il tutto, se rapportato (con una nostra rielaborazione) alle percentuali degli aventi diritto al voto, ci restituisce questo quadro: gli elettori "senza dubbi" costituivano nel 2013 il 40,7% del totale (2006-2008: 53,6-54,9%); quelli che hanno deciso almeno un mese prima sono stati fra l'8,7% (2008) e il 10,2% (2006; 9,6% nel 2013); i convinti dalla campagna elettorale, dunque (che hanno deciso nel periodo che va dalla presentazione delle liste leggi tutto

Oltre le elezioni. Le sfide del governo che verrà: il debito pubblico

Gianpaolo Rossini - 31.01.2018

La seconda sfida sulla quale sarà chiamato a misurarsi il prossimo governo riguarda la finanza pubblica. Come nel precedente articolo sulle migrazioni (https://www.mentepolitica.it/articolo/oltre-le-elezioni-le-sfide-del-governo-che-verr-ius-soli-e-immigrati/1311) iniziamo con nude cifre. Nel 2017 il debito lordo del settore pubblico in Italia si attesta attorno a 1.32 volte il Pil mentre quello netto è 1.13. Nello stesso anno quello pubblico federale lordo (non comprensivo di quello di stati e amministrazioni locali) degli Usa è 1.08 volte il Pil, netto 0.82. Se considerassimo il debito pubblico lordo totale (federale + locale) degli Usa avremmo cifre un po’ più alte di quelle italiane. In Giappone il debito pubblico lordo è 2. 39 volte il Pil, quello netto 1.20.  In Germania è 0.64 (netto 0.43) e in Francia è 0.97 (netto 0.90).  La lettura di questi numeri fornisce informazioni inedite sul debito pubblico netto.  Ma cos’è il debito pubblico netto? Perché è la grandezza che andrebbe considerata?  Il debito pubblico netto è la differenza tra i debiti e i crediti del settore pubblico. E’ ciò che rileva finanziariamente per gli stati come per ogni impresa, mentre meno rilevante è la cifra lorda. Il settore pubblico italiano possiede attività finanziarie (crediti) come  contante, valute,  depositi  bancari, prestiti del governo ad istituzioni europee, titoli obbligazionari e azionari, riserve tecniche assicurative e altro. Nel caso italiano la differenza tra le due valutazion leggi tutto

Il "miracolo" del 40%

Luca Tentoni - 27.01.2018

Molti si chiedono se è tecnicamente possibile conquistare la maggioranza assoluta alla Camera dei deputati (minimo 316 seggi) e in Senato (minimo 158) ottenendo il 40% dei voti. In teoria, lo è. I posti in palio nell'uninominale sono 232 per Montecitorio e 116 per Palazzo Madama, dunque, per assurdo, basterebbe vincerli tutti (anche con un solo voto di margine) e aggiudicarsi appena 84 seggi proporzionali alla Camera e 42 al Senato (corrispondenti, all'incirca, ad un partito del 22% nazionale). Naturalmente il nostro è un paradosso, però il punto che occorre chiarire è un altro. Non è il 40% dei voti (soglia magica già propria dell'Italicum) che improvvisamente può proiettare una coalizione (o il M5S) verso il traguardo del governo e di una maggioranza autosufficiente, ma il distacco dal secondo classificato. Se avessimo due blocchi come i principali partiti del 2008 (Pdl 37,4%, Pd 33,2%) ci troveremmo di fronte ad un buon raccolto nel proporzionale: rispettivamente 145 e 129 seggi. Per arrivare a 316 bisognerebbe aggiudicarsene 171 in un caso e 187 nell'altro, ovvero fra il 74% e l'81% dei collegi uninominali. Con quel distacco di appena 4 punti e le subculture ancora forti in alcune regioni, nessuno vincerebbe. Se invece avessimo un raggruppamento al 40% e il secondo al 25-26% le cose cambierebbero parecchio. Ferme restando le specificità locali, moltissimi collegi in bilico passerebbero al blocco leggi tutto