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I partiti alla conquista degli indecisi

Luca Tentoni - 23.12.2017
Gli indecisi

Secondo una colorita ma efficace espressione coniata da SWG per definire gli elettori che non sanno se votare ed eventualmente per chi, il "clan degli indecisi" rappresenta il 20,1% del corpo elettorale (rilevazione del 4-6 dicembre). Poichè, secondo il sondaggio, coloro i quali non sono intenzionati a votare sono il 20,4% (per un'affluenza, dunque, che potrebbe - nella migliore delle ipotesi - fermarsi al 79,6%), gli indecisi sono destinati ad avere un ruolo cruciale nella competizione elettorale. In quel 20,1% (circa 9,5 milioni di persone) c'è un 68% di "orientati" (che hanno un'idea su una possibile scelta: li potremmo definire votanti quasi certi) e un 32% di "disorientati" (che non sanno se votare e, nel caso, per chi). Quest'ultima fetta costituisce il 6,4% dell'elettorato: si oscilla dunque - secondo i nostri calcoli - fra un'affluenza minima del 73,2% e una massima del 79,6% (intorno, dunque, al 75,2% del 2013). Più che sui "disorientati" (la gran parte dei quali potrebbe disertare le urne o andare per votare scheda bianca o nulla) i partiti si dovranno concentrare sugli "orientati" ma indecisi, cioè su chi voterà ma ha qualche dubbio nella scelta. Una rapida rielaborazione dei dati SWG ci porta a valutare in circa 6,9 milioni questi elettori. Un dato non dissimile da quello (6,8 milioni) che si ottiene ricalcolando i risultati di un sondaggio Tecnè svolto fra la seconda metà dello scorso mese e l'inizio di dicembre, che quantifica (stavolta rispetto alle europee 2014) in 1,7 milioni i voti che Pd, M5S e Centrodestra sembrano in grado di "sottrarre" alla concorrenza e in 5,1 milioni quelli recuperati dall'astensione. Il mercato elettorale, dunque, ci appare diviso in quattro aree: 1) chi ha deciso (ed è probabilmente fedele alla scelta della volta precedente: astenuti compresi, visto che fra 100 interpellati orientati a non votare ce ne sono 71 che non avevano votato neppure nel 2013) pari a circa il 59,5% degli aventi diritto; 2) chi voterà, ma ha una preferenza partitica da confermare (gli "orientati"), pari al 13,7%; 3) chi non sa se votare o non votare ("disorientati": 6,4%); 4) chi è certo di non partecipare (SWG definisce questo segmento "clan degli astensionisti": 20,4%). È nel secondo gruppo che si gioca la battaglia più dura, come dicevamo, perché se il terzo (i "disorientati") appare difficile da convincere se non con un'offerta politica molto attraente, il gruppo degli "orientati" può essere conteso fino all'ultimo minuto della campagna elettorale. Anche qui bisogna fare delle distinzioni. I voti conquistati a scapito di soggetti politici degli altri "poli" appaiono, secondo le stime, non superiori al 25% del totale dei "fluttuanti". Il grosso dei flussi avviene dunque fra partiti vicini: ciò giustifica la nascita di liste "di area" che possono catturare elettori "di frontiera" (i quali, magari, non vogliono votare il partito scelto nel 2013, ma intendono restare nella stessa "famiglia politica"). Differenziando posizioni e offerta, si finisce per trattenere all'interno del proprio polo gran parte dei voti in uscita. Tuttavia, presentare liste "troppo appetibili" per gli indecisi può causare un marcato indebolimento dei partiti maggiori: anche se non conta per la competizione fra poli e nei collegi, è però rilevante ai fini della "graduatoria" finale (ma può disperdere i voti dei soggetti sotto l’1%). Arrivare al primo o al secondo posto fra i partiti nazionali non è politicamente irrilevante, come dimostra la battaglia fra Pd e M5S; è importante anche la competizione per il terzo posto fra FI e Lega, perché può segnare la prevalenza di Berlusconi e dell'anima moderata del centrodestra su quella sovranista di Salvini (il leader leghista, peraltro, ha affermato che il suo partito, se avrà più voti di quello del Cavaliere, rivendicherà la presidenza del Consiglio). Potremmo assistere, insomma, ad una campagna elettorale "mirata": da un lato, per la conquista di chi è incerto fra un polo e l'altro (in parte, anche per recuperare astenuti: compito che però appare più difficile); dall'altro lato, per spostare, nei collegi, le poche migliaia di voti in grado di determinare la vittoria nella gara maggioritaria. È dunque possibile che, scartato quell'80% sicuro di votare per un partito o di non votare affatto, il marketing elettorale si concentri su un segmento preciso. Per conquistarlo si cercherà di alzare i toni e di aumentare l'offerta (ad esempio in termini di spesa pubblica o tagli fiscali) valutando le esigenze tipiche di quella fascia di aventi diritto al voto, anche se non necessariamente del tutto collimanti con quelle degli elettori “fedeli”.